Dopo quattro giorni di partite e di isterie nazional-pallonare diffuse per il mondo, anche gli ottavi di finale del Mundial brasiliano vanno in archivio. Infatti, fra sabato 28 giugno e martedì 1 luglio, al ritmo di due al giorno sono andate in scena le prime otto sfide a eliminazione diretta, rappresentazioni concrete dell’incedere del torneo, dell’inappellabilità del risultato, della prosecuzione o del troncamento dei sogni di gloria, e pure simboli e abbrivio della fine del circo. In fin dei conti mancano solo otto partite alla chiusura, e visti i ritmi imposti dalla FIFA (una partita ogni settantadue ore) fra dieci giorni conosceremo i nuovi campioni del mondo, lasceremo il Brasile ai suoi cronisti naturali e ai suoi postumi da sbronza specular-socialista. Sbronza che dovrebbe addirittura continuare in omaggio alle Olimpiadi del 2016 assegnate a Rio de Janeiro, prima città sudamericana ad averne l’onore e già dichiarata in crisi di tempi di opere e di infrastrutture. Speriamo vivamente che la fretta di edificare e l’enormità dei suoi costi non portino Rio e il Brasile a diventare dell’America latina la Grecia: ingannata dai suoi governanti taroccabilancio, sconquassata dall’organizzazione di un’olimpiade e commissariata dall’alta ingegneria banchiera.
Limitandoci alle palle che rimbalzano (accantonando quelle che girano) e ai piedi che le fanno rimbalzare, facciamo un riassunto delle partite degli ottavi di finali e dei conseguenti quarti di nobiltà prestipedatoria raggiunti dalle otto rappresentative ancora in ballo.
Brasile Cile 1-1 (4-3 ai calci di rigore). Il 28 giugno a Belo Horizonte metropoli effervescente, terra fanatica dell’Atletico Mineiro e del Cruzeiro, bello orizzonte natio della presidente Rousseff e pure dei Sepultura, nonché quartier generale della FIAT do Brasil, il Brasile di Filippone Scolari se la vede nera contro i cileni del bonzo argentino Jorge Sampaoli. Los jogadores brasiliani sono in evidente stress da pressione popolare, piangono già durante l’inno infinito cantato dal pubblico oltre la fine della musica stil-rossiniana e sanno che se non vincono (il Mondiale) passeranno alla storia come la selecao più scarsa di tutte le selecao. Intanto passano in vantaggio dopo venti minuti scarsi col difensore David Luiz su carambola da calcio d’angolo, sfiorano la seconda marcatura con Neymar in gran versione ma poi beccano il pareggio a sorpresa di Alexis Sanchez e cadono in paura. Tutto il resto della partita vive di assalti brasiliani e fiammate cilene, ma se gli assalti dei primi sono nell’ordine delle cose le fiammate dei secondi sono pugnalate al cuore del popolo “verdeoro”, oltre che sobbalzi stupefatti dei cileni e degli spettatori apparentemente neutrali. Nel secondo tempo il Brasile fa pure un gol coll’attaccante palestrato Hulk, ma il coraggioso arbitro inglese dice che l’ha stoppata di bicipite brachiale (ipertrofico) e non di pettorale. Si va ai supplementari e la litania non cambia, anzi, il Cile prende sempre più coraggio e pur senza il suo gioiello Arturo Vidal, uscito perché già malconcio prima dell’inizio, incute sempre più terrore alla nazione brasiliana e sempre più baldanza alla propria. All’ultimo minuto dei supplementari il centravanti cileno di riserva Mauricio Pinilla detto Pinigol dai tifosi del Grosseto, diventa Pinitraversa e sul suo tiro dal limite di collo destro si spengono le chimere dei suoi e si esorcizzano le paure dei padroni di casa. Traversa “bassa” a portiere battuto all’ultimo crampo dei supplementari può voler significare solo una cosa: che i cileni sono destinati a perdere e i brasiliani a vincere. Nei tiri di rigore il destino utilizza proprio Pinilla, Sanchez e Jara per compiere la sua missione e arginare gli infarti dei brasiliani. Neymar segna il suo rigore e non deve sorbirsi critiche feroci; Julio Cesar portiere decide di aver ottenuto la sua personale rivincita sul mondiale passato e sulle sue cattiverie e piange lacrime dolci di uomo ferito. Caro Julio, saper attendere il giorno buono è virtù rivoluzionaria. E il Mondiale non è ancora finito…
