Già lo immagino, al solo sentire (in questo caso leggere) la parola vaccini, immediatamente il pensiero corre ai vaccini anti Covid.
E invece – forse non ci crederete – esistono anche altre malattie.
Nel caso specifico la questione processuale ha investito il vaccino contro la poliomelite.
La Corte di Appello aveva deciso di non approfondire il nesso di causalità tra il vaccino e i danni lamentati da una persona vaccinata che, dopo paralisi, interventi e cure, è stato dichiarato invalido al 100%.
E i giudici di Merito avevano deciso il rigetto semplicemente perché per la scienza il vaccino non è potenzialmente dannoso.
Ma poiché, poi la realtà dei fatti ha dimostrato che nonostante il vaccino alcuni soggetti si sono comunque ammalati di poliomelite, la Corte di Appello, secondo gli Ermellini, ha sbagliato perché si è fermata ad un “dogma” scientifico senza approfondire il singolo caso sulla base della documentazione probatoria prodotta in giudizio.
La storia processuale è questa.
Un uomo chiede i danni all’allora Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, Salute perché asserisce di avere contratto la poliomielite, all’età di due anni, dopo aver ricevuto le dosi del vaccino antipolio e per questo era rimasto paralizzato.
Nonostante i vari interventi chirurgici a cui era stato sottoposto, nel 1986 gli veniva riconosciuta l’invalidità del 100% e, a causa del peggiorare delle condizioni cardiache, nel 2009, dopo scrupolosi esami medici gli veniva accertato che la sua invalidità e i suoi ulteriori problemi al cuore non erano altro che una conseguenza del vaccino, che tra l’altro, era stato anche sospeso negli Stati Uniti perché in caso di errato dosaggio aveva provocato effetti collaterale, uno dei quali – guarda caso – proprio la poliomelite.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 11670/2014 accoglieva la domanda risarcitoria e condannava il Ministero, ma in sede di gravame proposto dal Ministero, la Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 5157/2019 riformava la decisione sulla base del principio che “all’epoca in cui furono eseguite le vaccinazioni, la pericolosità del vaccino di tipo Salk non era conosciuto, né conoscibile, anzi, che il fatto che fosse un vaccino inattivato lo rendeva preferibile al vaccino Sabin di tipo attenuato”
Per la sentenza della Corte di Cassazione n. 34027/2022, depositata pochi giorni fa, il ragionamento giuridico utilizzato è sbagliato, perché la Corte di Appello di Roma non ha valutato autonomamente la vicenda per accertare se, esclusa la pericolosità del vaccino, per la sua potenzialità di provocare danni in astratto, ha comunque e nel caso concreto, provocato la paralisi lamentata per le motivazioni più disparate: o perché parte di un lotto confezionato o prodotto in modo corretto o perché magari non doveva essere somministrato per altre ragioni.
In buona sostanza per la Cassazione, riferendosi anche a quanto deciso dalla Corte di Giustizia Europea, la mancanza della prova scientifica della pericolosità di un vaccino non può, né deve impedire l’accertamento del caso concreto e specifico quando si presenta, un danno, il che equivale a dire che, pur se un vaccino non ha la patente di pericolosità, se succede una evento dannoso, bisogna indagare sulle cause e non escluderle a priori.
Il nostro protagonista, ha dovuto attendere 60 anni dall’insorgere della malattia per aver Giustizia sulla dannosità del suo vaccino.
Quindi, riepilogando, siamo in presenza di un vaccino:
- la cui pericolosità non era ancora conosciuta al momento della inoculazione;
- la cui letteratura scientifica nega ogni possibile danno
- la cui efficacia è dubbia, perché comunque i vaccinati si sono ugualmente ammalati della malattia per cui questo vaccino era stato sperimentato;
Eppure tutte queste circostanze mi ricordano qualcosa, ma non ne sono sicuro.
Quasi quasi consiglierei di conservarlo questo articolo, ma non 60 anni…!