
Si parla tanto di sharing economy e di quanto, soprattutto in epoca di crisi, sia necessario guardare non tanto a ciò che si è perso ma alle opportunità che si creano, perchè la crisi si manifesta in quanto ciò che è nuovo trova ostacoli a proporsi o perchè il vecchio non lascia spazi, e quindi la crisi rappresenta anche la porta del cambiamento, la strada tortuosa e in salita che porta a conoscere e diffondere nuovi modi di fare economia, ovvero nuovi modi di usufruire di beni e servizi.
É il caso di Airbnb che è un servizio che funziona attualmente in centinaia di paesi e che permette a chiunque di affittare la propria casa o anche delle stanze per una settimana o pochi giorni.
Il sistema funziona talmente bene che è in espansione. Le leggi e la regolamentazione e quindi la codificazione di questi sistemi è sempre molto lenta e il più delle volte dannosa, anche perchè i fili della politica sono mossi da chi deve difendere interessi consolidati. Nella regione Lazio, infatti, la scorsa estate è stato emanato un regolamento che disciplina le nuove strutture extralberghiere e anche quei casi in cui i privati in forma non imprenditoriale mettono a disposizione le loro proprietà più per sbarcare il lunario che per lucro o magari per diffondere una cultura diversa, ovvero quella della condivisione o anche per non sprecare risorse.
In particolare un articolo del regolamento stabilisce a riguardo che quelle strutture, chiamiamole così, devono essere inattive da un minimo di 90 a un massimo di 120 giorni.
Ma quale ragione mai si può immaginare a una simile disposizione se non quella di avvantaggiare le associazioni di albergatori? Per fortuna il Garante della Concorrenza ha individuato la lesione del principio della leale concorrenza nella norma che prevede un periodo così lungo di inattività, ma la Regione sembra essere sorda. E non è vero che non c’è peggior sordo di chi non vuol ascoltare?