Colombia Uruguay 2-0. Il 28 giugno, al Maracanà di Rio de Janeiro, Colombia e Uruguay incrociano le loro storie mundial in una partita molto sudamericana soprattutto fuori dal campo. Mazzate date e sfiorate fra tifosi colombiani e uruguagi al di fuori dello stadio, in campo invece tanta animosità ma nessuna scorrettezza particolare. La Colombia del santone Pekerman è più forte dell’Uruguay di maestro Tabarez. La Colombia, quindi, è molto più forte dell’Italia…La Celeste inoltre non ha il suo uomo più pericoloso (in tutti i sensi), il cannibale per fame proletaria Suarez, già accolto in patria con tutti gli onori dal presidente tupamaro Pepe Mujica. Cavani affiancato dal vecchio Diego Forlan si impegna come d’abitudine ma non trova il pertugio in cui scatenare la sua animalità da area di rigore. In realtà in tutte e quattro le sue partite del Mondiale Cavani ha fatto più la mezza punta a tutto campo che la punta, e se Suarez lo obbligava a lasciare libera l’area di rigore avversaria Forlan lo obbliga a fare tutto lui. L’Uruguay pensa molto a difendersi e poco a costruire, la Colombia viceversa attacca di collettivo e si difende già a centrocampo. Un gol bellissimo ed estemporaneo di Rodriguez sblocca nel primo tempo, un altro gol bello bellissimo e organizzato ancora di Rodriguez la mette al sicuro per i “cafeteros”. L’Uruguay tenta una reazione, ha qualche buona opportunità ma non riesce a segnare e a riprendere speranza. Colombia avanti con balli di gruppo e con grandi prospettive.
Olanda Messico 2-1. Il 29 giugno a Fortaleza, dentro un’afa a 33 gradi, l’Olanda vince di rimonta sofferta contro il Messico. Nel primo tempo i verdi dell’iperattivo ct Miguel Herrera corrono più e meglio degli orange, si arroccano in difesa e ripartono a folate mettendo più volte qualcuno in condizioni di arrostire il portiere olandese (e un po’ allampanato) Cilessen. A inizio ripresa la tattica messicana produce il gol della punta di fantasia Giovani Dos Santos; l’Olanda allora è costretta ad abbandonare l’attenzione difensiva che fino a quel punto aveva mantenuto e ribalta la sua partita in arrembaggio. I messicani si predispongono a fare la casamatta a protezione dell’eroe di porta Ochoa che riesce pure ad accrescere il suo recente mito con un paio di respinte più istintive che abili. Eppure, proprio quando tutto sembrerebbe pendere dalla parte dei più deboli, i più forti dei più forti olandesi tirano fuori dalla depressione Van Gaal e tutta la sua comitiva in improbabile cravatta arancione. Prima Sneijder, a due minuti dalla fine con perfetto tiro secco di collo destro dal limite interno dell’area, poi Robben al terzo di recupero con sua tipica serpentina cercante, simulante e ottenente un calcio di rigore. Il freddo centravanti di riserva Klaas-Jan Huntelaar trasforma il tiro libero e fraudolento. Arien Robben, gran giocatore leggero e imprendibile, il migliore del Mundial, coltiva questo vezzo di cadere facile; già nel primo tempo aveva provato la caduta a effetto ma non gli era andata bene. Il capitano messicano Rafa Marquez, vittima per di più barcellonista della simulazione del madridista, applaude polemicamente l’arbitro portoghese il quale, forse colto dal dubbio, fa finta di non vedere. Olandesi festosamente ai quarti. I messicani, da secoli abituati alle ingiustizie, sembrano non badare all’ingiustizia arbitrale e festeggiano pure loro.
