
Coraggio precari della scuola italiana, i giudici europei sono con voi. I precari sono gli insegnanti, gli impiegati tecnici, ausiliari e di segreteria che hanno lavorato per almeno tre anni nelle scuole italiane di ogni ordine e grado; i giudici europei sono quelli della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, di stanza a Lussemburgo. I secondi avrebbero detto che i primi hanno diritto di essere assunti a tempo indeterminato dal ministero dell’Istruzione. Lo hanno sostanzialmente stabilito in una sentenza a seguito di rinvio pregiudiziale promosso nel 2013 da un gruppo di precari italiani, alcuni sotto la guida dei sindacati Anief, Gilda-Unams e CGIL. Altra dimostrazione dell’inutilità del sindacato, n’è vero?… I ricorrenti avevano tutti quarantacinque mesi di servizio scolastico maturati in cinque anni ma i giudici sovranazionali si sono accontentati di molto meno, o meglio, si sono rifatti alla direttiva europea 70 del 1999, la quale prevede l’assunzione non più temporanea dei lavoratori (tutti i lavoratori) che abbiano fatto 36 mesi di servizio, salvo che ciò non sia possibile per “ragioni oggettive”. Una norma che l’Italia ha pure recepito con decreto legislativo del 2001 (numero 368) emanato dal governo Silvio II, ma che lo stesso Silvio II nonché i vari governi succedutigli hanno di fatto vanificato attaccandosi a questo e a quel cavillo. Intanto nella scuola i ricorsi partivano, sempre più numerosi, tantoché nel 2011 il Silvio nel frattempo IV, con indimenticabile Gelmini Maria Stella ministressa all’istruzione, d’accordo con la Consulta ha pensato una “leggiaccia” (una fra le altre) impedente l’assunzione dei precari sulla base di “ragioni oggettive” forzate su punteggi cumulativi già funzionali alla futura assunzione dei temporanei e sulla impossibilità per il ministero di prevedere il fabbisogno di organico prima dell’inizio di ogni anno scolastico.
Tutto l’impianto (difensivo) della legge è stato adesso abbattuto dalla Corte di Giustizia la quale, fra le altre motivazioni, dice che per quanto il settore scolastico testimoni un’esigenza particolare di flessibilità, lo Stato italiano non può esimersi dall’obbligo di prevedere una misura adeguata per cessare il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Inoltre, secondo la Corte la normativa italiana non può continuare a consentire rinnovi di contratto a tempo determinato senza indicare tempi certi per l’espletamento delle procedure concorsuali e ignorando il risarcimento del danno che tali rinnovi legittimerebbero a favore dei precari rinnovati. Risarcimento del danno a favore dei precari rinnovati anno per anno! Altro che sottomissione e obbligo alla riconoscenza dei rinnovati (e a vita rinnovabili) nei confronti di chi spesso e ai limiti spinti del lecito gestisce le graduatorie, come invece succede in Italia e al sud specialmente. La Corte, fra i 122 punti della sentenza, al punto 103 premette che l’esistenza di una «ragione obiettiva» dell’accordo quadro escluderebbe, in linea di principio, l’esistenza di un abuso, a meno che un esame globale delle circostanze sottese al rinnovo dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato rivelasse che le prestazioni richieste del lavoratore non corrispondano ad una mera esigenza temporanea. E nel successivo punto 104 la sentenza va oltre la linea di principio dicendo testualmente: “Di conseguenza, contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, il solo fatto che la normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali possa essere giustificata da una «ragione obiettiva» ai sensi di tale disposizione non può essere sufficiente a renderla ad essa conforme, se risulta che l’applicazione concreta di detta normativa conduce, nei fatti, a un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato”. E la successione abusiva di contratti determinati viene alla fine sancita dalla Corte.
