
Trascorsi quindici giorni dalla sentenza sul sindacato di legittimità costituzionale della legge elettorale, la Corte Costituzionale ne ha pubblicato le motivazioni, anticipandosi di quindici giorni sul tempo limite. La Corte aveva a disposizione trenta giorni per rendere note le motivazioni della sentenza, eppure ha deciso di non prendersi tutto il periodo ma solo la metà, moderando il tempo dell’attesa come nel suo ruolo. Ugualmente la Corte ha deciso di non prendersi tutta la responsabilità di decidere al posto della politica una nuova regola di voto, lasciando alla politica indicazioni, alcune piuttosto generiche e altre più precise. Novantanove pagine finalizzate a temperare la legge elettorale esistente e vigente. (Nella foto di questo articolo, “La Temperanza” di Domenico Bruschi)
Senza scendere nei dettagli incomprensibili dell’argomento, due sono gli aspetti fondamentali, tra di loro inevitabilmente collegati, che emergono nelle novantanove pagine delle motivazioni: il premio di maggioranza e la questione della governabilità. Del primo la Corte ne ha sancito l’attribuzione “non irragionevole” alla lista che al primo turno raggiunga il 40% dei consensi, in quanto “consente di attribuire la maggioranza assoluta dei seggi in un’assemblea rappresentativa alla lista che abbia conseguito una determinata maggioranza relativa”. Tuttavia tale premio di maggioranza non può attribuirsi tramite ballottaggio, che viene stroncato dalla Consulta sulla base della necessità di “non comprimere eccessivamente il carattere rappresentativo dell’assemblea elettiva e l’eguaglianza del voto”. Nell’Italicum originario, infatti, anche una lista con un consenso limitato al primo turno avrebbe potuto accedere al ballottaggio e, vincendolo, ottenere il premio e il conseguente raddoppio dei seggi. Per la Corte tale meccanismo determinerebbe una “sproporzionata divaricazione” tra la composizione della Camera “e la volontà dei cittadini espressa con il voto, principale strumento di manifestazione della sovranità popolare”, nonché “un effetto distorsivo analogo a quello che questa corte aveva individuato nella sentenza n.1 del 2014, in relazione alla legislazione elettorale previgente”, intendendo la Corte riferirsi alla modifica all’epoca apportata al “Porcellum”, proprio in seguito a quella modifica divenuto per le cronache il “Consultellum”. Pertanto, e veniamo al secondo aspetto fondamentale, il cosiddetto “premio di governabilità” può scattare solo sulla base del 40% dei voti ottenuti, e in assenza di tale condizione i seggi vengono ripartiti alla maniera proporzionale. La Corte precisa pure di non potere modificare “tramite interventi manipolativi o additivi, le concrete modalità attraverso le quali il premio viene assegnato all’esito del ballottaggio”, sostanzialmente affidando tale compito al Parlamento. Forse in questo modo la Corte ha voluto dire che la tanto politicamente strombazzata “governabilità” non è una sua precipua competenza, visto come la Costituzione tuteli espressamente la rappresentatività senza mai citare la governabilità, concetto peraltro discutibile e frutto delle contingenze degli ultimi anni. È altresì evidente che l’esito del referendum del 4 dicembre scorso, saggiamente atteso dalla Corte prima di pronunciarsi, abbia fortemente influito sulla parziale illegittimità dell’Italicum, legge pensata e voluta da Matteo Renzi come ottimo corollario (il “combinato/disposto” tanto citato nei giorni – e mesi – precedenti voto) al nuovo assetto costituzionale che quel referendum doveva partorire. Fallito il referendum, inevitabilmente fallisce nell’essenza anche la legge che di quel referendum voleva essere il miglior compimento. Del resto la Corte non fa mistero di questo fatto quando scrive che “non può esimersi dal sottolineare che l’esito del referendum ex art. 138 Cost. del 4 dicembre 2016 ha confermato un assetto costituzionale basato sulla parità di posizione e funzioni delle due Camere elettive”. Le camere sono rimaste due e con uguali funzioni, quindi secondo molti giuristi anche il ballottaggio pensato per un Parlamento monocamerale diventa illegittimo nella forma, oltre che nel merito.
La consulta, pur non assumendosi la responsabilità di decidere al posto della politica (una responsabilità che effettivamente non le compete), invita la politica ad armonizzare i due sistemi tuttora vigenti (“All’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione” – Sentenza del 25 gennaio), l’Italicum così come sindacato per la Camera e il Consultellum per il Senato, al fine di garantire la formazione di governi in qualche misura stabili. Il passaggio cruciale in cui la Corte si esprime su questo punto recita: “In tale contesto, la Costituzione, se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee”. Lo stesso concetto espresso più volte dal Presidente della Repubblica, anche durante il discorso alla nazione di fine anno; Presidente Mattarella che, proprio nei giorni immediatamente successivi alla sentenza costituzionale sull’Italicum del 25 gennaio, ribadiva la necessità di andare al voto con “leggi elettorali decenti”, usando non a caso il plurale.
Un nodo cruciale che il Parlamento dovrà sciogliere riguarda la fatidica soglia di sbarramento per l’ingresso in Parlamento, oggi fissata al 3% per la Camera e al 8% per il Senato. Se, come da più parti si chiede, anche per il Senato sarà ridotta al 3%, ci sarà da divertirsi…
Altro nodo non meno cruciale del precedente e a quello legato riguarda l’eventuale premio di maggioranza, che il Parlamento dovrà decidere se attribuire alla singola lista o alla coalizione. In caso di premio alla coalizione e di sbarramento parificato al 3% per le singole liste, ci sarà molto da divertirsi…
Ultime motivazioni riguardano capilista bloccati e candidature plurime. Per i primi la Consulta ne sottolinea la differenza rispetto a quelli previsti dalla precedente legge, ribadendone la legittimità e motivandola su tre elementi: liste presentate in cento collegi plurinominali e formate da un numero ridotto di candidati, sola e unica candidatura bloccata è quella del capolista, possibilità per l’elettore di dare fino a due preferenze a candidati diversi dal capolista. In più i capilista, secondo la Corte, sono comunque espressione dei partiti, quest’ultimi benevolmente definiti (e valorizzati) come associazioni che promuovono e consentono la partecipazione democratica dei cittadini.
Le candidature plurime vengono ritenute legittime, sancendo però l’illegittimità della scelta, da parte del pluricandidato, del collegio in cui essere definitivamente eletto dopo le elezioni. Quindi scelta arbitraria da parte del candidato da sostituirsi col sorteggio, per quanto la stessa Corte consideri il sorteggio modalità poco adeguata e da sostituirsi a sua volta con altro criterio più rispettoso della volontà degli elettori, da stabilirsi a cura del Parlamento.
La Corte Costituzionale in pratica ha trasformato l’Italicum molto maggioritario in una legge proporzionale, quantunque subordinata nel suo proporzionalismo all’esito delle elezioni. Eliminato il ballottaggio, ampio premio di maggioranza fatto del 55% dei seggi alla lista (o coalizione) che raggiunga o superi il 40% delle preferenze. Se non può scattare questo cosiddetto “premio di governabilità” (quando nessuna lista/coalizione raggiunga o superi il 40%), i seggi sono assegnati in modo proporzionale. Il resto della legge, a ben vedere, è un dettaglio.