Costa Rica Grecia 1-1 (6-4 ai calci di rigore). Il 29 giungo a Recife del Pernambuco si gioca l’ottavo di finale meno prevedibile all’inizio della giostra. La partita è invece prevedibilmente brutta, i costaricani e i greci sono giunti agli ottavi più per demeriti altrui che per meriti propri, e se i “ticos” qualcosa di buono hanno comunque fatto vedere gli ellenici hanno vissuto quasi esclusivamente di espedienti e di opportunismo, senza mai dimenticare il rigore farlocco che li ha promossi a spese della Costa d’Avorio. La Grecia gioca pure con una divisa che è sputata a quella dell’Italia e allora la bruttezza dello spettacolo si sublima in rivisitazione di fresco lutto pallonaro. Fatto sta che al minuto 52 Bryan Ruiz, la nostra “donnola”, segna di sinistro minuzioso e immobilizzante il portiere Karnezis rendendo la partita un perfetto già visto per gli italiani in visione. La modesta Grecia/Italia tenta di recuperare ma non ha o non cerca alternative al lancio lungo sulla difesa costaricana. Ci sarebbe anche un rigore a favore dei centroamericani per tocco di mano galeotta di Torosidis ma l’arbitro australiano non si accorge della furberia ellenico/romanista. Oscar Duarte, difensore “tico” dai tacchetti volenterosi, si fa cacciare per doppia ammonizione lasciando in dieci i suoi compagni per gli ultimi venticinque minuti. Tuttavia, solo negli ultimissimi minuti i palloni a mare della Grecia cominciano a trovare qualche crepa nella linea di resistenza costaricana, fino a che una mischia consente a Papastathopoulos, difensore in missione casinista/offensiva, di ciabattare dentro il pareggio. Sembra la solita fortuna della Grecia aiutata dall’Olimpo e di certo non sembra più l’Italia…
Nei supplementari però i bianchi non si perdono distanze e compattezza dei reparti e non faticano granché a portare tutta la faccenda ai giudizi di rigore. Prima dei rigori l’allenatore dei greci Fernando Santos si fa cacciare per proteste forse perché non ha il coraggio di guardarli. Poi, al dunque dei momenti lunghi undici metri, quelli incaricati della Costa Rica segnano tutti a dispetto degli dei, per i greci invece dopo i primi tre a segno sbaglia l’esperto Gekas e così ai quarti va davvero la piccola Costa Rica. Il buffo allenatore Jorge Pinto corre ebbro e impedito nel suo abito scuro, saltella di tenera gioia verso i ragazzi che hanno fatto l’impresa e il suo Paese senza esercito trova i soldati del futebol a scrivere un bel pezzo di epica nazionale. W San Josè!
I soldati greci, abbandonati dai loro volubili dei ma sconfitti con onore, decidono di devolvere i premi alla loro federazione in crisi come l’intero Paese, e anche questo è un bel gesto.
Francia Nigeria 2-0. Il 30 giugno a Brasilia capitale politica la Francia dei giovani (e forti) sconfigge la Nigeria con due reti nei minuti finali di un incontro bello e tirato. La Nigeria dei battenti cassa come i loro fratelli ghanesi e camerunesi gioca una partita coraggiosa, specie nel primo tempo mette sotto i galletti e segna pure un gol con il centrattacco Emenike, epperò per il guardalinee in fuorigioco, per noi no. Nella Francia Benzema è emarginato dal gioco e quasi tutto ricade sulle spalle eleganti e potenti di Pogba. Nel secondo tempo il nigeriano Onazi utilissimo frangiflutti di centrocampo viene messo fuori causa da un brutto fallo di Matuidi: ammonizione per il francese ma ci stava meglio l’espulsione. Solo negli ultimi venti minuti “le blues” in bianco prendono decisamente possesso della partita e cominciano a chiudere gli altri nella loro metà campo. Per segnare i ragazzi di Deschamps devono sfruttare un errore del portiere Enyeama, che dopo tre buone parate rovina la sua performanza con una sfarfallata su calcio d’angolo che consente a Pogba di appoggiare in rete di capoccia tinta. Le “super aquile” sono colpite nelle ali dell’entusiasmo e non riescono a reagire. Il raddoppio francese arriva casuale al primo di recupero ed è un autorete di tacco a burla di Yobo. Francia avanti ma Nigeria degnissima.
