
Nel 1680 il padre della medicina inglese, Thomas Sydenham, scriveva: “Fra i rimedi che l’Altissimo Signore si è compiaciuto di dare all’uomo per alleviare le sue sofferenze, nessuno è così universale e così efficace come l’oppio.” In Italia, a Milano, il mitico Carlo Erba (quello che insieme a Toscanini aveva rovinato la vita artistica di Totò) nel 1847 sperimentava i primi sciroppi d’erba…
Nel 2014 (!) anche l’Italia è definitivamente uscita dal proibizionismo terapeutico nell’utilizzo di cannabis. E chissà se la liberalizzazione farmacologica potrà essere l’anticipazione e l’impulso per quella dell’orribilmente detto “uso ricreativo”, cioè per il consumo personale. Magari, ad esempio in una fase sperimentale, stabilendo dosi di sicurezza e confinandone la vendita entro un determinato numero di acquisti mensili personali, almeno così cominciando a togliere clienti e denari fruscianti alla criminalità organizzata. Ma restiamo al contingente. Ieri infatti è stato firmato un accordo di collaborazione fra Ministero della Difesa e Ministero della Salute, cioè fra le due ministre Pinotti e Lorenzin, per avviare un progetto pilota di produzione nazionale di farmaci a base di cannabinoidi destinati ad alleviare le sofferenze di malati gravi. Il progetto avrà come laboratorio lo stabilimento chimico-farmaceutico militare di Firenze, dove entro il 31 ottobre dovrebbe essere pronto un gruppo di lavoro interministeriale con il compito di definire un protocollo operativo da sottoporre all’esame del Consiglio Superiore di Sanità. Ma l’esito dell’esame dovrebbe essere scontato…I primi farmaci potrebbero essere disponibili nelle farmacie territoriali e ospedaliere non prima del 2015, portando un sensibile e giustissimo risparmio per le casse dello Stato italiano e per quelle delle famiglie. La proposta politica di legge era stata avanzata a marzo dai deputati grillini della commissione difesa, ma anche SEL e Radicali ne rivendicano la partecipazione alla primogenitura. Questi farmaci in Italia già erano legalizzati dal 2007 (decreto della ministra Livia Turco, arricchito dal decreto cosiddetto Balduzzi del 2013) ma non ne era ancora autorizzata la produzione o, secondo un’altra versione (la questione è controversa), nessuna azienda farmaceutica italiana aveva richiesto l’autorizzazione per la coltivazione e l’impiego di cannabis per scopi medicinali, quindi i farmaci venivano (e tuttora vengono) acquistati all’estero. La morfina terapeutica invece è legalizzata già da un po’, con l’uso regolamentato dalla legge 12 del 2001. I vantaggi economici delle “bombe” autoprodotte in caserma li ha spiegati anche la ministra Lorenzin a margine della presentazione del progetto, sostenendo un risparmio di più della metà sui costi attuali che si aggirerebbero sui 15 euro a grammo di principio attivo (di cannabis). “Con l’avvio della produzione tale principio entrerà nei livelli essenziali di assistenza e le Regioni si accorderanno sui ticket”, le prime parole inaspettatamente progressiste della Beatrice fu berlusconina. “Il progetto pilota è la risposta ai pazienti con patologie gravi come Sla, sindrome di Tourette e sclerosi multipla. Persone che necessitano dei farmaci con il principio attivo della cannabis. Non bisogna confondere l’accordo con l’uso delle droghe, che è un’altra cosa. Tante sostanze stupefacenti sono usate nella farmacopea. Drogarsi fa male, sfatiamo qualsiasi mito”, ha poi aggiunto la Beatrice quasi a voler tornare subito in se, nel ruolo di ministressa di destra. Ad oggi, le sanità regionali che già prevedono i farmaci cannabinoidi nell’elenco dei LEA sono dieci, la prima a farlo è stata la Toscana e l’ultima l’Abruzzo, con costi che si aggirano sui 450 euro mensili per paziente. Più di quanto spende un tossico di professione per farsi di droghe pesanti due volte al giorno…In realtà pochi pazienti italiani richiedono questi rimedi all’estero, scoraggiati dalla macchinosità della procedura che prevede una serie di passaggi propedeutici l’uno all’altro e sempre troppo lenti.
Comunque, la nuova impostazione della faccenda si avvicina all’esigenza, sostenuta da più parti, di trasformare il valore economico del farmaco da costo in risorsa per il servizio sanitario pubblico e per la collettività; in proposito molto indicativi sono i numeri sulle rapine alla farmacie ospedaliere che, nell’ultimo anno, hanno superato quelle alle Poste e alle banche messe insieme. La criminalità organizzata anche in questo campo ha fiutato l’affare prima di tutti e si è messa a rastrellare a modo suo farmaci oncologici sempre più carenti nel mercato interno a causa dei soliti truffaldinismi delle multinazionali farmaceutiche. Campania e Puglia, al solito, le regioni più all’avanguardia nelle nuove tendenze criminali.
Come scrive su “il Fatto” il medico dell’ambiente Antonio Marfella, “Lo Stato italiano si fa, da oggi, carico direttamente della produzione a scopo terapeutico della marijuana, ma non vede la “luna” che questa meritoria decisione indica: la strada della produzione di farmaci generici a brevetto scaduto da parte di industrie a partecipazione statale, tipo appunto l’azienda militare di Stato, in grado di avviare la produzione di una moltitudine di farmaci generici ad efficacia certa, a costi non solo irrisori rispetto a farmaci sotto brevetto, ma soprattutto in grado di trasformare la prescrizione di farmaci da costo in risorsa per il Sistema Sanitario Pubblico italiano.” Per i poco pratici dell’argomento, i farmaci sotto brevetto sono quei farmaci di proprietà intellettuale ed economica dell’azienda produttrice, alla cui scadenza possono essere prodotti uguali uguali e commercializzati a prezzi molto inferiori da altre aziende, diventando farmaci “a brevetto scaduto” o “equivalenti”. Il problema nasce quando questi farmaci vengono etichettati come obsoleti dalle (grandi) aziende farmaceutiche e abbandonati, con la complicità dei medici prescriventi, a favore dei nuovi e più costosi. Il processo, di conseguenza, riguarderebbe anche i farmaci psicoattivi contro il dolore, fino ad oggi commercializzati anche (e soprattutto) dalla criminalità proprio grazie alle proibizioni di legge e alla loro fama di “droghe di abuso”. Con il progetto pilota si potrebbe cominciare a debellare il fenomeno. Si potrebbe.