
In occasione dei mesi di sensibilizzazione sulla violenza di genere, violenza contro le donne, femminicidio, Daniela Poggi e Mariella Nava debutteranno con lo spettacolo “Figlio, non sei più Giglio“, l’8 novembre al Teatro Verdi di Forlimpopoli, per una tournée che le vedrà impegnate fino a metà dicembre in varie città d’Italia.
Rappresentazione scritta e diretta da Stefania Porrino, distribuzione di Chiara Giuria Cortese, con musica dal vivo a cura di Mariella Nava. Il progetto nasce dalla società di Daniela Poggi, “Bottega Poggi” SRLS/Impresa Sociale, iscritta al terzo settore per promuovere e diffondere cultura, dunque per poter raggiungere maggiormente i giovani: a tal proposito, lo spettacolo verrà rappresentato anche nelle scuole con matinée, al fine di toccare quei cuori che oggi sono spugne estremamente ricettive, dunque capaci di ricevere miele; il miele dell’amore, del rispetto, della condivisione, dell’accoglienza, della conoscenza e del sapere, e per rivolgersi altresì a quei cuori un po’ più induriti. Bottega Poggi per questo spettacolo ha un supporter molto importante, l’associazione Global Thinking Foundation, che si occupa della violenza economica contro le donne, o sulle donne, o verso le donne.
Prendendo spunto dalla famosa lauda “Il pianto della Madonna” di Jacopone da Todi, l’autrice Stefania Porrino delinea in questo monologo la figura di una donna moderna, Maria, interpretata da Daniela Poggi, che vive anch’essa il dolore di una spada che le ha trafitto il cuore ma in una situazione rovesciata in cui l’amato figlio non è vittima innocente dell’altrui malvagità ma autore egli stesso di violenza su una donna, su una madre che, come sua madre, è portatrice di vita.
I pensieri, le domande e i sentimenti di Maria, costretta a misurarsi con la sua impotenza di fronte alla violenza perpetrata dal figlio su un’altra donna, vengono offerti al pubblico sotto forma di una lettera che la madre scrive al figlio per tentare di ricostruire le possibili e molteplici cause dell’atto assassino da lui compiuto e trovare uno spiraglio di speranza in una sua rigenerazione interiore che renda possibile a lei- madre- perdonare un figlio che non è più giglio.
Per esaltare l’impatto emotivo dell’esperienza di Maria, al testo in prosa si intrecciano le musiche di Mariella Nava creando un unico flusso di emozioni che intendono coinvolgere mente e cuore degli spettatori.

In foto, la bellissima Daniela Poggi
Daniela e Mariella hanno accettato di rilasciare un’intervista ai nostri microfoni, ed io non potrei esser loro più grata.
- Molte persone credono che basti qualche manifestazione rumorosa o affidarsi all’etica comportamentale per sconfiggere o contenere quel fenomeno che con un neologismo orribile viene definito “Femminicidio”, ovvero la violenza estrema sulla donna, da parte del marito/compagno di turno. Credo, invece, che nessun cambiamento radicale di fenomeni così rilevanti possa avvenire senza prima aver capito la genesi del loro divenire e presentarsi, oramai sempre più frequentemente, riempendo le cronache dei giornali e dei notiziari televisivi, e mettendo in programma una “Rivoluzione culturale”, uno scuotersi delle coscienze, un cambio dei costumi e delle mentalità. Bisogna risalire alle radici storiche e psicologiche del gesto omicida, della violenza in generale sulle donne. Capire perché non ci si riesce a liberare dall’ideologia patriarcale che per secoli ha negato alla donna lo status d’altro da sé: autonomo ed emancipato. Daniela Poggi, cosa ne pensa al riguardo?
