
Nyko Piscopo, Eleonora Greco, Leopoldo Guadagno, Nicolas Grimaldi Capitelli, Francesco Russo: le pietre miliari della compagnia di danza “Cornelia“, produzioni all’attivo in tutto il mondo, una carriera invidiabile malgrado la giovanissima età ed un radioso futuro che si prospetta dinanzi: l’orizzonte gli ha spalancato le porte del Campania Teatro Festival diretto da Ruggero Cappuccio, in occasione del quale Nyko ha messo in scena al Teatro Sannazzaro “Elettra“, in serata condivisa con “Your body is a battleground” (che rimanda alla duplice immagine dell’artista Barbara Kruger, in occasione della marcia delle donne di Washington nel 1989 in merito all’aborto negli USA ed alla libertà femminile sul proprio corpo) per la regia di Adriano Bolognino, presentato alla Biennale di Venezia nel 2020.
Domina il palco di “Your body is a battleground” un’unica protagonista, la danzatrice Rosaria Di Maro, che incanta il pubblico con una sensualità anticonvenzionale e mai remissiva.
“Elettra” è invece performata da Eleonora Greco, Elisabetta Violante e Valentina Schisa, magistrali nella sincronia di un dinamismo così perfetto da sembrare irreale.

Tema cruciale di ambedue le opere, la donna, da sempre simbolo di fertilità e di seduzione, ancora oggi soggetta alla strumentalizzazione economica, politica e sociale. La donna che da voce al proprio impeto, alla propria ribellione, un inno universale contro chi la vorrebbe relegare ai margini della società tappandole la bocca; emblematica, a tal proposito, la scelta coreografica di adottare un nastro rosso durante la pièce “Your body is a battleground“, letteralmente “Il tuo corpo è una campo di battaglia“; ed è proprio così, la femminilità viene spesso deturpata, profanata, osteggiata, ridotta in cocci sui quali è difficile imparare a camminare, e le donne sono costrette a difendersi con l’audacia delle più virtuose combattenti.

Ad indicare il sentiero di “Elettra” ha pensato Nyko, che con immenso piacere ed orgoglio si è lasciato intervistare: formatosi a Napoli e in Germania, ha lavorato come danzatore al Teatro Moravo di Olomuc ed al Teatro Nazionale Croato a Rijeka; ha preso parte ad innumerevoli progetti tra i quali: “Time: Study: A Week” di Bill T Jones nell’ambito del Ravello Festival, “Prometheus“ di Luisa Guarro per il Festival International Forum of Ancient Cities a Ryazan e le produzioni della compagnia Ballet- ex a Roma; in qualità di coreografo ha portato alla ribalta i lavori “Esperimenti su un corpo già perfetto” e “Sweet Swan Sway“. Diamo ai lettori la possibilità di conoscerlo meglio.
- Buonasera Nyko, innanzitutto grazie per la tua disponibilità.
“Grazie a te“.
- Raccontaci un pò come nasce la compagnia Cornelia, quando nasce e perché avete scelto proprio questo nome.
“La compagnia Cornelia nasce nel 2019, ma l’idea è nata molto prima: era in fieri dall’incontro tra me ed i miei soci, appunto, Eleonora Greco, Leopoldo Guadagno, Nicolas Grimaldi Capitelli e Francesco Russo, componenti attivi della stessa; siamo tutti danzatori, ex danzatori, coreografi, e abbiamo deciso di unirci artisticamente prendendo parte a diverse produzioni come interpreti; da lì è nato un progetto da sviluppare in merito all’arte e al mondo dello spettacolo, trovandoci tutti molto in sintonia e dando vita ad un vero e proprio team.
Il nome Cornelia deriva proprio da un’identità che volevamo dare a questa compagnia, un’entità fisica che non avesse un nome autoreferenziale, quindi un’entità al di fuori di noi, che però racchiudesse quelle che sono le nostre idee, ad esempio quella dell’immortalità dell’arte: a tal proposito abbiamo deciso di affidarci all’immagine di una donna anziana, al fine da rafforzare il concetto secondo il quale l’arte va coltivata sempre, e chi è artista lo è fino alla fine dei tempi”.
- Parliamo del dolore: per i Greci antichi il dolore connaturato all’uomo veniva rappresentato, perché non aveva alcun senso, quindi era parte dell’esistenza. Sarà poi con il Cristianesimo che diverrà caparra della vita eterna e dunque avrà senso. Trovi che sia inerente allo spettacolo che hai messo in scena?
