Ieri, le celeberrime gemelle Kessler, hanno lasciato il palcoscenico terreno. Una danza verso il cielo sincronizzata e congiunta, commovente e controversa, che accende un dibattito su diritti, affetti e limiti della legge. Secondo fonti vicine, le sorelle avrebbero deciso insieme di ricorrere al suicidio assistito: una scelta estrema, ma meditata e programmata, come programmato sarebbe stato anche il giorno. Un gesto che riporta al centro della scena pubblica il profilo legislativo e morale di un tema delicatissimo. La legge italiana, e di molti altri Paesi, consente il suicidio medicalmente assistito solo in circostanze molto rigorose, con criteri medici, psicologici, ripetute conferme di volontà e garanzie contro abusi. Essa è pensata per tutelare l’individuo quando la sofferenza è insopportabile, ma presuppone sempre una scelta autonoma, compiuta in piena lucidità e libertà.

Nel caso delle gemelle del varietà della televisione, tuttavia, l’autonomia diventa più sfumata, perché il loro rapporto era noto da anni per essere straordinariamente unito. Condivisero palcoscenico, vita privata, successi e dolori, ma molti osservatori sostengono che quella complicità potesse nascondere una dipendenza profonda. Non semplicemente due sorelle affiatate, ma due metà che facevano dell’altro specchio, rifugio e ancora di salvezza. Quando una affrontava la sofferenza, l’altra era lì, come una presenza insostituibile, e forse questa vicinanza ha finito per limitare il respiro delle loro vite, impedendo quasi relazioni esterne, alternative sostegni, prospettive diverse.

Dal punto di vista etico ci si sono interroga: poteva una legge prevista su scelte personali coprire una decisione collettiva? Era vera libertà o amore, sotto certi aspetti malsano, che diventava una gabbia dorata? L’ordinamento tutela la volontà, ma fatica ad affrontare il turbamento psicologico dovuto all’attaccamento affettivo. Gli psicologi avvertono che quando l’identità è costruita sull’altro, la distinzione tra scelta consapevole e bisogno emotivo si confonde. La linea è tanto sottile tra altruismo ed egoismo. La legge, anche con le verifiche, può faticare a decifrare questa zona grigia.
Molti colleghi delle due star tedesche, hanno raccontato che, fuori dalle scene, le sorelle erano molto fragili se non insieme. I più critici sostengono che la loro decisione, pur voluta, nascondesse una solitudine profonda, l’unica possibile dopo anni in cui il loro legame era tutto: non amiche, non colleghe, ma sorelle incatenate a doppio filo. In morte, come in vita, hanno scelto di non lasciarsi mai per mano, ma questa unione ha riacceso il dolore della solitudine, perché nessun altro poteva davvero entrarvi.

Alla fine il Paese si è diviso fra chi loda il diritto di mettere fine alla sofferenza e chi teme che un affetto troppo intenso possa trasformarsi in un vincolo insostenibile. Quel vincolo le ha accompagnate fino all’ultimo istante, e ieri se ne sono andate insieme, come due note di un unico spartito che improvvisamente silenzia l’orchestra. Nell’aria rimane il lieve tremolio di un “Da-da-un-pa”, fragile e dolce, che risuona ancora come il ricordo di un legame unico e irripetibile.
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