
Avete presente il capitone? Bene, quelli come noi, in questo periodo, si sono sentiti e ancora si sentono come il capitone nero, brutto, repellente, e sicuramente innocente, sfuggito di destrezza all’esecuzione della pena capitale inflitta da un umanoide coglione capo-famiglia tradizionalista. Adesso il capitone è nascosto da tanti giorni dentro il bunker dell’armadio del boia distratto, in compagnia della tarma scavatrice con cui ha discusso a lungo dei rispettivi amori; adesso, dopo il grande spavento e la fuga disperata dalla busta di plastica poggiata nella cucina, fatte disperdere le proprie tracce indi lucidamente esaminata la situazione domestica e sociale, il capitone è ormai pronto per il guizzo decisivo verso la salvezza. Attende solo l’oscurità della notte della befana e l’apertura prolungata della porta di ingresso per far entrare la vecchia. La casa infatti, gli ha detto la tarma, non ha camino…
La bufera sta passando. Ancora qualche giorno e la resa sarebbe stata totale. Invece anche quest’anno arriva la befana a salvare molti di noi dall’esaurimento nervoso e a mettere un punto a tutto il delirio urticante di natale, santo Stefano, san Silvestro, capodanno, ponte post-capodanno e la quindicina di giorni che hanno preparato la bolgia. E allora molti di noi non possono far altro che ridimensionare l’orgoglio personale, ammettere il mezzo fallimento di tutte le tattiche studiate per limitare i danni, e ringraziare la vecchia venuta anche quest’anno a liberarli. Pur caricandoli di carbone, la vecchia non farà altro che aprire le gabbie rimbombanti in cui quei bambinoni cattivi sono stati imprigionati e farli rientrare nelle loro rassicuranti, silenziose gabbie preferite. Le befana vien di notte, e speriamo non faccia tardi ché non ne possiamo più.
Pensare che qualcuno, qualche anno fa, aveva fatto abolire la befana, nel senso di giorno di festa. Il 6 di gennaio, giorno solitamente freddo e sferzato da vento di tramontana, nel marzo del 1977 venne rimosso dalle festività civili. Le motivazioni dell’abolizione non erano religiose né storiche né di ordine pubblico, erano economiche, accogliendosi le lamentazioni della Confindustria, contrariata dai troppi giorni di interruzione che le catene produttive dovevano subire fra natale e la befana appunto. Presidente della Repubblica era Giovanni Leone, presidente del Consiglio era Giulio Andreotti, che non trovò particolari ostacoli al decreto di abolizione. Le opposizioni laiche e di sinistra non si opposero, perché ideologicamente non potevano, ad una misura che cancellava per legge una festa religiosa nel calendario civile. Anche i sindacati, al tempo soddisfatti per le tante conquiste ottenute, non si opposero, qualcuno addirittura cercando di far passare la cosa come una nuova conquista di civiltà della classe lavoratrice, non più sottomessa a una figura pagana come la befana. Insieme all’epifania, la legge 5 marzo 1977 aboliva le festività dell’ascensione, del corpus domini, degli apostoli Pietro e Paolo e di san Giuseppe. Una bella sforbiciata ai giorni rossi del calendario e all’elenco dei giorni di vacanza di studenti e lavoratori. Contenti datori di lavoro e anticlericali, scontenti tutti gli altri. Matteo Salvini era ancora piccolo e nessuno gridò al complotto islamico anticristiano.
Oggi, possiamo starne certi, in nome della produttività si sacrificherebbero il primo maggio e il 25 aprile, pur di non disturbare la propensione al consumo dei cristiani nel mese di natale (8 dicembre – 6 gennaio). Oggi gli anni ‘70 sono giustamente un ricordo, non molto giustamente un ricordo manipolato, e quando se ne parla il primo e spesso unico aspetto che viene evidenziato è il piombo che è stato messo a etichettarne le velleità rivoluzionarie. Come se i moderati vincitori di quegli anni non si fossero rivelati peggiori degli sconfitti già un minuto dopo la loro vittoria. Come se oggi la situazione politica, economica e sociale del Paese fosse migliore. Non si spara più, è vero, ma accidenti per fare la rivoluzione se ne troverebbero molti più di allora.
Per otto anni la befana non venne festeggiata il 6 di gennaio, traslocata alla prima domenica successiva e contingente. Per otto anni troppi bambini furono destabilizzati, non sapendo più in quale cavolo di notte di gennaio aspettarsi i regali. La confusione dei bambini durò fino al 1985, Cossiga presidente della Repubblica e Craxi presidente del Consiglio. La leggenda vuole che a far ripristinare la festività furono le proteste degli ambulanti romani, in particolare dei bancarellari di dolciumi di piazza Navona, non ammessi in Confindustria eppure fortemente incazzati per il danno ai loro affari causato dall’assenza della befana nel giorno della befana. Ai venditori romani di caramelle e cioccolate si unirono quelli di bambole e giocattoli, poi tanti altri, praticamente tutte le categorie commerciali, compresi i gestori di discoteche che colsero l’occasione per dare inizio alla moda dei veglioni danzanti affollati di befanelle in attesa della befana madre.
Del resto, vien da pensare a quelli come noi, nel 1985 il natale stava cominciando a molto cambiare nella forma, nella sostanza e nelle capocce dei cristianissimi italiani già rimbambiti dai faretti luccicanti della tv a colori. Un infermiere psichiatrico simpatizzante socialista doveva aver dato l’allarme al suo parlamentare di riferimento, quello che l’aveva raccomandato, del numero sempre maggiore di ricoverati in manicomio con sintomi di dissociazione e fuga dalla realtà nel periodo di natale. Deve essere stato così che il governo di pentapartito capì un’emergenza e fece il suo unico atto di responsabilità: mettere una fine ufficiale al delirio natalizio senza urtare la suscettibilità dei vescovi e dei commercianti. E fu così di nuovo epifania il 6 di gennaio, per quelli come noi giorno di Liberazione.