
Capita spesso di eseguire lavori condominiali, magari al terrazzo, e dopo un certo periodo di tempo si nota vizi, nel caso di specie infiltrazioni, che danneggiano l’immobile.
Fino a quando è possibile imputare la responsabilità alla ditta appaltatrice che ha eseguito i lavori?
A te domanda viene in aiuto l’art. 1667 del codice civile che recita: “L’appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera. La garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l’opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o erano riconoscibili, purché in questo caso, non siano stati in malafede taciuti dall’appaltatore.
Il committente deve, a pena di decadenza denunziare all’appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta. La denunzia non è necessaria se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati.
L’azione contro l’appaltatore si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell’opera. Il committente convenuto per il pagamento può sempre far valere la garanzia, purché le difformità o i vizi siano stati denunciati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna”
Recentemente è intervenuta anche la Cassazione con l’ordinanza 33053/2024, pubblicata il 18 dicembre 2024, nella quale vi era stata la peculiarità dell’ammissione, da parte della stessa impresa appaltatrice, del riconoscimento dei vizi dell’opera, come risultava dal verbale di mancato collaudo e da una lettera con la quale si dichiarava disponibile a fornire mezzi, manodopera e materiali per il ripristino della facciata al solo costo degli stessi, rinunciando a qualsivoglia utile d’impresa, riconoscendo, l’esistenza dei vizi senza che assumesse rilevanza il fatto di non poterne identificare le cause.
Questa circostanza, aveva ribaltato il giudizio di Appello e per l’effetto il secondo Giudice – diversamente da come aveva fatto il Tribunale – aveva condannato la ditta appaltatrice al risarcimento del danno.
L’ammissione da parte della società costruttrice aveva “inguaiato” la ditta appaltatrice e, osservava la Corte, “implicava l’assunzione di una nuova obbligazione diversa ed autonoma rispetto a quella originaria soggetta al solo termine prescrizionale ordinario decennale che nella specie non era decorso, essendo stato proposto ricorso per l’accertamento tecnico preventivo e l’atto di citazione notificato entro il termine di 10 anni decorrente dal riconoscimento avvenuto e che, come riscontrato in sede di accertamento tecnico preventivo, i vizi erano da imputare ai lavori non eseguiti a regola d’arte dalla ditta appaltatrice”
Seguiva – inevitabilmente – il giudizio in Cassazione, che ribaltava nuovamente le sorti e accoglieva le tesi della ditta appaltatrice, sulla base dei seguenti principi di diritto:
- il semplice riconoscimento dei vizi e delle difformità dell’opera da parte dell’appaltatore implica la superfluità della tempestiva denuncia da parte del committente, ma da esso non deriva automaticamente, in mancanza di un impegno in tal senso, l’assunzione in capo all’appaltatore dell’obbligo di emendare l’opera, che, ove configurabile, è una nuova e distinta obbligazione soggetta al termine di prescrizione decennale; ne consegue che il predetto riconoscimento non impedisce il decorso dei termini brevi della prescrizione previsti in tema di appalto;
- anche in presenza di un riconoscimento dei vizi e delle difformità dell’opera da parte dell’appaltatore – riconoscimento che elide l’onere di effettuare la denuncia- non può farsi discendere automaticamente dal riconoscimento medesimo l’assunzione in capo all’appaltatore dell’obbligo di emendare l’opera, in assenza della prova di un impegno in tal senso, con la conseguenza che il predetto riconoscimento non impedisce il decorso dei termini brevi della prescrizione in materia di appalto.
Cosa insegna questa vicenda: Negare, negare, negare sempre!