
Fra cinque giorni, domenica 5 giugno, si voterà in più di mille comuni italiani per eleggere sindaci e consigli comunali. Alcuni capipartito (soprattutto di destra) hanno sostenuto, fino a farla paventare, l’eventualità di votare anche la mattina del 6 di giugno, per consentire ai precoci vacanzieri di godersi il lungo ponte della Repubblica fino all’ultimo giorno e non perdere (oh tapini!) la possibilità di votare. Fortunatamente il Consiglio dei Ministri ha bocciato l’ipotesi. Obiezioni immediate di un qualsiasi mediocre studente di terza liceo: prima obiezione, un capopartito (un uomo politico o una donna politica) non può chiedere alle istituzioni di anteporre il diritto alla “vacanzella” dei cittadini al diritto/dovere di voto. Seconda obiezione: un cittadino che voglia esercitare il diritto di voto deve fare solo una cosa, recarsi nelle sedi stabilite nel giorno stabilito; se non può o non vuole, libero di non votare. Evidentemente ridicola e denotante scarsissimo senso dello Stato la richiesta di allungare le votazioni a causa della prima domenica di mare della stagione. E allora perché non chiedere al presidente Mattarella di rinviare le elezioni perché il 5 di giugno in città c’è la finale dei playoff del tamburello?…”A’ Giorgia, ne dicessi mai una bbona!”, abbiamo sentito dire con voce e toni meravigliosamente romaneschi e con incontestabile senso del vero a un barista intervistato in tv sulla richiesta di cui sopra da parte di Giorgia Meloni, impalmata candidata sindaca a Roma. Poi la Giorgia, non contenta della prima, ci ha aggiunto pure la seconda, cioè la promessa di intitolare una strada di Roma al camerata Giorgio Almirante, fino a quando il solito studente di terza liceo le ha fatto notare che Almirante non è stato solo destra sociale bene o male inserita nella dialettica parlamentare (senza volerne approfondire l’essenza antidemocratica e le deviazioni criminali), ma anche efficiente fucilatore della repubblica di Salò. Terza obiezione: l’Italia, fino a qualche anno fa, era l’unico Paese democratico in cui si votava per due giorni, fino a quando il ministero Letta ne ha ridotto la durata a un giorno solo, anche per ridurre i tanto vituperati costi della politica. Quarta obiezione (personale di chi scrive): sarebbe opportuno abolire per legge tutti gli insopportabili “ponti” di festività civili e religiose, visto che, e ci sarà un motivo, sono i giorni che fanno registrare il maggior tasso di suicidi.
L’Italia per decenni è stata abituata ai grandi numeri dei votanti: il 70% degli elettori era considerata una cifra minima accettabile. Al di sotto di quella soglia, lamentazioni, oscure previsioni per la democrazia, editoriali sui “giornaloni” tra il preoccupato e lo sdegnato. Eppure negli Stati Uniti il Presidente, cioè l’uomo più potente della Terra, viene eletto con percentuali di votanti quasi mai superiori al 50% degli elettori (ha fatto eccezione Obama, che infatti ha vinto due volte perché è riuscito a far votare gli afroamericani), e lì nessuno si straccia le vesti. D’altronde, se in Italia il numero dei votanti è in costante diminuzione, la colpa della disaffezione è quasi tutta della classe politica, degli ineffabili amministratori locali che in molti casi meglio sarebbe definire “clientelatori” (cioè tessitori di clientele) locali.
Tra i tanti Comuni al voto ci sono le tre città metropolitane più popolose d’Italia: Roma, Milano e Napoli. La capitale politica, la (cosiddetta) capitale morale, la (cosiddetta) capitale del Sud. A Roma il consiglio comunale è stato sciolto a causa dei fatti di “Mafia-Capitale”, di cui ha fatto le spese l’ultimo sindaco della città benché estraneo a quei fatti, Ignazio Marino. A Milano il sindaco uscente, Giuliano Pisapia, non si è ripresentato nonostante i sondaggi fossero a suo favore. A Napoli il sindaco Luigi De Magistris si è ripresentato, forte di una popolarità non degradante nel corso del primo mandato e della rappresentazione di uomo-contro (soprattutto contro Matteo Renzi), deciso e convinto dei propri mezzi e azioni, oltreché del bronzo di bell’uomo. Il PD, partito di maggioranza di governo, corre il concreto rischio di perdere in tutte e tre le città metropolitane, e sarebbe uno bello smacco per il giovane capo del governo nonché segretario del partito. Ma a noi ovviamente interessa soprattutto Napoli.
