
La Cassazione è recentemente intervenuta su uno spinoso quanto vetusto problema assicurativo: la riparazione antieconomica, cioè quando il danno riportato da un veicolo, in seguito ad un sinistro, sia superiore al valore stesso del veicolo.
Fino ad oggi le Compagnie Assicurative liquidavano il danno fino al valore di mercato dell’auto sinistrata, pur in presenza di un danno maggiore sulla base del principio del “risarcimento per equivalente” e cioè del pagamento di una somma pari alla perdita di valore del bene, ai sensi dell’articolo 2058 del Codice civile.
La conseguenza di questo tipo di liquidazione è che, spesso, il danneggiato si trovava costretto a prendere il risarcimento erogato e rottamare la vecchia auto e poi si trovava ad un bivio: comprare un’auto nuova, rimettendoci la differenza o rimanere a piedi se non si aveva la possibilità di acquistare un’auto nuova.
Il problema riguarda soprattutto le auto che hanno un valore di mercato di poche migliaia di euro e non è di poco conto, visto che il parco auto di questo fascia interessa milioni di veicoli.
E arriviamo quini all’interessante, quanto innovativa sentenza della Cassazione che pone due paletti.
Il primo è la regola del risarcimento in “forma specifica”, cioè il diritto alla riparazione del veicolo, anche se costa di più del valore stesso del mezzo, dall’altro la necessità di non procurare un indebito arricchimento al danneggiato, aumentando il valore del veicolo, riparato “oltremodo” rispetto a prima dell’incidente.
La Cassazione, con l’ordinanza 10686/2023, chiarisce che il risarcimento in forma specifica non si può fare quando «il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato del veicolo», procurando un indebito vantaggio al danneggiato che si ritrova un’auto riparata meglio di come era prima dell’incidente.
Ma l’avverbio “notevolmente” apre l’insidiosa, quanto odiosa, strada alla discrezionalità valutativa: non basta una semplice riparazione antieconomica a giustificare il risarcimento per equivalente, occorre una sproporzione sensibile che porti un effettivo vantaggio al danneggiato, aumentando il valore del veicolo rispetto a prima dell’incidente.
In buona sostanza va verificato, caso per caso, se le riparazioni abbiano aumentato il valore rispetto a prima del sinistro, cosa non sempre facile e sicuramente non automatica.
Se, infine, il danneggiato non vuole rottamare l’auto per un principio di affettività col veicolo, magari perché compagni da tanti anni e di tante scorribande, allora non potrà essere applicato il principio del risarcimento in forma specifica, ma solo quello per equivalente (quindi fino al valore di mercato del veicolo). Il principio di affettività è danno non patrimoniale non risarcibile ai sensi dell’articolo 2059 del Codice civile, perché non viene leso un interesse della persona costituzionalmente garantito, come stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 20620/2015.
Soltanto con il tempo sperimenteremo (speriamo mai) gli effetti di questa sentenza, ad ogni buon conto già da ora si intravede che la toppa è quasi peggio del buco, come spesso succede.