I giudici della Corte di giustizia così emettono una sentenza, in attesa del dispositivo, forse decisiva per iniziare a superare lo stato d’eccezione del diritto degli Stati membri per via della supposta impossibilità di spendere soldi “sostenuta” dai simpatici banchieri della troika, in direzione dell’effettiva applicazione dei diritti tanto strombazzati dei cittadini europei. In Italia la sentenza può diventare il grimaldello con cui sfondare la porta del precariato, ovviamente con l’ausilio dei tribunali nazionali. Anche i lavoratori “instabili” di settori pubblici altri dalla scuola potrebbero beneficiare della sentenza, estendibile sempre per effetto del principio di non discriminazione fra lavoratori.
A questo punto, una nota di (gran parte di) merito va al Tribunale di Napoli da cui tutto è partito; il tribunale napoletano infatti, dopo una sentenza della Cassazione del 2012 che escludeva la possibilità di un rinvio pregiudiziale della faccenda alla Corte di Giustizia, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale presso la Consulta, che a sua volta ha deciso di chiedere l’intervento del Lussemburgo per sentenziare definitivamente sui ricorsi. Non a caso, molti (forse tutti) dei nove ricorrenti per i quali si è pronunciata la Corte sono campani, una di essi ricorreva contro il Comune di Napoli. Ognuno di essi andrebbe solennemente celebrato con gli onori riservati al patriota, perché capace di portare il nome di Napoli (o Avellino-Salerno-Benevento-Caserta) oltre gli angusti confini provinciali e regionali, nell’alveo europeo dove il suo amor di giustizia riusciva a trovare approvazione e riconoscimento. La scuola pubblica. Adesso, come inevitabile che fosse, negli ambienti sindacali della scuola e fra gli studiosi della materia sono cominciate le interpretazioni della sentenza e le previsioni di scenario, davvero molto complicate stante il gran casino di fasce, abilitazioni, graduatorie ad esaurimento, graduatorie bloccate, supplenze spezzate, supplenze fino al 30 giugno e supplenze fino al 31 agosto e così non capendoci nulla chi non è della consorteria e spesso neanche loro. Qualche sindacalista impaziente già ha minacciato di ricorrere alle vie legali se entro trenta giorni dalla sentenza del 26 novembre il governo di Matteo il proclamatore non darà inizio alla stabilizzazione dei precari. Per parte sua, il proclamatore da un lato qualche settimana fa annunciava con trasporto il processo di stabilizzazione di non meglio precisati trecentomila (!) precari della scuola e cominciava il nuovo tormentone della “scuola buona” (a voler dire che prima era cattiva?), dall’altro lato nella legge di stabilità il suo governo tagliava risorse a personale docente e ATA per trovare il miliardo d’euro necessario a far buona la scuola. Probabilmente, la sentenza della Corte di Giustizia fa quadrare anche quell’uscita temeraria e rotondeggiante di Matteo sparane un’altra sui trecentomila da mettere a posto: come non pensare che qualcuno avesse messo in guardia Matteo sulla concreta possibilità che la Corte potesse dar ragione ai precari e condannare lo Stato italiano? Meglio saltare prima sul carro dei vincitori, avrà pensato Matteo, che di imbarcamento di sbandati e di ex antipatizzanti se ne intende…Del resto, il procedimento della Corte è menzionato fra le ragioni alla base della riforma del governo.
Tuttavia la ministressa all’istruzione, Stefania Giannini, già fa sapere che la sentenza non cambierà il piano scuola buona, a suo primo dire già buono per centoquarantottomila fra insegnanti e impiegati di segreteria sebbene i secondi non risultino menzionati fra le nuove assunzioni stabili nelle centoventisei pagine abbondanti del documento. Poi, il giorno dopo, la ministra dice che in realtà i posti vacanti e disponibili sono quindicimila…Il giorno dopo ancora mette in mezzo i possibili ricorsi di massa dei suoi discoli dipendenti e dice che a quel punto non sarebbe più un problema del governo…Oh Matteo, la ministra è in confusione, qualcuno l’aiuti.