In Italia non c’è pace per gli arbitri di pallone. In qualunque categoria essi arbitrino, in qualunque condizione, con qualunque “metro” di giudizio, c’è sempre qualcuno pronto a metterne in discussione capacità e onestà, oltre alle solite onorabilità più private. Dare addosso all’arbitro in fin dei conti rispecchia il nostro modo italiota di vedere e di vedercela con le regole, tutte le regole, buone quando vengono applicate agli altri, (molto) meno buone quando dobbiamo accettarle noi. I giudici dello Stato ad esempio, massimi epigoni delle regole, sono bravi quando le applicano per sanzionare qualcuno altro da noi, diventano assurdi e stronzi quando sanzionano noi stessi. E se il Caimano ha fatto di tale triste abitudine già radicata nello Stivale un perenne lavaggio di cervello mediatico, non possiamo meravigliarci di essere diventato il Paese europeo “maturo” con il più basso senso di rispetto della legge. Che poi la legge, intesa come settore Giustizia, abbia i suoi problemi e le sue mancanze (e ridondanze) è questione diversa.[divider]Anche nel pallone la situazione cerebrale è questa. Anzi, è ancora più compromessa, se pensiamo che all’assenza di educazione alla lealtà e al rispetto delle regole si aggiunge pure il tifo passionale. Esemplificativo al riguardo un ricordo del grande giornalista sportivo (e non solo) Antonio Ghirelli; a proposito del suo periodo di direzione del Corriere dello Sport, Ghirelli confessò (anni dopo) che il suo editore gli raccomandava solo una cosa, e cioè che quando il Napoli vinceva era merito del Napoli, ma quando perdeva poteva essere solo colpa dell’arbitro…L’epoca era quella a cavallo fra i Sessanta e i Settanta, ma anche oggi non sembra cambiato molto nelle abitudini dei giornali “sportivi”. Tante volte allora la domanda spontanea è “chi glielo fa fare?”, ai giovani arbitri di fare le levatacce domenicali per andare a sorbirsi dosi di insulti su campi polverosi di paesi introvabili. E, quando il pubblico non è di sola impostazione artistico/minchionatoria, alle dosi di insulti neolatini farsi aggiungere le mazzate (solo) promesse e quelle (promesse e) mantenute. Non si può nutrire lo stesso sentimento di angoscia nei confronti degli arbitri “alti” che, stando alle cifre pubblicate giorni fa proprio dal “Corriere dello Sport”, guadagnano una discreta quantità di migliaia di euro all’anno. Nonostante l’intento forse un po’ populista del foglio romano/napoletano, sempre pronto a lisciare il pelo agli arbitri quando di mezzo c’è qualche rigore non dato alle squadre del centro-sud a vantaggio delle solite note del nord (quest’anno le solite si sono ridotte a “la solita”, stante la latitanza dal vertice di Inter e Milan), non c’è proprio niente di male o di immorale nei guadagni degli arbitri. Parliamo infatti di un settore (il calcio professionistico di serie A e B) che è una bolla di soldi per antonomasia (chissà quando questa bolla scoppierà) in cui gli arbitri, pur allenandosi da perfetti professionisti e pur ricevendo le loro soddisfazioni economiche, rimangono dei poveracci rispetto ai loro arbitrati. Ora, preparatevi alla frase fatta, gli errori arbitrali ci sono sempre stati e sempre ci saranno.[divider]Ci sono sempre stati anche gli errori faziosi, dolosi e ben retribuiti. Infatti rientra nelle cose degli uomini la corruzione, al punto che la religione cattolica sulla corruzione ci ha fatto partire il racconto del mondo. Quindi, consentire agli arbitri delle massime serie professionistiche di non avere preoccupazioni economiche già dovrebbe essere un inizio di protezione dalla tentazione di prendere soldi di oscura provenienza. E poi, la vicenda contorta ma grosso modo districata di “Calciopoli”, del suo puparo, dei suoi maneggioni, dei suoi modi di corrompere gli arbitri senza denaro (le motivazioni della sentenza sono state pubblicate proprio ieri), per quanto limitata nel tempo e probabilmente nei condannati, dovrebbe aver (e probabilmente ha) morigerato tutto il carrozzone. Tuttavia, nella versione italiana (e forse non più solo italiana) del pallone e del modo di arbitrarlo a nostro parere c’è un problema di fondo: l’assenza totale di lealtà sportiva e di senso del ridicolo (e della vergogna). Un’assenza che prorompe non solo in quelli che il pallone lo “giocano” (giocatori, allenatori e dirigenti), ma anche e soprattutto in quelli che il pallone lo commentano pubblicamente e avrebbero il potere di stigmatizzarne vizi e pessime abitudini. Assurdo che mai nessuno, in tv come nei giornali (ad eccezione di qualche cosetta on-line, come la nostra ad esempio…), faccia notare che quasi tutti gli errori più “gravi” degli arbitri sono in realtà causati da simulazioni ed eccessi comici (al cinema sarebbero comici) di abilità “cascatorie” di quei viziati tatuati in mutande che ci ostiniamo a chiamare calciatori. E che ormai sembrano manichini di plastica vuota in attesa di soffio di vento per cadere; quando il soffio di vento arriva la plastica cade, e nella caduta si trasforma per magia in metallo pesante, lo stramazzo al suolo viene inscenato e tutti i beoti dentro e davanti al plasma pronti a dire che “il contatto c’è stato”.