Pietrificante, reitificante, alienante, l’Altro ci getta addosso il suo sguardo e noi restiamo impotenti, inermi, immobili di fronte ad esso; il contatto con l’Altro fa irruzione nel mondo della soggettività. “L’inferno sono gli altri“, scrisse Jean Paul Sartre, un grido di dolore e angoscia che risuona attuale oggi più che mai; trauma paralizzante, persecuzione inarrestabile: lo sguardo dell’altro cristallizza e cosifica, è ovunque, è dappertutto, non si scappa.
“Sorelle” di Pascal Lambert, in scena al Teatro Sannazzaro dal 25 al 27 febbraio, porta alla ribalta l’ellittica, totale essenza della filosofia sartriana: a distanza di trent’anni due sorelle, Sara ed Anna, rispettivamente interpretate dalle bravissime Sara Bertelà e Anna Della Rosa, scoprono l’inferno dell’alterità in un duello di parole, l’una carnefice dell’altra, presenza inquietante e sovrabbondante, che non prevede sosta né evasione. Un dito puntato contro vicendevolmente, il susseguirsi di un alterco che non lascia spazio alla tregua, una resa dei conti incentrata sul passato, su un padre archeologo che elogiava soltanto la figlia maggiore, su una madre in vecchiaia affetta da demenza a cui Anna, la figlia minore, non ha potuto rendere l’ultimo saluto, perché non “Avvisata” da Sara della condizione disperata in cui versava la genitrice; i ricordi dei viaggi in Egitto per il lavoro del padre, delle serate in terrazza in Tanzania, dei primi amori, della scoperta della sessualità. Due universi diametralmente opposti e destinati a non incrociarsi, quelli di Sara e Anna, promotrice di missioni umanitarie l’una, giornalista l’altra; ed ancora Isabelle, la compagna di Sara, da Anna etichettata come vittima dei soprusi della sorella, Ugo, marito di Anna, imbelle burattino sposato soltanto, a detta di Sara, affinché sua sorella minore avesse un uomo al suo fianco.
Se in altre opere teatrali come “Le mosche” di Jean Paul Sartre la libertà sembrava un fatto indipendente e antecedente la presenza dell’Altro, anarchia quasi solipsistica, in “Sorelle” essa trova di fronte a sé una barriera inaggirabile: la presenza di un’altra libertà, che minaccia, col suo sguardo di Medusa, di renderla oggetto, di pietrificarla ed immobilizzarla.
L’angoscia, il senso di inadeguatezza tipicamente kafkiano, un viaggio nel dramma dell’incomunicabilità umana, portato in scena in una stanza senza finestre e senza specchi, circondati da una sorella che, con il suo sguardo, ci vede alla maniera in cui noi non potremmo mai vederci: quella storia, quella vita fissata e cristallizzata, per gli altri siamo-quella-persona, con quelle caratteristiche, fisiche, comportamentali, morali.
L’esistenza di Anna è, in primo luogo, alienante, poiché Sara, l’Altro, col suo sguardo terribilmente solidificante, l’ha portata ad una guerra con se stessa e con la sua esistenza, bloccandola, reificandola, in un fallimentare tentativo di riappropriarsi di quell’essere che l’Altro ha sottratto; da qui l’inferno dell’alterità.
Anna cerca disperatamente uno specchio, per vedersi come gli altri la vedono, per capire chi sia per l’Altro, come sia, cosa sia. Vorrebbe liberarsi dal suo per-altri e riappropriarsi di se stessa, ma non può farlo, perché l’Altro è sua sorella, con cui è costretta a convivere, senza tregua e senza possibilità di fuga: finché c’è Sara, non sarà padrona di se stessa, ma in assenza dell’Altro, il suo essere crolla. Ed ecco che emerge che la situazione: paradosso, assurdità, scacco matto.
“Sorelle” non vuole esprimere una denuncia individualistica dell’alterità in quanto tale, non vuole, cioè, dire che escludendo l’Altro dal proprio mondo, il problema sarebbe facilmente risolvibile, e l’inferno cesserebbe di esistere, ma intende, al contrario, constatare l’impossibilità di un’esistenza che escluda l’Altro: perché dall’alterità non si può uscire, l’Altro detiene il segreto del proprio essere e, nel contempo, senza l’Altro questo essere non sarebbe possibile.
Così Anna guarda con invidia Sara e viceversa: ladra, usurpatrice, rapinatrice, ma ladra di un essere che, in assenza del furto, neanche esisterebbe: non vi è desiderio di vita possibile al di fuori dell’Altro, perché il desiderio è sempre desiderio dell’Altro, di essere desiderati, apprezzati, riconosciuti, amati, specialmente da una sorella, per fare in modo che quello sguardo gettatoci addosso, che inizialmente sembrava terrificante, sia in realtà ciò che doti di senso la nostra vita, e che la parola dell’Altro risponda al grido disperato, stremato, massacrato di noi stessi; in fondo, se è vero che “L’enfer est les autres” , “Sorelle” insegna che dall’inferno ci si può salvare solo ed esclusivamente attraverso gli altri. E, finalmente, negli altri.