Germania Algeria 2-1 (ai tempi supplementari). Il 30 giugno, a Porto Alegre del Rio Grande do Sul, va finalmente in atto la rivincita mondiale fra tedeschi e algerini dopo i fatti di Spagna ’82, quando i tedeschi bravi, quelli dell’ovest, prima persero la loro partita contro la leggendaria Algeria del panafricano Belloumi e del tacco di Allah Rabah Madjer, poi prepararono il biscotto alla birra con i cugini austriaci a beffa crudele e razzista degli algerini legittimi qualificanti alla seconda fase. “La vergogna di Gijon”, dicono i libri del pallone, ma erano pure tempi e Mondiali in cui vergogne siffatte tanto rare non erano. Per dire, nello stesso Mondiale spagnolo c’è chi parla di frigoriferi regalati ai dirigenti del Camerun…
La partita fra Germania unita e Algeria è bellissima, emozionante, aperta, dura, leale, veloce, armoniosa, accattivante, giocata non a caso a temperatura da calcio e non da beach volley. Le volpi del deserto, in magnifico verde familiare per chi scrive, rinnovate nello schema e in alcuni esemplari, aspettano e ripartono di contropiedi guizzanti e ripetuti, i tedeschi senza lo stopperone Hummels ballano di brutto dietro, palleggiano e cercano gli scambi rapidi a centrocampo per confondere i difensori algerini. Fra le due tattiche risulta più efficace quella africana, che più volte porta qualche volpe davanti al gattone portiere Neuer, miglior tedesco nella prima parte. Gli algerini tuttavia non riescono a segnare e questo è la loro unica colpa. Solo alla fine del tempo qualche bomba tedesca dalla distanza fa preoccupare il portiere M’Bolhi che comunque se la cava alla grande. Nel secondo tempo il ct Low toglie Gotze poco incisivo e mette dentro Andrè Schurrle. La Germania comincia ad avanzare di imperio e di prepotenza tecnica, l’Algeria appare stanca dalle corse a perdifiato del primo tempo e ricorre ai rintanamenti con sempre maggiore frequenza, fino a farsi occupare interamente il proprio territorio dagli altri. Gli uomini in verde smeraldo resistono bene, senza mai sbracare a italico catenaccio, almeno fino al quarto d’ora finale quando i tedeschi, ormai padroni del campo, cominciano a bombardare M’Bolhi da tutte le posizioni e con tutti gli effettivi. Il portiere barbuto e pelato, algerino naturalizzato ma di nascita francese, usa tutto l’astio francese antiteutonico per respingere le botte multiple di Muller, Schweinsteiger, Ozil e Lahm. Si va pertanto al supplemento di gara. Due minuti di gioco e la Germania segna di tacco involontario con Schurrle, e appare perfino strano che M’Bolhi non riesca a prenderla. Il ct dei verdi Halihodzic sorpreso pure lui resta in silenzio, i suoi ragazzi intanto organizzano le ultime forze per non darla ancora vinta ai tedeschi. Fra un capovolgimento e l’altro la partita resta vivissima e bellissima, sportivamente drammatica, alcuni corrono zoppi a causa dei crampi ma corrono lo stesso. Halihodzic si riprende dallo choc e fa due sostituzioni. Un corner verso la fine del primo supplemento regala ai verdi la grande occasione, ma la sprechiamo con Mostefa. I tedeschi trovano il raddoppio con Ozil all’ultimo minuto del secondo supplemento e a questo punto la logica europea direbbe che è finita; non altrettanto dice quella nordafricana che aiuta l’Avellino, pardòn l’Algeria, a segnare un gol al primo di recupero. C’è ancora il tempo per un ultimo mischione nell’area tedesca, ma un colpo di testa in equilibrio precario cade nelle braccia sicure di Neur e la seconda dannazione tedesca elimina i grandi algerini del ct totem Halihodzic. Dopo la fine il ct tedesco Low resta una maschera incazzata come per tutta la partita. Gli algerini piangono e ringraziano. Pure il bosniaco ct piange commosso, e il suo nuovo popolo già ne reclama la conferma.