[divider]Ecco come far diventare il calcio un gioco per signorine (isteriche)…In ribellione al cascamortismo pallonaro nostrano non voglio scomodare Damiano Tommasi, mediano/obiettore troppo impegnativo. Ma ricordate almeno il primo Ezechiele Lavezzi? Era uno che all’inizio della sua avventura a Napoli non cadeva neanche se gli sparavano, e sì che poco ci è mancato che per fermarne la corsa delirante e perpetua gli sparassero davvero. Anche per questo “el pocho” argentino era ammirato e invidiato da molti non napoletani (di geografia e di religione). Poi qualcuno deve aver detto a Lavezzi, quando ancora domiciliato a Napoli, che nel calcio di oggi non si può rimanere in piedi se si viene sfiorati dagli avversari, anzi, si deve cadere sempre e comunque, così si guadagnano ammonizioni per gli avversari e rigori per sé. Ricordo ancora la prima giusta ammonizione presa da Lavezzi per simulazione, ha rappresentato per lui l’annuncio del distacco dallo stile (prestipedatorio) romantico, per chi scrive l’inizio della fine di un amore fugace. Oggi Lavezzi è un comico cascatore da cinema muto impiegato nel calcio (francese) come tanti altri. Nella metamorfosi di Lavezzi possiamo anche ritrovare la differenza sostanziale fra calcio e rugby, sport da cui il calcio nasce e verso cui non avrebbe mai dovuto perdere la riconoscenza paterna e il relativo senso di emulazione. Le regole del gioco (e del business) possono anche cambiare ed evolversi verso le mode di comportamento, la tecnologia e il mercato, ma lo spirito fondamentale, arcaico e caratteristico del gioco non può cambiare, sennò quel gioco diventa un’altra cosa. Ecco, noi calciofili inebetiti (dal tifo) e istupiditi (dal battage senza sosta, e molti pure dalle scommesse) non ci rendiamo conto che la normalizzazione delle pratiche (di campo) furbe e le vagonate di soldi a causa e giustificazione già hanno trasformato il nostro gioco in un’altra cosa, e per risposta non facciamo altro che assecondare la vigliaccata e legittimarla con euro contante, ottimo soprattutto per aumentarne le capacità di persuasione.[divider] Tornando agli arbitri italiani e alle discussioni sulla loro probità e serenità d’animo, purtroppo dobbiamo constatare come l’AIA (Associazione Italiana Arbitri), “settima componente” della FIGC (che una volta era soprattutto la federazione italiana dei giovani comunisti, oggi è solo la federazione gioco calcio), annoveri fra i suoi main sponsor (come dicono quelli bravi) FIAT e IVECO, cioè gli Agnelli/Elkann, cioè la Juventus. La scoperta, che poi tanto scoperta non è, è stata fatta qualche giorno fa dal quotidiano “Libero”, che quando si tratta di pallone riconosce l’esistenza in natura del conflitto di interessi e lo critica perfino. Oddio, Libero parla di uno e uno solo conflitto di interessi, non citando quello di altra squadra a sé vicina, ma almeno inizia a familiarizzare (è il caso di dire) con l’argomento…Curioso comunque, e forse anche provocatorio, che sulle nuove divise della nazionale di calcio la scritta Italia sia fatta in stile uguale uguale a quello utilizzato sulle felpe della FIAT disegnate dal genio artistico di Lapo Elkann. Il messaggio subliminale vuol forse dire che nazionale italiana e FIAT seguono lo stesso stile? O che sono la stessa cosa? Ma la FIAT è la Juventus e la nazionale italiana di calcio è la FIGC! Scusateci, noi siamo un po’ rozzi, non riusciamo a capire tutte le divisioni aziendali e azionistiche di JUVENTUS, FIAT e IVECO. Per noi, in questa faccenda, sono la stessa cosa, e nella nostra ignoranza siamo anche convinti di avere ragione. La FIAT poi fornirà al gruppone prandelliano al prossimo mondiale del Brasile anche auto e mezzi di spostamento, proprio per non cedere ai malpensanti. E la saga continua perché sembrerebbe che la Juventus, dove non riesce ad arrivare con soldi propri (più o meno) direttamente, cercherebbe di farlo con quelli dati ai suoi dipendenti. Così la strisciante scalata alla federazione pallonara si sta facendo anche con la collaborazione del portiere Buffon che, oltre a farsi bello con la D’Amico, impiega il suo tempo libero dai pali a fare l’imprenditore. Il Gigione nazionale ha acquisito il 56% della Bassetti (quella delle coperte), che a sua volta omaggia la federazione della sua sponsorizzazione. A piccolo e insignificante margine, ci sono pure i 443 milioni di euro (inezie…) che Andrea Agnelli ha richiesto alla FIGC per i danni causati alla Juve dalle conseguenze del sistema creato dal suo ex direttore generale (alla faccia tosta non c’è limite), tramite ricorso al Tar del Lazio. Come per dire “io ti denuncio e poi ti finanzio. Vorrei farti capire insomma che ti odio ma mi servi, e che soprattutto io servo a te. Che ti chiedo un sacco di soldi di risarcimento per lesa maestà, così tu ti spaventi, e poi ti dico che comunque sono amico tuo e che un modo di metterci d’accordo sempre lo troviamo.” Sembra proprio un gran casino di iniziative e di interessi? Alla federazione dicono di no e più o meno argomentano. Alla Juve dicono di no e basta. Almeno Gianni Agnelli avrebbe messo in mezzo l’etevogenesi dei fini…[divider]Se vuoi ascoltare l’articolo letto dalle nostre redattrici clicca qui