
Dove eravamo rimasti?…Più o meno a venti giorni fa, che in termini di campionato pallonaro fanno tre giornate di serie A e quattro di B. Napoli e Avellino, oggetto di questa rubrica instabile, al tempo viaggiavano di gran carriera e accumulavano punti in classifica. Il Napoli sembrava aver preso l’abbrivio per conquistare il secondo posto della generale e pure l’Avellino, sebbene meno affidabile nella sua veste di squadra di vertice, sembrava aver superato gli ultimi timori e timidezze per prendersi con piacere il ruolo importante che comunque si era guadagnato sul campo. Adesso, a venti giorni da quei giorni, Napoli e Avellino sembrano in difficoltà, soprattutto il Napoli, inopinatamente retrocesso al quarto posto nella generale. Alla fine del campionato di serie A mancano undici partite, non molte, e il Napoli deve darsi uno scossone se non vuole mancare l’accesso alla prima coppa europea per club e al suo ghiottissimo carico di milioni. Storia diversa per l’Avellino, che sostanzialmente il suo dovere l’ha già fatto (salvezza ormai sicura). Epperò, sempre ringraziando mastro Massimo Rastelli e i suoi sottoposti, il terzo posto alla trentunesima giornata non può e nemmeno deve essere considerato uno sfizio del caso, e seppure fosse uno sfizio del caso allora i protagonisti di questa avventura dovrebbero sfruttare il caso una volta tanto favorevole e vedere di trasformare le undici partite che restano in undici capitoli di epica pallonara avellinese. Solo questo vorremmo, vivere un’epica…
Riprendendo confidenza con l’argomento, e solitamente approfondendolo per ordine temporale, la ventiquattresima puntata della rubrica (ri)comincia il racconto dall’Abruzzo e precisamente dalle pendici della Maiella, dove di sabato pomeriggio l’Avellino deve affrontare la squadra di Lanciano, la Virtus Lanciano fu mitica Frentana, avversario diventato abituale negli ultimi anni e pure molto rognoso. I verdi vengono dalla vittoria in casa contro il Bari che tanto ha divertito i fedeli più di bocca buona e ulteriore astio ha aggiunto alla vecchia rivalità urticante le due parrocchie irpina e barese. A noi, fedeli più misurati (ma non per questo meno fedeli), la vittoria sul Bari è piaciuta soprattutto per la prestazione in campo della squadra e per i tre punti in classifica, tutto il resto non ci è piaciuto senza distinzioni di parrocchia. A Lanciano i lupi dovrebbero rimettere grinta e ardore messi dentro la partita contro il Bari, lottare e contendere ogni pallone come fosse l’ultimo. Dovrebbero, perché così vorrebbero gli animi dei milletrecento fedeli al seguito e così vorrebbe l’anima della classifica. Eppure non è così, e si capisce già dai primi minuti di gioco. Anzi, la parte dei lupi feroci la fanno quelli del Lanciano, che nel loro piccolo stadio-velodromo sempre fanno la faccia dura agli avversari spesso riuscendo a intimorirli davvero. I nostri lupi si intimoriscono, lasciano spazio ai frentani, il centrocampo si lascia sovrastare senza colpo ferire e la difesa deve fare un lavoro molto faticoso per respingere gli attacchi continui dei rossoneri a strisce. Nella prima mezzora la Virtus di mister D’Aversa occupa stabilmente la metà campo avellinese, e col continuo movimento delle tre punte e la ferma regia dello sloveno Bacinovic mette più volte in ambasce la retroguardia biancoverde. Mastro Massimo tatticissimo schiera i suoi con modulo non prettamente difensivo, senonché l’interpretazione è tale da renderlo di fatto difensivo ma senza le necessarie chiusure e sprangature fra i reparti. Una difesa allegra, che al minuto 33 prende un gol un po’ casuale ma forse inevitabile stante il dai e dai degli avversari. L’attaccante napoletano di nascita Antonio Piccolo è l’autore del gol, ma è il suo collega di reparto Gaetano Monachello quello che più fa correre e dannare i centrali difensivi di Rastelli. Preso il primo, l’Avellino per poco non prende appresso il secondo, con il portiere nero che ben respinge una botta ancora di Piccolo su passaggio del Monachello indiavolato. Finisce il primo tempo e l’Avellino un solo degno tiro ha fatto verso la porta della Virtus, col mortaista Zito.
