Le REMS (acronimo indicante Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) avrebbero dovuto sostituire gli ospedali psichiatrici giudiziari dal primo aprile 2015, ma come sempre accade quando bisogna chiudere gli OPG i ritardi e gli slittamenti diventano l’ordinarietà del processo. Processo che inizia con la legge Basaglia del 1978 e di cui le REMS dovrebbero essere un passaggio ulteriore verso l’abolizione effettivamente conclusiva dei manicomi. Dovrebbero.
Gli OPG già da qualche anno sono stati scanagliati come luoghi di sordido internamento e troppo spesso di tortura, contrari a ogni garanzia costituzionale oltre che al normale senso di umano decoro. Dopo le indagini e le proteste portate avanti da diverse associazioni di volontariato carcerario e di monitoraggio del sistema penale (su tutte l’Associazione Antigone), dopo inchieste giornalistiche che hanno cominciato a raccontare la tragedia degli internati e l’infamia delle loro condizioni di vita, dopo il rispetto dei diritti dei “pazzi chiusi in manicomio” che i familiari hanno finalmente cominciato a reclamare, dopo l’indagine condotta fra il 2010 e il 2011 da una commissione d’inchiesta del Senato della Repubblica guidata dall’allora senatore Ignazio Marino (l’attuale, assediatissimo, sindaco di Roma) che ha documentato e filmato le condizioni assurde degli internati e dei cosiddetti “ergastolani bianchi” (sostenendo a favore di due terzi degli internati “le dimissioni senza indugio”, finora mai disposte…), il ministero della salute e il ministero della giustizia si sono decisi a porre fine alla storia di queste istituzioni totali e totalmente al di fuori della civiltà.
La prima data di chiusura dei sei OPG esistenti in Italia (Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto) viene fissata per legge al 31 marzo 2013, ma un decreto legge del 25 marzo 2013 allunga lo stillicidio al primo aprile 2014. Quando si arriva al primo aprile 2014, però, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano promulga, “con estremo rammarico”, un decreto legge che procrastina ancora la chiusura al primo aprile 2015. Fortunatamente il primo di aprile del 2015 non si registrano nuove manfrine e gli OPG devono chiudere o quantomeno trasformarsi in REMS, cioè in strutture più piccole e più dignitose per gli ospiti, fatte di camere e non più di celle, senza la presenza di agenti di polizia penitenziaria passando le funzioni di custodia dal DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) alla Sanità (Dipartimento Salute Mentale). Insomma tutto secondo i criteri delle moderne teorie psico/sociali in fatto di detenzione, cura e riabilitazione dei condannati e dei malati psichiatrici.
Invero l’ultima legge di riforma degli OPG, la 81 del 2014, secondo alcuni operatori del settore lascerebbe lacune. Innanzitutto una indistinzione fra malato psichiatrico giudiziario autore di reati contro la persona e malato psichiatrico “normale”, con il rischio non aleatorio di equiparare le due tipologie di malati di fronte alla comunità al momento del loro reinserimento nel tessuto sociale e nel territorio, reinserimento che la legge promuove e che in qualche modo determina facendo entrare anche i “pazienti criminali” nel circuito ordinario di cura. Il rischio sarebbe quello di un nuovo e indifferenziato stigma sociale. Inoltre la legge 81 di fatto scarica sul territorio e sulle ASL i compiti di gestione e di cura dei circa 800 internati in OPG (circa 1200 considerando anche i reclusi nelle case di cura e custodia), col conseguente problema del controllo degli internati più pericolosi, controllo che viene genericamente assegnato alle prefetture. Dopo un periodo di permanenza nelle REMS, previsto come periodo non più indeterminabile (altresì indeterminato), i pazienti dovranno essere presi in carico dai presidi psichiatrici di zona delle ASL, fino al giorno della guarigione dichiarata alla fine del necessario percorso di riabilitazione. Ad oggi, ciascuna ASL si sta ingegnando per fare a modo suo, mancando ancora indicazioni, direttive e protocolli sanitari da parte del ministero della salute.
