
La luce della verità sulla morte di Giulio Regeni, avvenuta al Cairo il 3 febbraio 2016, diventa, con il passare dei giorni, sempre più difficile da intravedere. Secondo indiscrezioni pubblicate dal NYT, che cita tre funzionari della sicurezza egiziana coinvolti nelle indagini, Giulio Regeni fu fermato e portato via dalla polizia il 25 gennaio in quanto scambiato per una spia “per via di alcuni contatti sul telefono di persone legate all’opposizione antigovernativa”. Si tratterebbe, su tali basi, della prima ammissione da parte di esponenti delle autorità egiziane, seppur in forma anonima, della colpevolezza e responsabilità degli apparati di sicurezza nella morte del giovane ricercatore italiano originario di Fiumicello, piccolo paese in provincia di Udine. Tuttavia, il possibile coinvolgimento della polizia alle dipendenze del dittatore Al Sisi rappresenta certamente un ostacolo per il lavoro degli investigatori italiani i quali, inviati in territorio egiziano, faticano a raccogliere elementi utili, posto che le attività investigative in loco procedono con lentezza soprattutto per le metodologie di indagine differenti da quelle italiane.A ricostruire gli ultimi momenti di vita di Giulio Regeni è anche il giornale egiziano “Watan”, secondo cui la magistratura egiziana starebbe visionando registrazioni di video sorveglianza della zona in cui il giovane italiano è scomparso: via Sudan. Di conseguenza, le forze di sicurezza avrebbero setacciato la strada ed in particolare i negozi che vi si affacciano, al fine di informarsi sulla esistenza di videocamere che avrebbero ripreso le immagini della vittima prima del rapimento al fine di occultare le prove. A tali indiscrezioni trapelate, emergono poi nuovi ed agghiaccianti dettagli delle torture subite dal Regeni: il corpo, tra le varie sevizie subite, presentava anche sette costole rotte e segni di scosse elettriche sui genitali. Una morte atroce, dunque, quella del ricercatore italiano, giudicato colpevole, con molta probabilità, di aver intrattenuto, durante il soggiorno al Cairo, contatti con persone vicine ai Fratelli Musulmani, bollati come organizzazione terroristica dopo la destituzione del Presidente Mohamed Morsi avvenuta nell’estate del 2013, ed al Movimento 6 Aprile, i cui leader sono oggi in carcere per le proteste di fine 2013 contro la legge che limita le manifestazioni antigovernative. Il clima che oggi si vive in Egitto è quindi quello di un paese dominato dalla feroce dittatura di al Sisi, determinando in pochi anni dalla presa del potere un profondo deterioramento della situazione dei diritti umani. Solo nel 2014, secondo dati dell’ Associated Press, 16 mila sono state le persone arrestate fra i gruppi di opposizione mentre il Centro egiziano per i diritti economici e sociali riferisce di 40 mila arresti fra luglio 2013 e metà maggio 2014. Stupri, torture ed arresti arbitrari sarebbero oggi all’ordine del giorno nel paese, data la totale libertà di azione delle forze di sicurezza nella repressione di ogni attività definita come sovversiva dal governo. Tali dati, ci inducono a riflettere sulla impossibilità nella ricerca della verità piena sulla morte di Giulio Regeni, un diritto assoluto spettante alla famiglia del giovane, brutalmente ucciso in un paese in cui la parola democrazia non è neppure pronunciabile.