Daniela: “Riuscire a capire da dove nasca la gelosia, è una domanda che il mio personaggio si pone; non credo sia così facile dare una risposta, in quanto il fenomeno della gelosia risulta essere oggetto di studio da millenni, ma ancora non è stata trovata una definizione appropriata. Probabilmente si tratta di un sentimento che appartiene all’essere umano, la differenza sta nel come viene esplicato, che ruolo gli si dà all’interno della propria stessa vita, oppure della propria personalità, del proprio modo di essere, che ruolo si attribuisce a questa caratteristica dell’esistenza; la gelosia, infatti, può anche essere sana, non deve per forza implicare un omicidio. Alcune persone non conoscono minimamente il sentimento della gelosia, ognuno di noi ha un lato oscuro ed un lato chiaro, tutto sta nello scegliere quale dei due far apparire maggiormente: nella nostra pièce abbiamo scelto di non dare protagonismo alla vittima di femminicidio, colei che è stata uccisa, perché vi è anche una morte dell’anima, e non solo quella corporale, quella di una madre: nel momento in cui una madre sa di aver partorito un essere umano che di umano non ha più nulla, essendo egli riuscito a togliere la vita a una donna, che è una donna come lei, a una madre che è come lei è stata, possono subentrare milioni e milioni di domande.
Noi vorremmo anche sollecitare un nuovo modo di affrontare questa tematica, la tematica della famiglia, delle educazioni, dei retaggi culturali, la provenienza di ognuno di noi, e dare alle donne quel ruolo di “Nuova coscienza”: forse bisogna cominciare ad affrontare la vita con una nuova consapevolezza, intanto che non siamo tutti sbagliati o giusti, bensì tutti complici l’uno dell’altro; la società è complice, perché laddove c’è un omicidio, qualunque esso sia, la stessa società diviene colpevole, dunque siamo tutti colpevoli. All’interno del nostro spettacolo, noi inseriamo anche un ricordo durante il quale il bambino taglia la coda ad una lucertola, e questo è un qualcosa che ho voluto personalmente, dato che i bambini, spesso e volentieri, purtroppo, torturano gli animali, ed in quest’ultimo periodo della nostra vita abbiamo visto quanta violenza è stata perpetrata quotidianamente sugli esseri animali; costoro vengono visti dall’uomo come diversi, inferiori, e dunque sui quali agire nel modo più violento possibile.
E’ uno spettacolo, insomma, che Stefania Porrino ha scritto e che Mariella commenta con le sue splendide canzoni (di cui una inedita, scritta ad hoc per la rappresentazione), e che vuole proprio sollecitare il pensiero ponendo domande, riflessioni, ed io vorrei che le persone, indistintamente, andassero via dal teatro con delle domande a loro stesse: chi sono, cosa vuol dire per loro il perdono, se è davvero possibile perdonare e se il perdono consiste nel dimenticare o nel cercare di aiutare quel fallimento esistenziale che entrambi hanno avuto, sia colei che ha partorito il figlio colpevole, sia colui che si è reso colpevole.
Mariella, vuole aggiungere qualcosa a quanto esplicato da Daniela?
Mariella:” Confermo tutto, e posso aggiungere che il mio musicale è un cantare la vita, l’amore, non soltanto nel momento drammatico, bensì nei momenti quotidiani di tutti: la cronaca ci racconta che spesso, a dispetto di una calma apparente, in qualsiasi relazione, subentra un’improvvisa follia; ciò significa che questo innesto di violenza arriva prepotentemente, non annunciato, o meglio, annunciato all’interno della situazione, con qualcuno che potrebbe percepire anche dei segnali, vivendo la storia da dentro. Ognuno vive in un’area un po’ separata, isolata, senza rendersi conto che dall’altro può imparare, oltre che interagire per aiutarlo, per evitare che le tragedie accadano; io sono messa un po’ in guardia da questa figura, dalla madre, essendo a mia volta una madre, e racconto di una serenità, perlomeno apparente, si spera che poi sia reale, che però non deve restare intatta; il lavoro di tutti è importante, nel processo educativo, nel migliorare la società. Io in prima persona ho un figlio, e non devo star serena, dormendo sugli allori, ma devo lavorare.