Argentina Svizzera 1-0 (ai tempi supplementari). Il primo luglio a San Paolo Argentina e Svizzera giocano il così ribattezzato derby del vaticano. Vincono gli argentini, evidentemente più influenti nelle segrete stanze romane, ma gli svizzeri ci vanno vicini a tirare lo scherzo da prete. In fin dei conti la Svizzera si mostra più squadra dell’Argentina, almeno nel primo tempo quando le sole due occasioni da gol sono entrambe create dallo svizzero/kosovaro Shaqiri sebbene non valorizzate dai suoi compagni Xhaka e Drmic. Nella seconda parte l’Albiceleste comincia a prendere campo e a tirare qualcosa verso la porta di Benaglio, ma in campo è una squadra spaccata in due, sei a difendere e quattro ad attaccare sperando sempre nella giocata penetrante di Messi. Lo stesso Higuain, di cui ben conosciamo virtù tecniche e acrobatiche, è ridotto a dover fare solo la sponda per i tocchi corti di Messi. I supplementari diventano il facile strascico di questo non bello ottavo di finale, e allo stesso modo sembrerebbero anche i rigori. Alla fine del primo supplementare gli svizzerotti addirittura “melinano” il gioco, compiaciuti dagli olè brasiliani di approvazione ma soprattutto di scherno contro gli arcirivali argentini. Solo che i brasiliani sottovalutano Messi. A due minuti dalla fine, infatti, la pulce trova lo spunto buono centrale e serve a Di Maria una palla che comunque tanto facile non è; Angel Di Maria è grande giocatore pure lui e il suo sinistro interno indirizza il pallone verso il secondo palo di Benaglio, che nulla può. I rossocrociati avrebbero pure l’opportunità per pareggiare, ma l’incornata di Dzemaili su cross d’angolo manda il pallone sul palo e poi incredibilmente fuori sulla carambola di stinco successiva. Argentina ai quarti ma finora gli è andata sempre bene.
Belgio Stati Uniti 2-1 (ai tempi supplementari). Il primo luglio a Salvador di Bahia Belgio e Stati Uniti si affrontano in un’altra partita avvincente, per quanto squilibrata. Il Belgio la vince solo ai supplementari, e solo dopo aver costruito una quindicina di palle gol. Gli Stati Uniti la perdono ai supplementari, dopo essersi difesi per tutti i tempi regolamentari con forza e buona stella. Il portiere Howard è l’eroe della resistenza pallonara americana, autore, dicono gli statistici del Mondiale, di sedici interventi decisivi. Magari sedici parate non sono state tutte difficilissime, ma almeno quattro/cinque senza dubbio. Wilmots ct belga dei belgi fa giocare bene la sua squadra, che sa approntare azioni avvolgenti e di contropiede con egual perizia da addestramento. Gli States del ct tedesco/californiano Jurgen Klinsmann (“JK” ha stampigliato sulla maglietta, tentativo di scimmiottare JFK?) che spesso in panchina parla italiano, giocano proprio all’italiana vecchia maniera: cinque a difendere in difesa, tre a difendere in centrocampo, due meschini a cercare di attaccare. Degli ultimi due la prima punta è Clinton Dempsey, che ricordavamo come centrocampista offensivo, la seconda punta è Michael Bradley, che ricordavamo come mediano. La partita va in zero a zero al novantesimo per uno di quei misteri dei Mondiali che li rendono sempre così affascinanti. Nel supplemento entra nel Belgio Romelu Lukaku, attaccante finora deludente le forti aspettative sul suo conto, e alfine il corpo di Howard comincia a non arrivare più sui tiri avversari. Prima segna De Bruyne, su passaggio di Lukaku; poi segna direttamente Lukaku che in quindici minuti si riprende fama e posto da titolare. I bianchi americani però trovano il gol dimezza svantaggio (Green di esterno destro al volo) a inizio del secondo supplementare, e si buttano in avanti sui belgi ormai stanchissimi per il gran correre offensivo dei primi cento minuti. Gli Jurgen boys tirano fuori un secondo supplementare splendido, ammirevole per orgoglio e spirito di gruppo. Il rasta Jones e il capitano Dempsey hanno i palloni buoni per il pareggio, ma l’impresa non riesce. Fa niente, il presidente Obama avrà apprezzato lo stesso.
Per effetto di quanto raccontato, passano ai quarti tutte le prime classificate nei gironi.
I quarti sono (in ordine cronologico di partite): Brasile Colombia, Francia Germania, Olanda Costa Rica, Argentina Belgio. Tutte le partite si annunciano combattute e appassionanti, di genere drammatico ma pure di commedia, per motivi solo tecnici (Olanda Costa Rica), tecnici e storici (Francia Germania e Argentina Belgio), tecnici storici e politici (Brasile Colombia).