Alla ripresa del cimento le due unità si presentano con gli stessi uomini della prima parte ma, così sembra nei primi minuti, con invertito andazzo di gioco. È l’Avellino ad attaccare, ed è Marcellino Trotta a fare due tentativi in tre minuti: sul primo il guardiaporta villaricchese Aridità Vincenzo respinge, sul secondo osserva il pallone volare di poco sopra la traversa. “Va buo’ fa niente – devono penare i milletrecento irpini messi sopra una curva del velodromo – tanto è solo l’inizio.” Invece è pure la fine, visto che nella quarantina di minuti restanti l’Avellino non riesce più scoccare alcun tiro acconcio, lasciando il suddetto Aridità all’esclusivo e per lui piacevole ruolo di coordinamento dei colleghi difensivi. Nel Lanciano esce l’ex nostro Gaetano Vastola ed entra Domenico Di Cecco, ex nostro e pure da capitano. Mastro Massimo opera sostituzioni, cambia qualche posizione, prova con il tridente anomalo Marcellino-Gianmario-Mokulu tirando via la luna storta di Gigione. Ma sono le idee a mancare, il fraseggio al centro e sulle fasce, oltre al sacro fuoco nei garretti. Non stupisce quindi che la vicenda diventi confusa e che le occasioni migliori siano ancora della Virtus (palo del Monachello). Al minuto 93 calcio franco per l’Avellino, tutti dentro l’area di Aridità coordinatore, cross di Zito e Rodrigo Ely usa la capoccia per mandare al cielo il pallone e con quello ogni speranza.
Passando alle faccende napoletane, il Napoli perde male nell’ostile Verona e dà inizio a una settimana di sicure polemiche. Polemiche che potrebbero placarsi giovedì sera dopo la partita di ritorno della coppa UEFA (o come cavolo la chiamano) in Russia, oppure incrementarsi ancora giovedì sera in caso di brutte notizie dal freddo di Mosca. Il risultato della partita di andata, tre a uno per il Napoli con tripletta di Gonzalo, dovrebbe consentire una partita di ritorno senza ansie particolari, ma non si può mai sapere…Nell’attesa, bene farebbe Rafelone a “proteggere” la squadra e mettere in campo a Mosca una formazione equilibrata. Del resto, una pesante accusa che gli viene mossa sulla base della partita di Verona riguarda proprio il suo probabile maggiore interesse alla coppa rispetto al campionato, visto che la coppa il Napoli potrebbe vincerla. I critici più spietati però, più che il riguardo per la bacheca del Napoli, sostengono il riguardo di Rafelone per la bacheca propria personale soprattutto in vista del prossimo ingaggio. Insomma, ai fini di un nuovo contratto con un club diverso dal Napoli (che Rafelone molto probabilmente lascerà a fine stagione), una vittoria in coppa UEFA (o come cavolo…) avrebbe un peso maggiore di un secondo/terzo posto nel campionato italiano, mai come oggi poco considerato nel resto dell’Europa pallonara più ricca. In fin dei conti il dilemma “coppaocampionato” è curioso, divertente e pure intrigante. Fermo restando che il Napoli finora ha giocato con uguale impegno entrambe le competizioni, è un dato di fatto che il suo allenatore abbia fatto riposare i “più titolari” in campionato quando la successiva partita di coppa si presentava difficile. Pertanto, preferendo la coppa Rafelone farebbe l’allenatore poco aziendalista (per De Laurentiis viene prima la certezza economica della “cembions”) e sostanzialmente a favore del lustro del club oltre che di quello suo personale. Senza considerare che la vittoria della seconda coppa europea comunque garantirebbe l’accesso del Napoli alla prima e quello di De Laurentiis ai suoi denari. Quindi Rafelone potrebbe non aver torto a concedere qualche attenzione in più alla coppa, e noi in verità siamo sulla sua linea di pensiero. Che poi la vittoria in Europa servirebbe a Rafelone anche come arricchimento dei suoi già ricchi curriculum e conto in banca, non ci sembra questo gran scandalo nel vortice di egoismi e fancazzismi che fanno il professionismo calcistico contemporaneo. Anche i tifosi, che egoisti e fancazzisti non dovrebbero essere, preferirebbero (crediamo) un importante trofeo internazionale (altro che la supercoppetta del golfo Persico) ad un piazzamento nel campionato nazionale. Tutt’al più il rischio è un altro, e cioè quello di non arrivare secondi o terzi in campionato (posizioni buone per accedere alla “cembions”) e nemmeno vincere la coppa, in tal caso emblematicamente perdendo capra e cavoli.
