La vita è un mistero e spesso insondabili sono le sensazioni che attraversarla ci procura, i moti dell’animo, gli impulsi, le emozioni.
Sono patrimonio di quel sottosuolo di cui si intendevano bene Dostoevskij e Nietzsche, quella terra di nessuno che alloggia nel nostro inconscio, nei meandri dell’essere e viene fuori all’improvviso, a volte soverchiando l’io.
Si prova, in certe occasioni, una strana inquietudine di fronte a certi avvenimenti, come se una parte di noi spingesse in un’unica direzione. Si comprende, allora, che ci sono impegni mai sottoscritti o pronunciati che pure sentiamo di avere stipulati, come pure ci sono appuntamenti mai fissati a cui non possiamo sottrarci.
L’amicizia a volte non è un incontrarsi ma un ritrovarsi, l’amore spesso non rappresenta un cercarsi ma un ricongiungersi. Incontriamo persone mai viste prima che ci sembra di conoscere da sempre, mentre altre, che vediamo tutti i giorni, ci restano estranee, ostili. A volte fuggiamo, credendo di lasciarci alle spalle quello che sembra opprimerci, toglierci il respiro, senza accorgerci che non ci è mai appartenuto veramente. Non stiamo andando via ma tornando indietro, a percorrere i nostri veri passi, ad andare dove tutto ci è più congeniale e rassicurante, o semplicemente dove ci sembra sia più giusto stare.
Gesù scampa alla persecuzione di Erode, fugge via, è salvo, ma anni dopo il piccolo bambino ebreo, ormai adulto, torna a rendere la vita su una croce romana perché quello era il suo appuntamento con la storia, il suo posto, il senso della sua breve esistenza.
Francesco d’Assisi capisce a un certo punto di aver vissuto la vita al posto di un altro, che non era lui quello che voleva diventare cavaliere o ammazzare gente in qualche Crociata e che la sua esistenza era ancora un guscio vuoto, qualcosa da riempire e rendere importante. Cambia tutto, ma con naturalezza, come se dentro lo avesse sempre saputo.
Due esempi che riguardano il mistico, la religione, ma potrebbero esserne posti tanti altri che sono laici e profani: Carlo Cafiero, l’anarchico che rinuncia alle sue ricchezze per dedicarsi alla causa dei poveri, ad esempio, o si pensi ai tanti missionari o medici che dedicano la propria vita e il proprio sapere agli ultimi del mondo e che molte volte avevano davanti un futuro ricco di ambizioni e guadagni. Si può non andare lontano e guardare a piccole vicende umane.
Alcune persone entrano nella vita col fragore di un annuncio e la leggerezza di un sussurro ma non rappresentano una sorpresa: sono il risarcimento dalla vita, la rivincita sul mondo, l’incipit della storia.
Non ci si stupisce nel vederle perché è come se le si avesse sempre aspettate, immaginandone le forme, i sorrisi, gli occhi spalancati sul domani.
Non si può con ciò affermare che tutto sia scritto o che viviamo altre vite ricordandole in parte; solo che a volte delle sensazioni di déjà–vù ci assalgono, facce familiari ci sorridono, respiriamo aria di casa dove non siamo mai stati e mettiamo al mondo un figlio senza la meraviglia di una cosa inedita.
E’ come se cercassimo nel corso di tutta l’esistenza di ricomporre un mosaico, di aggiustare tasselli, di cercare “Affinità elettive” o semplicemente di compiere ogni tanto il percorso che avremmo voluto fare dovendo deviare o fermarci. Sentiamo dentro di noi una specie di istinto, una voluttà, una brama che ci porta da qualche parte perché quello è il nostro posto e quella è la persona che abbiamo immaginato di avere vicino.
La nostra giusta collocazione, sia essa la tavola imbandita popolata di sodali eleganti, arrivisti e ipocriti o il quartiere alla periferia del mondo in cui la carne umana brucia e si scompone con il fragore delle bombe intelligenti, sia forse la carriera inarrestabile e i tanti soldi con cui possedere tante cose e tanti esseri o l’incantesimo di un posto a misura d’uomo dove poter non sentirsi manipolati, merce, calcolo, algoritmo di un computer, il nostro posto, è il τέλος della nostra esistenza, la meta finale e non sempre raggiungibile del nostro essere.
Trascorrono anni da quando avviene l’unico miracolo in cui si crede, in cui si sa che un essere umano sbucherà dal nulla, in cui si preferisce affidarsi alla propria immaginazione che accompagna quella attesa per anni. Si aspetta anche se non si invoca, si cresce e si comprende.
Si matura. In uno scambio frenetico e continuo. Si crede che si ha tutto da insegnare e nulla da imparare e così si vede svanire la grande occasione di saper apprendere realmente da chi sa ancora sognare in un mondo che ha perso per sempre la sua dimensione onirica, immaginifica, fantastica per affidarsi, per dirla con Braudillard, ad un’iperrealtà che sembra più vera del reale ma è fasulla perché tutto pianifica e appiattisce, sterilizza e rende ovattato, nascondendo la vita vera.
Ci si ostina sempre ad affidarsi alle generazioni, alla solidarietà che viene dall’essere stati coetanei o quasi per decifrare la realtà o cambiarla, ma bisognerebbe di più puntare sulla contemporaneità.
L’epoca in cui si è nati ci dà un grande senso di appartenenza perché vi è stato lo stesso scenario, si sono fatti sogni simili, si è guardata la stessa luna. Ma adesso siamo tutti qui, cinquantenni, ventenni, adolescenti, a vivere una delle epoche più tristi dell’umanità senza più scudi ideologici o morali: nudi davanti alla fine (forse) della storia intesa come progresso continuo e ineluttabile, indifesi di fronte al dominio incontrastato della tecnica e del consumismo.
Potremmo provare padri, madri e figli a unire le forze per cambiare questo mondo così miserabile nella sua oscena tecnocrazia, nella sua virtualità senz’anima.
Se si sapranno dosare al meglio intelligenza, cuore e bontà si otterrà una miscela esplosiva per andare lontano, al di là dei sogni, al di là di ogni mediocrità o bassezza umana. Per consegnare una staffetta ideale, un testimone.
Partendo da subito, da questo giorno, da questo momento.
Da un cuore che ha sempre pulsato, da una vita cominciata all’anno zero, immersa in una specie di palingenesi, un nuovo ciclo.
Un sogno da bambino.