
Fatto: un lavoratore è in malattia e riceve la visita fiscale, mentre è sotto la doccia. Non sente suonare il campanello e così per il medico risulta assente.
Una volta avuta contezza di quanto accaduto, il lavoratore si attiva immediatamente presso gli organi competenti affinchè si proceda all’accertamento della malattia, ma il datore di lavoro, per la mancata visita fiscale, gli irroga la sanzione disciplinare del richiamo scritto.
Il dipendente la impugna ed il Tribunale la annulla, escludendo la rilevanza disciplinare della condotta del lavoratore.
A questo punto è il datore di lavoro che impugna la sentenza del giudice di primo grado, ma la Corte di Appello di Milano respinge il gravame, “non risultando violati gli obblighi esigenza e di esecuzione del contratto secondo buona fede, imposti dagli artt. 2104 e 2106 c.c.”
Il caso giunge fino in Cassazione e la Corte lo decide con l’ordinanza n. 22484 del 18 luglio 2022.
Per il datore di lavoro il mancato rispetto della reperibilità costituisce inadempimento contrattuale sanzionabile in sé, ossia a prescindere dalla presenza o meno dello stato di malattia, perché il lavoratore ha nei confronti del datore un dovere di cooperazione e pertanto, anche nel domicilio, è tenuto ad astenersi da condotte che impediscano l’accesso al medico della struttura pubblica.
La Suprema Corte la pensa differente: infatti l’obbligo di cooperazione che grava sul lavoratore in malattia, pur rilevando anche sul piano contrattuale del rapporto di lavoro, non può essere esteso fino a ricomprendere il divieto per il lavoratore medesimo di astenersi dal compiere qualsiasi atto del vivere quotidiano, normalmente compiuto all’interno delle pareti domestiche.
E fra questi “atti del vivere quotidiano” la Corte include anche quello di “farsi la doccia“.
Ancora una volta si conferma l’antica saggezza popolare “una doccia al giorno toglie il medico di torno”, anche se è dell’INPS.
Ah, no .. quella era la mela.