Il PD napoletano alfine ha candidato una giovane donna, Valeria Valente, che nelle primarie delle polemiche ha battuto il vecchio Antonio Bassolino. Vittoria non senza ombre quella della Valente, stante i voti comprati con un euro e documentati dal web (poi magari ci sono quelli comprati e non documentati, ma queste sono illazioni…). Le primarie del Pd si rivelano, a ogni livello, quasi sempre una bolgia, e Napoli non ha fatto eccezione alla regola (ed è almeno la seconda volta, dopo i voti “cinesi” per Andrea Cozzolino nell’anno 2011). Bassolino ha presentato tre ricorsi, spingendoli fino alla commissione nazionale di garanzia del PD, tutti respinti, e la candidata del PD è rimasta la Valente. Adesso Bassolino dichiara di appoggiare la Valente ma tutti nutrono seri dubbi sulla veridicità della cosa, a cominciare dalla Valente, che non a caso sta cercando i voti in quelle zone della città dove i voti sarebbero certi, se chiesti da Bassolino. PD napoletano sull’orlo di una crisi di nervi, e le già esigue speranze di vittoria diventano sottilissime. I sondaggi dicono che la coalizione in appoggio alla Valente (fra gli altri “Ala” di Verdini e UDC) dovrà molto lottare negli ultimi giorni di campagna elettorale per arrivare seconda e arruffianarsi altri voti al ballottaggio.
Il centro-destra insiste con Gianni Lettieri, l’autodefinentesi “imprenditore scugnizzo”, già asfaltato da De Magistris nella consultazione precedente. Uomo ricco Lettieri (che i soldi non li ha fatti a Napoli e spesso neanche in Italia), che deve aver speso una fortuna per la quantità di manifesti di ogni dimensione e contenuto che lo pubblicizzano: dal suo sguardo un po’ grifagno nei manifesti giganti sui grattacieli del centro direzionale, ai manifesti grandi con tizi e tizie che lo incensano dicendo parole in fumetto, a quelli più piccoli (meno grandi) e colorati ma con slogan infelici, che vorrebbero essere contro l’amministrazione De Magistris ma spesso finiscono per denigrare Napoli come città. Troppo facile per i napoletani clonare questi dazebao e metterci su slogan parodianti quelli di Lettieri, un po’ come accadeva al Berlusca del “meno tasse per tutti” variamente modificato in senso pallonaro (meno tasse per Totti) e sessual/pecoreccio (più f..a per tutti). L’impressione è che Lettieri stia pagando (e presumiamo profumatamente) uno staff della comunicazione per farsi coglionare dai napoletani. Al netto dei manifesti e degli slogan, nelle interviste e nelle dichiarazioni pubbliche Lettieri appare aggressivo e spocchioso: a suo dire l’uomo giusto è lui stesso, che conosce il mondo e il modo per risolvere i problemi di Napoli. È “l’uomo del fare”, ancora scimmiottando Berlusconi di cui ha ricevuto la visita di sostegno qualche giorno fa. A suo indiscutibile merito va ascritto il fatto di non aver abbandonato il consiglio comunale e la politica cittadina dopo la pesante sconfitta personale (anno 2011), come vieppiù fanno i candidati a sindaco nelle grandi città un’ora appresso alla preallegata crapata elettorale. La sua coalizione (Forza Italia e una fantomatica “Rivoluzione Cristiana” fra le liste in appoggio, oltre ai leghisti immacchiati di Salvini), nonostante i tentativi di Lettieri di simulare un prodigioso recupero, è data seconda nei sondaggi, molto staccata dalla prima (De Magistris) ma con un margine discreto sulle terze e quarte (Valente e “5 stelle”, per quanto 5 stelle coalizione non è).
Il candidato “5 stelle” è un ingegnere energetico di 46 anni con un passato da volontario con i minori napoletani disagiati nonché da attivista anti-discarica di Chiaiano. Promette, come ogni grillino che si rispetti, massima onestà, trasparenza e raccolta differenziata al 100%. Ha già rispedito al mittente la mezza proposta di De Magistris di governare la città in collaborazione. È un grillino tipico, dall’aspetto per bene e molto ferrato sugli argomenti. Purtroppo per lui la sua candidatura arriva in un momento di grave incertezza per il movimento antipolitico, con le crepe apertesi al suo interno proprio a causa dei sindaci grillini in carica a Quarto, a Livorno e a Parma, e oltremodo rivelatrici del potere assoluto che Beppe Grillo vi esercita (a Parma il sindaco Pizzarotti è stato espulso dal movimento con una mail senza firma). La favola dell’uno vale uno, in una forza politica priva di statuto e regolamenti interni, diventa nei fatti sempre più astratta. Il candidato grillino di nome fa Matteo (diridandete!) e di cognome Brambilla, viene da Monza, parla con cadenza molto lombarda e tifa per la Juventus…Vive stabilmente a Napoli dal 2006, dove è giunto per lavoro di ingegnere ed è rimasto per amore di donna. I sondaggi lo danno al quarto posto, ma a un’incollatura dal terzo. A noi è comunque simpatico.