Sulla partita di Verona i commenti potrebbero essere pure superflui se solo non fossero necessari. Il Napoli perde la terza partita consecutiva in trasferta, e quel che è peggio per la terza volta consecutiva offre una prestazione scialba e anonima. Rafelone mette fra le riserve Gonzalo, Manolo e Callejon, e fra i titolari De Guzman, Hamsìk, Mertens e Zapata. Il risultato è che alla solita difesa svagata si aggiunge un centrocampo lento e un attacco effimero. Rafelone ricorre spesso alla turnazione dei suoi sottoposti, non solo in vista di partite di coppe e non solo in partite differenti, viste le sostituzioni quasi scontate in ogni partita e fra i soliti uomini. Tuttavia a Verona, oltre alla formazione evidentemente avventata, è venuto meno lo spirito di gruppo, la grinta, forse la preparazione delle cucuzze alla battaglia. D’altronde battagliare si doveva essendo la partita contro il Napoli, per il Verona, o meglio per i suoi simpatici ultras e di conseguenza per tutta la congrega scaligera, una partita attesissima, una specie di derby senza affinità territoriali. Per i veronesi vincerla è sempre una grossa soddisfazione, una delle maggiori del campionato. E non a caso l’allenatore del Verona Mandorlini Andrea, sempre attento ad arruffianarsi la sua turba, ha molto caricato la partita nei giorni di vigilia, dicendo con espressione d’attore di volere una squadra brutta, sporca e cattiva. E non a caso lo stadio Bentegodi a metà pomeriggio della domenica si riempie, pur senza la presenza di napoletani curvaioli. E in effetti la squadra del Mandorlini alla prova dei fatti gioca secondo lo slogan del suo allenatore, aggredendo gli azzurri e asfissiando in particolare i due nel mezzo Inler e David Lopez. Il gol di sfondamento del vecchio e sempre buonissimo Luca Toni dopo appena sette minuti fa prendere convinzione ai locali e se possibile ne aumenta la cattiveria. Nella prima mezzora il Verona domina in lungo e in largo su un Napoli inerte. Negli ultimi dieci minuti del tempo qualcuno del Napoli tenta di ribellarsi alla situazione imbarazzante e allora Mertens di testa manda il pallone sulla rete esterna e Zapata, nell’unica palla buona avuta, tira bene ma il difensore uruguaiano Rodriguez ci mette il fisicaccio per respingere. Nel secondo tempo, ancora nei minuti iniziali il Verona fa un altro gol; il guerriero norreno Hallfredsson porta la palla dalla sua area a quella napoletana per poi servire al centro Luca Toni che in bella girata supera Andujar. I tifosi dell’Hellas non credono ai loro occhi, così come Rafelone che già dal primo tempo gli occhi ce li ha fuori dalle orbite. Mette dentro prima Callejon (fuori De Guzman), poi Gonzalo (fuori Mesto) e poi Manolo (fuori Hamsìk), ma la sua squadra non cambia passo pur facendosi di inerzia più presente nella zona rossa avversaria. Due tiri potrebbero rimettere in discussione la vicenda e far tribolare l’arena veronese, ma quello di Inler è preso in volo dal portiere Benussi e quello di Manolo si cresima sul palo. Finisce due a zero per il Verona, il Napoli deve meditare e segnatamente il suo allenatore. Problema di approccio alla gara, dice Rafelone negli spogliatoi. Se anche fosse, l’approccio è responsabilità sua, come gli errori della difesa e gli affanni del centrocampo contro certi schieramenti. Ma a commento della nuova sconfitta è già molto che Rafelone, grande maestro di internazionalismo prestipedatorio, non se la sia presa con l’arbitro…