Daniela:” Il nostro tormentone è :”Guardalo negli occhi”. Sia io, che Mariella, che Stefania Porrino (l’autrice, N. d. R ) partiamo dal presupposto che se imparassimo a guardare negli occhi le persone mentre ci parlano, e anche laddove chiudono gli occhi o tendono a non guardarci negli occhi, e a pretendere in senso latino, a tendere innanzi, a chiedere una relazione visiva, potremmo davvero intuire, prevedere, prevenire, capire quel malore, quel malessere, quel disagio interiore di quell’anima. Non è retorico ammettere che “Gli occhi sono lo specchio dell’anima“.
- Prima di entrare nei meandri delle origini del maschilismo e delle sue conseguenze estreme, vorrei analizzare il rapporto amoroso uomo-donna, anzi il rapporto amoroso privo di genere come incontro tra due enti, soggetti d’amore, un incontro tra differenze e tra i sessi. La follia sappiamo che ci abita e questo ci accomuna agli dei; non ci innamoriamo di chiunque ma solo di chi ha intercettato il nostro abisso irrazionale e perciò ci consente di scendere nella nostra follia. La storia di ogni rapporto è fatta di equilibrio tra scambio e autonomia, differenza di identità, insomma di tutto ciò che assicuri continuità. Scriveva Cesare Pavese nel “Mestiere di vivere”, che “Non bisognerebbe mai di dire: Ti amo, ma sempre: Ti amo adesso”. L’amore conosce la passione, il gesto irrazionale, le frasi stupide, mai il per sempre; se ci soffermiamo sul rapporto amoroso uomo-donna, il fatto stesso che oggi sia anche la donna a prenderne atto e a poter abbandonare, separarsi, interrompere una relazione ha reso la cosa, per certi uomini, insopportabile. L’uomo, prigioniero di antichi stereotipi, come donna-madre o donna-oggetto, sconta un analfabetismo amoroso, un’incompetenza che gli impedisce di riconoscere la donna come singolarità, e non come possesso e a vedere in lei l’altra componente del rapporto che può avere il diritto di tornare sui suoi passi, di dire basta. Mariella e Daniela, cosa ne pensate?
Mariella:” In relazione all’amore, non ci sono istruzioni per l’uso: è vero che può coincidere con la follia, una follia che può essere estasi, dunque follia positiva, e che ci induce ad una condizione di pienezza, oppure una follia distruttiva. Solitamente, quando l’amore volge alla follia distruttiva può decretarsi concluso, è una declinazione malata, indegna di richiamare il sentimento o la passione. Difficile, dunque, parlar d’amore e dare consigli veri, e ricordiamoci che l’idea di rompere quel sigillo, quel foedus catulliano, è figlia della modernità: in tempi antichi si sceglieva un partner per la donna, la quale mancava di potere decisionale. In alcune religioni risulta lapidaria l’affermazione “Finché morte non ci separi”, rendendo difficile pensare ad una costruzione destinata a crollare.
Io penso che sia bello intendere l’amore come qualcosa di durevole, con appigli che siano fondamenta ed incarnino certezze, anziché come qualcosa di limitato: non è detto che ciò accada sempre, anzi, è sempre più raro che ciò avvenga, probabilmente perché non si è più in grado di lavorare sull’amore, sull’innamoramento, sull’infatuazione; anche questa è un’idea deviante o deviata dell’amore stesso. Bisognerebbe tornare a parlare d’amore, l’amore come relazione tra persone e anche tra due che vogliono costruire qualcosa; qualora questa relazione ad un certo punto non appaghi più, dovrebbe terminare da sé, senza drammi, salutandosi con dignità, e questo forse non c’è nei nostri principi di vita; è un qualcosa per cui ancora ci vorrà del tempo.