“Il dolore, tema portante di questo spettacolo, è un dolore imploso, e qui mi sono ispirato molto alla grecità dell’opera, al fatto che il lamento fosse introspettivo; un lamento che si protrae per sempre e non conosce via d’uscita in quanto etichetta molto forte in una figura come Elettra che è la rappresentante per antonomasia della sofferenza interiore. Io al Cristianesimo non mi ispiro perché non credo in quegli ideali, ma continuo a rapportarmi all’esperienza di tutti i giorni in una società oltremodo cristiana; mi pongo tante domande, pur tendendo a guardare sempre al passato, e sono certo che si vivesse meglio prima“.
- Il dolore della donna attraversa i secoli, in quanto è stato il genere più penalizzato dalla storia e dalla sottocultura maschilista. I Greci rappresentavano donne forti come Clitennestra, Penelope, Medea, le quali affrontavano il loro destino e se anche non potevano cambiarlo radicalmente cercavano attraverso la forza della mente e delle azioni esterne (vedi Medea) di riaffermare la propria dignità. Elettra a mio parere rappresenta una di queste figure femminili forti, benché apparentemente passive. Sei d’accordo?
“Certo. Io cerco di essere il più narrativo e concreto possibile, però in questo spettacolo ho cercato di tenere tutto su un filo immaginativo molto sottile: infatti l’idea di un’ Elettra che soffre e che tenta di riscattarsi la possiamo vedere nelle sequenze coreografiche, complicate, e magari è impossibile raggiungere la perfezione tecnica a livello strutturale; per me questo significa “Reagire” ma non arrivare a nulla, perchè reagire presuppone una non accettazione di se stessi, un rifiuto della propria persona, non affrontare la propria condizione, fuggire… Si può reagire in tanti modi; in “Elettra” si reagisce semplicemente accettando la propria condizione, ossia essere una persona forte ma attendere il momento per emergere: chiunque necessita di maturità, ed io non condivido l’affrontare il domani senza averne vissuto le dinamiche in maniera concreta. Se Elettra non fosse diventata una sorta di concubina non sarebbe riuscita a comprendere la sua forza d’animo; per me era importante proprio delineare il passaggio, non sono giunto né ad una conclusione né sono partito da un punto preciso: mi limito a restare in una posizione intermedia, come dicevano i latini “In medio stat virtus“, ed è l’unico modo per capire il turbinio di emozioni che si prova durante uno stato d’animo particolare, che ha contraddistinto l’esistenza di qualsiasi persona. D’altro canto siamo frutto di una storia, non solo di un ventre”.
- I Greci hanno inventato il teatro per parlare della condizione umana e del rapporto tra uomo, le potenze estreme e il mondo. Essi vedevano l’uomo non come malato, quando è preda dell’angoscia, come farà la psicoanalisi, o come peccatore da redimere, come farà il Cristianesimo, ma come tragico, per cui la vita e il suo triste destino venivano portati in scena senza remore. Credi come me che la tragedia sia ancora una forma d’arte da proporre e che abbia seguito, indipendentemente dalla tua rappresentazione così originale e così accattivante?
“Assolutamente; infatti il tentativo di giovani artisti della mia età ma anche di quelli della generazione successiva è di tornare un pò ad esprimere uno stato d’animo forte, mentre la difficoltà è quella di restare autoreferenziali, altrimenti si passa ad un racconto di se stessi senza riuscire a coinvolgere nessuno; il teatro greco aveva proprio la capacità di far sentire tutti parte di uno stato d’animo, una collettivita integrata perfettamente nella πόλις. Sono tutti tentativi che almeno io sto facendo per cercare di connettermi al pubblico e di parlare ai loro animi. Io lavoro con le persone, come dico sempre, e non con i danzatori: danzatori sembra un mestiere, e benché sia degno di rispetto, io lavoro in primis con le persone, per cui mi interessa ciò che è nella loro mente, nei loro occhi e nel loro cuore; bisogna fare prima questo passo per arrivare ad una risonanza emotiva universale e raccontarla in scena. Penso che attraverso le tragedie classiche e la letteratura in generale si riesca a ritrovare quell’ancestrale senso di umanità.
- Dario Fo è stato tra i pochissimi autori teatrali che hanno sottratto il teatro a una dorata inutilità. Dopo di lui, tranne poche eccezioni, il teatro non è riuscito più a “Graffiare” nel senso di denunziare situazioni sociali oppure semplicemente esaminare nel dettaglio la condizione dell’uomo. Questa tua opera certamente fa pensare, e invoglia il pubblico a soffermarsi su tanti aspetti della vita. Credi che ci possono essere nuove occasioni per il teatro, con altri autori, per tornare a essere un teatro vitale e “Colto” come il tuo?