Luigi De Magistris, il sindaco uscente, autodefinentesi “sindaco di strada” a seguito della sospensione dalla carica per una condanna in primo grado per abuso d’ufficio poi annullata dalla Corte d’Appello, è appoggiato da Aurelio De Laurentiis…quindi Verdi, Sinistra Italiana, Rifondazione Comunista, Italia dei Valori e altre correnti sinistroidi contenute in liste con nomi improbabili, ma è sostenuto soprattutto dai cittadini napoletani. Reso più esperto e duttile dall’esperienza amministrativa, saprà mitigare certi aspetti impulsivi del carattere, scegliere con maggiore attenzione gli assessori e continuare nell’opera di risanamento, lunga e lenta, epperò in atto, della città. Arrivato a Palazzo San Giacomo sull’onda del “movimento arancione”, ha trovato tanti debiti lasciati dalle amministrazioni precedenti, dovendosi spesso adattare a far nozze coi fichi secchi. Nonostante ciò, ha affrontato con successo il problema dei rifiuti e finalmente avviato la raccolta differenziata. Buoni risultati ha ottenuto anche nel funzionamento della macchina amministrativa e nel trasporto pubblico su rotaie. Pagate diverse imprese e cooperative che aspettavano i soldi da anni. Nessuno scandalo ha toccato il Comune di Napoli durante i cinque anni di De Magistris, e visti i tempi non è fatto da trascurare. Per gli aspetti di più vasta portata non si può chiedere al sindaco, De Magistris o chiunque altro, di fare i miracoli. Abbiamo capito che una metropoli è ormai uno stato nello Stato, con problemi complessi e di costosissima soluzione, che il vincolo di spesa rende ancora più maledetti. Pur avendo in parte risanato il bilancio comunale, l’amministrazione De Magistris ha chiuso il mandato con una diffida da parte della prefettura per la mancata approvazione da parte del consiglio comunale del bilancio previsionale 2016 entro il 30 aprile, termine fissato dalla legge e già prorogato di un mese. Bilancio comunque approvato dalla giunta, e che prevede alle voci più costose un sussidio per i non abbienti, assunzioni al Comune, il rifacimento degli impianti di illuminazione e i lavori allo stadio San Paolo. Insomma il meglio del programma elettorale del sindaco uscente. Dovrà approvarlo il prossimo consiglio comunale, e sarà uno dei suoi primi atti. Mossa volutamente tattica del sindaco uscente o combinazione di circostanze?…Del Gigino capopopolo in amplesso elettorale rimarrà lo sguaiato e già mitico “Renzi cacate sotta!”, ripetutamente urlato al microfono per farlo rimbombare dentro la storica oscurità di un Palapartenope tripudiante. Il commissariamento governativo dell’area ex Italsider non è andato proprio giù a De Magistris, che quando ne parla perde l’uso del cognome nobiliare e si trasforma in Gigino, strabuzzante gli occhi e incarognente la voce. Nel “Gigino vs Matteo” ci sarà ancora da divertirsi. Cosa dicono i sondaggi? Che Gigino De Magistris vincerà le elezioni di Napoli, e probabilmente alla grande.
Altri candidati alla carica di sindaco sono: Marcello Taglialatela (“Fratelli d’Italia”), Martina Alboreto (“Fratelli del popolo italiano”), Luigi Mercogliano (“Popolo della famiglia”), Domenico Esposito (“Qualità della vita per Napoli”), Nunzia Amura (“Partito comunista italiano”), Paolo Prudente (“Partito comunista dei lavoratori”). Un fascio, una borbonica legittimista, un cultore della famiglia patriarcale, uno sciamano, una comunista stalinista e un comunista troskista. Pur simpatizzando per il troskista, segnaliamo su tutti lo sciamano…”http://www.laqualitadellavita.it/domenico-esposito/”