Daniela:” Concordo con tutto ciò che ha affermato Mariella; riguardo la follia potremmo aprire parentesi interminabili, stessa cosa dicasi per l’amore: cos’è l’amore, il significato dell’amore per ognuno di noi…
Credo che il professor Alberoni abbia ampiamente parlato dell’amore, tematica ricorrente nel bellissimo libro “Donne che amano troppo”, scritto da Robin Norwood. Probabilmente è vero, dovremmo tornare a parlare dell’amore dolcificante, ma anche di cosa significhi lo stare insieme, il rapporto di coppia, che possa essere di convivenza piuttosto che di matrimonio, un rapporto di rispetto, di condivisione, e che includa una visione del domani; è vero che ci insegnano a vivere l’hic et nunc, ma nel nostro Paese, nella nostra cultura cristiano-cattolica non esiste il qui ed ora, piuttosto il qui ed ora in previsione del futuro, il celebre “Per sempre”, e su questo bisognerebbe lavorare. Ritengo che ognuno di noi dovrebbe fare un lavoro di autocoscienza, di ricerca, del proprio sé, del proprio centro, e capire anche chi siamo, cosa vorremmo dalla vita, quali sono gli obiettivi che vogliamo raggiungere, chi vogliamo essere; a mio avviso persiste una grande confusione, i femminicidi esistono da sempre, ma prima non se ne parlava, mentre oggi esiste una sorta di emulazione; noi ci poniamo anche la domanda “E’ strano come questi uomini, alla fine, non reggano l’atto così drammatico, tragico, della crudeltà inferta a quella persona, arrivando a togliersi loro stessi la vita; vi è dunque una grande fragilità di fondo, una disarmante solitudine, una grande confusione del quotidiano, una grande paura, e credo che anche in questo senso tutti i mezzi di comunicazione dovrebbero iniziare a proporre meno terrorismo, dato che questo amplia quella che è già la nostra fragilità. Questa visione di luce sarebbe possibile anche attraverso programmi radiofonici, podcast, testate cartacee, piuttosto che attraverso i social o con altre piattaforme virtuali. Noi con questo spettacolo cerchiamo di raccontare l’inferno ma proponendo anche quelle che sono le visioni di un Paradiso, di una speranza.
- Tornerei a questo punto alle origini del senso di possesso della donna da parte dell’uomo. Al di là dei miti fondatori del potere maschile, la creazione di Eva (da una costola dell’uomo) e il ratto delle Sabine, la radice più antica e decifrabile (al di là dei miti), la più malevola, quella che conduce allo scenario di violenza dei giorni nostri, credo di rintracciarla nell’estremizzazione delle differenze fisiche, ideologiche, comportamentali tra uomini e donne, la costruzione culturale e sociale sul genere, così importante per le società per catalogarci in “Maschile” e “Femminile”, che ha creato un’identità per l’uomo roccioso e diffidente che comporta una paura dell’altro e del suo spazio vitale e per la donna spesso inconscia, una sudditanza accettata e subita. La donna era accomunata alla terra perché genera vita, l’uomo era ritenuto vicino al cielo, la donna era considerata un essere inferiore che doveva stare a totale servizio dell’uomo. Euripide ne parla come il peggiore dei mali, Platone ritiene che non ci sia posto per lei in una buona organizzazione sociale. Elena Giannini Belotti, la pedagogista scrittrice nel suo libro “Dalla parte delle bambine”, smonta il castello di menzogne costruito dalle società patriarcali. Le differenze tra maschio e femmina, ci dice, non sono dovuti a fattori innati ma a veri condizionamenti culturali. La nostra cultura si serve di ogni mezzo per ottenere dagli individui il comportamento più consono ai valori che vuole perpetrare, tra questi, il mito della naturale superiorità maschile. La grande educatrice sosteneva che gli stereotipi di genere si formano nei primi cinque anni di vita dell’individuo. Ritengo che bisognerebbe attuare un’educazione sentimentale, di cui riparlerò, già nelle scuole elementari, in modo da destrutturare i modelli di genere, abolire l’estremizzazione delle differenze, permettere ad ogni persona, indipendentemente dal sesso, di maturare, di svilupparsi nel modo a lei più congeniale, per far si che uomo e donna non siano più opposti ma complementari, con la possibilità di relazionarsi per uno scambio reciproco: Siete d’accordo?