Lo Stato, per la realizzazione delle REMS in ogni regione d’Italia (l’obiettivo è che ogni regione si occupi dei propri malati, cioè che ogni regione si riprenda i propri malati), ha inizialmente stanziato 172 milioni di euro (non molti), con un secondo stanziamento atteso per l’assunzione e la formazione di nuovo personale.
Orbene, la situazione è piuttosto complicata. Nonostante le rassicurazioni offerte da Santi Consolo, attuale capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, sul massimo impegno per giungere in tempi brevi ad una completa dismissione degli OPG, le sedici REMS attualmente attive riescono ad ospitare non più di 400 ospiti. Cinque OPG, fra cui Napoli e Aversa, sono ancora funzionanti e probabilmente lontane dal giorno della dovuta dismissione. Per giunta, e cosa più importante, le condizioni di vita degli internati non sembrano essere mutate rispetto al recente passato, gli avvocati hanno ancora difficoltà ad accedere all’interno degli istituti e i direttori si giustificano con esigenze di ordine e sicurezza.
Il comitato “Stop OPG”, nato nel 2011 e formato da una quarantina di associazioni, sta ovviamente insistendo nella sua lotta contro l’orrore manicomiale. Recentemente il presidente del comitato, Stefano Cecconi, si è scagliato contro i ritardi e, a suo dire, i boicottaggi che in alcune regioni si starebbero facendo per rallentare la fase di chiusura degli OPG. D’altronde il suo comitato si dice contrario anche alle REMS, paventando la facile eventualità della creazione di nuovi e soltanto più piccoli OPG. Come ha dichiarato al sito redattoresociale.it, secondo Cecconi “l’insensatezza delle REMS come risposta alla chiusura degli OPG è sempre più evidente, e ancora più evidente è il rischio che le REMS si moltiplichino, diventando il nuovo e improprio contenitore neo-manicomiale.” Cecconi continua nella sua decisa critica evidenziando come “le stesse dimissioni dagli attuali OPG destinano quasi sempre alla detenzione in REMS e non a misure alternative. In questo la responsabilità della magistratura, sia giudicante che di sorveglianza, è palese.” Ricordiamo che gli internati in OPG si dividono in diverse categorie giudiziarie: prosciolti per infermità mentale ma giudicati socialmente pericolosi, internati per infermità mentale sopravvenuta (che dal carcere vengono trasferiti all’OPG), internati provvisori imputati e giudicati socialmente pericolosi, internati con vizio parziale di mente giudicati socialmente pericolosi, detenuti minorati psichici. A manforte della sua critica, Cecconi fa notare come in quasi tutte le regioni si stia lavorando all’apertura delle REMS, delineate nel decreto 81/2014 soprattutto come strutture di contenimento (quindi simili agli OPG), trascurando il passaggio successivo che pur prevedrebbe la formulazione di progetti terapeutici individuali al di fuori delle strutture da parte dei dipartimenti di salute mentale. La domanda allora si fa impertinente e disperata: ma vogliono chiudere gli OPG o riaprire i manicomi?…Per questi motivi, il comitato “Stop OPG” ha chiesto al governo tre cose: il commissariamento delle Regioni inadempienti, il rafforzamento dei percorsi di cura e delle misure alternative alle REMS (con maggiori risorse ai servizi socio-sanitari territoriali), un atto che renda eccezionale l’applicazione della misura di sicurezza REMS. Tre richieste obiettivamente ambiziose, forse urticanti l’odierno sentire comune, il conseguente (e indotto) bisogno di sicurezza, ma che comunque si profilano come la via obbligata per passare dall’inclusione sociale nelle belle parole all’inclusione sociale nei fatti. Senza voler citare Bertolt Brecht, pur a rischio di qualche inevitabile fallimento conviene stare dalla parte del torto, quella apparentemente sbagliata, dalla parte socialmente pericolosa.
Per un video molto esplicativo sugli OPG e l’ergastolo bianco, https://www.youtube.com/watch?v=hFdAElqz850