
In una epoca come quella attuale, dominata dalla crisi dei valori e dalla esasperazione della globalizzazione informatica, diventa sempre più difficile trovare punti di riferimento ed esempi da seguire. In Italia, tuttavia, merita una particolare attenzione la figura di Ilaria Cucchi,38 anni e madre di due figli, quale esempio di donna coraggio: una donna che continua a lottare e contrastare, con l’unica arma della determinazione incrollabile,il tentativo di offuscare, depistare e coprire le vere cause che portarono, il 22 ottobre del 2009, alla morte del fratello Stefano avvenuta per causa imputabile allo Stato durante la custodia cautelare. La verità processuale ci ha raccontato in questi anni qualcosa di ben diverso rispetto alla verità storica, basti pensare che dopo quasi quattro anni dal decesso, fra indagini e dibattimento, la III Corte di Assise di Roma ha pronunciato sei condanne per omicidio colposo e sei assoluzioni per non aver commesso il fatto: in altre parole, colpevoli i medici dell’ospedale Pertini mentre dichiarati innocenti gli infermieri e gli agenti di polizia penitenziaria. Stefano Cucchi non fu pestato nelle celle ma morì in ospedale per malnutrizione in quanto l’attività dei medici fu segnata da trascuratezza e sciatteria. Il 31 ottobre 2014, invece, con sentenza della Corte di appello di Roma, tutti gli imputati venivano assolti, quindi anche i medici, mentre nell’udienza pubblica del 15 dicembre 2015 la Corte di Cassazione disponeva il parziale annullamento della sentenza di appello ordinando un nuovo processo per cinque dei sei medici dell’Ospedale Pertini. Ben altra cosa è invece la verità storica, negli ultimi due mesi diventata incredibilmente chiara, evidenziando responsabilità nei confronti di coloro i quali fermarono il geometra Stefano Cucchi il 15 ottobre del 2009 per spaccio di stupefacenti: i componenti dell’arma dei carabinieri. Si tratta di una verità ottenuta dopo sei anni di battaglie e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, con Ilaria Cucchi in prima linea in una guerra all’omertà e al depistaggio combattuta, in particolar modo, contro quella parte politica italiana che ha sempre sostenuto il nesso causale fra tossicodipendenza e morte. La grinta ed il coraggio di Ilaria Cucchi, simbolo di una Italia che crede nella validità del principio di legalità, quale principio alla base di uno Stato sociale di diritto, hanno determinato l’apertura di una inchiesta bis sulla morte del fratello Stefano. In particolare,l’attenzione degli investigatori si è focalizzata in un arco temporale ben preciso,dal momento dell’arresto fino all’arrivo nelle celle del tribunale, provando a dare fondamento alla tesi dei giudici di appello che avevano sostenuto che il Cucchi “fu sottoposto ad azioni di percosse” e “ non può essere definita una astratta congettura l’ipotesi,prospettata in primo grado, secondo cui l’azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che lo hanno avuto in custodia nella fase successiva alla perquisizione domiciliare”. Ecco,dunque, l’immediata iscrizione nel registro degli indagati di cinque carabinieri: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco,Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini. Per la prima volta, si è ipotizzato il reato di lesioni aggravate per i primi tre militari che parteciparono alla perquisizione in casa Cucchi ed al suo trasferimento nella caserma Appia mentre per Nicolardi e Mandolini l’accusa è di falsa testimonianza. Intanto, venerdì 29 gennaio 2016 si terrà l’incidente probatorio per accertare la causa della morte di Stefano Cucchi, come chiesto dalla procura. La speranza è che si riesca ad ottenere verità e giustizia, in sede processuale, in relazione a quanto accaduto nei confronti di un giovane morto nelle mani dello Stato e se oggi diventa concreta la possibilità di ottenere un dibattimento lo si deve soltanto al coraggio di Ilaria Cucchi che con la sua tenacia è riuscita ad alzare
quel velo di impunità che ha da sempre contraddistinto gli abusi commessi dalle forze armate e quasi mai puniti severamente.