“Attualmente credo che ci sia fermento ma non riferimento: senza ombra di dubbio negli ultimi anni si è svolto un grande lavoro sul corpo e sul movimento; manca tuttavia il lato sociale, e trovo sia un problema comune alla nostra generazione, che non ha riferimenti ed è stata ahimé sottovalutata, penalizzata. Dovrebbe esserci dapprima un recupero di autori, ed è la ragione per cui io cerco di ispirarmi sempre a maestri per me davvero d’impatto, oppure di collaborare con più figure professionali possibili, così da creare quel flusso di energia e di giungere ad un punto importante; non so se ci riuscirò, non so se ci riesco in ogni spettacolo, ma so per certo che quello è l’intento”.
- La donna nell’antica Grecia era figura subalterna nella vita sociale, dipendente in tutto, prima dal padre, poi dal marito o dal signore, nel caso fosse una concubina. Il paradosso sta nel fatto che questa donna così sottomessa e passiva nella cultura tragica degli stessi Greci diventava la portatrice di emozioni e sentimenti, contrapposti alla razionalità maschile che si evidenziava nelle istituzioni e nella legge. Antigone disobbedisce a Creonte e viene condannata nonostante in tanti intercedessero per salvarlo, Elettra che sfida la paura e i condizionamenti per vendicare il padre, ma soprattutto Medea, che lascia Giasone tormentarsi nel dolore. Sono stati esempi di contrasto tra personalità, emotività femminile e pragmatismo maschile. Credi che tutt’oggi la donna, in un mondo che parla la lingua di un solo genere, sia la rappresentante dei veri sentimenti, l’eroina di passioni e amori?
“Credo che i tentativi siano stati fatti e che si possano fare, però credo sia complicato capire quale chiave utilizzare per raccontare questo: io ad esempio in un mio spettacolo di qualche anno fa ho rivisitato “Il lago dei Cigni“, facendo assumere alla figura di Odette, una donna che viene trasformata in un animale e che ruota intorno alla figura di un uomo, l’azione in scena, rendendola una nuova se stessa; in “Elettra” ho tentato di fare emergere forza, sensibilità e pazzia (nel senso ironico naturalmente), sempre in una maniera molto sottile, in modo da far riflettere. Spesso quando si vuole far riflettere una persona non le si devono spiegare i concetti, è necessario affidarla alla sua creatività, libera di spiccare il volo; sto dunque sperimentando vari tentativi, eppure per me la figura femminile è permeata di importanza, in primis perché mi appartiene, in secundis perché è colonna portante della mia vita con tante donne che conosco; cercherò sempre di trovare la chiave giusta per analizzarla, che può essere diversa perché bisogna procedere per gradi: è lo stesso meccanismo che si instaura quando si spiega ad un bambino come vengono al mondo i figli; prima di giungere alla spiegazione definitiva si mettono a fuoco varie teorie, ed io sono alla perpetua ricerca di una chiave di risoluzione esaustiva.
- Simone de Beauvoir, antesignana del femminismo, nel suo libro “Il secondo sesso” affermò che: “Donne non si nasce, si diventa. C’è il soggetto poi c’è l’altro”. L’obiettivo era identificare l’uomo come soggetto neutro e universale, annientando l’altro sesso; pertanto la donna diventava “Altro”. Un monito affinché le donne si ribellassero allo status quo attribuitogli. Credi anche tu che non si nasca donna ma lo si divenga?
“Si, senza ombra di dubbio: per me la nascita ha un sesso biologico ma poi bisogna essere liberi di diventare ciò che si vuole; dipende sempre da cosa vuol dire “Donna” e cosa vuol dire “Uomo”, perché a volte ci si perde nelle etichette; magari io reputo la “Donna” l’opposto di ciò che la società pensa. A mio avviso è necessario recidere tanti cliché; prima abbiamo parlato di Cristianesimo, e sappiamo quanto quest’ultimo abbia inciso sul ruolo della donna, relegata in un ruolo prestabilito ed incapace di abbandonarlo; l’immagine della donna come “Angelo del focolare” è uno dei retaggi culturali che dovrebbe essere scardinato per sempre“.
L’abilità dialettica di Nyko mi conquista fino alla fine, come la disinvoltura con cui risponde alle mie domande; d’altronde solo una persona rara può carpire la profondità di determinati argomenti, farli propri e portarli sul palcoscenico; se si tratta poi di un giovane talento, il trionfo diviene doppio!
E doppia è la gratitudine nei confronti di Nyko per avermi concesso questa illuminante chiacchierata, per aver visto laddove gli altri si sono limitati a guardare.
Ad maiora Nyko!