Mariella:” Relativamente, perché io credo che le differenze biologiche siano indiscutibili; ho sempre pensato che sia bello essere diversi nel proprio genere, ma al tempo stesso complementari con un’altra persona; probabile che abbiamo caratteristiche diverse, eppure non è detto che un genere sia migliore o superiore all’altro, onde evitare di commettere un’errore di valutazione, inciampando in un’unicità non contemplata. Bisognerebbe capire cosa si può fare insieme, cogliere l’importanza dell’unione: a mio avviso ognuno deve avere la sua importanza proprio nel vivere insieme, senza parlare più di differenziazione“.
Daniela:” La differenza è la preziosità nel riconoscere l’individuo: è chiaro che la donna e l’uomo sono diversi, fisicamente siamo diversi, come testa siamo diversi, abbiamo gli stessi organi ma lavorano in modo diverso, la nostra pelle è diversa, la nostra sessualità è diversa, non possiamo essere paritari, nella maniera più assoluta. Cerchiamo di raggiungere dei ruoli paritari nel lavoro, nello stipendio, nel rispetto, nell’essere riconosciute come persone valide, capaci e competenti; fare di tutte le rose un fascio è sbagliato, dobbiamo valorizzare la preziosa singolarità di ogni essere, ognuno di noi è un individuo straordinario, prezioso, unico.
Vi è un altro meraviglioso libro sull’educazione sentimentale, scritto da Tommaso Montanari, che racconta proprio come guardare il mondo, gli altri, la cultura, i beni culturali, il nostro patrimonio, con occhi colmi di riconoscenza, perché qualcuno prima di noi è già passato; credo sia questa un po’ l’educazione che noi dovremmo dare ai nostri figli, ai bambini: è giusto che questi ultimi conoscano le varie differenze poco per volta, anche perché, a mio parere, bisogna raccontare le storie a chi ne ha una capacità di accoglienza intellettuale; ciò che ad una persona può giungere come un trauma, ad un’altra può arrivare come forma di crescita. Bisogna sempre trascendere le cose, sapere chi abbiamo di fronte, in che modo raccontarle e come potrebbero essere recepite.
- Daniela, per tornare alla sua rappresentazione, Massimo Recalcati, noto psicoanalista e scrittore, nel suo magnifico saggio “Le mani della madre”, ci parla di questa figura così importante, fondamentale per ogni figlio, per ogni nascita. La vita umana viene alla vita in una condizione di “Prematurazione- impreparazione”, “Frammentarietà”, inermità, abbandono, di esposizione al non senso del reale; occorrono la presenza, le mani dell’altro per custodire questa vita, proteggerla e sottrarla ad ogni paura. Le mani della madre sono quelle del soccorritore, sono quelle che rappresentano una funzione essenziale della maternità che nessun mutamento storico o sociale potrà mai eliminare: la madre è il nome di colei che non lascia che la vita ritorni nel nulla, che la raccoglie e l’accudisce impedendole di precipitare; è il nome del primo soccorritore; anche in questo caso le mani di questa madre raccoglieranno il figlio per portarlo in salvo e redimerlo?
Daniela:” Bisogna venire a vederci a teatro, per rispondere a questa domanda (sorride, N. d. R.); è un percorso che Maria intraprende, però non posso raccontare né anticipare nulla. Recalcati è uno straordinario filosofo e scrittore, riesce sempre a cogliere le cose e ad indagare l’animo umano con sguardo profondo: è evidente che le mani di una madre accolgono, proteggono e perdonano; noi stiamo cercando di capire in che modo questo perdono possa arrivare. Non resta miglior modo per comprenderlo, che venire a vedere lo spettacolo! Il nostro intento è anche provocare il pensiero umano: dobbiamo essere puri, svuotarci di un passato per vivere il momento, il qui ed ora, rendendoci conto di ciò che siamo capaci di fare nell’hic et nunc, di fronte ad una situazione drammatica come quella che portiamo in scena.

In foto, la locandina della tournée dello spettacolo