
L'ultima vignetta satirica pubblicata su Charlie Hebdo prima dell'attentato terroristico

La democrazia è il potere di un popolo informato. (Alexis de Tocqueville).
L’assenza di una consapevolezza democratica nei popoli ha permesso aberrazioni gravissime a danno del genere umano, la storia ce lo insegna. Così, l’acquisizione del regime democratico in occidente è perciò il risultato di una lotta, intestina quasi, sofferta ma spontanea ed è, come scrisse Tocqueville, il fulcro dell’azione popolare. Un paese senza democrazia è l’equivalente di una nazione sconfitta, piegata, addormentata, e che fa anche incubi mostruosi. Per svegliarsi il popolo deve essere libero ma deve conoscere che cosa sia la libertà. Un uomo che dalla nascita ha trascorso l’esistenza dietro le sbarre, può patire l’assenza dell’aria aperta? No, ovviamente.
Quello dell’assalto indiscriminato a Charlie Hebdo: un altro tragico caso dell’azione manipolatrice dell’uomo sulla libertà dell’altro. Ovviamente c’è pieno rispetto e cordoglio per le vittime e vicinanza alla città di Parigi per una perdita così grave. Perdita di vite umane e colpo irreversibile inferto all’Europa intera. Al di là del dolore e delle dimostrazioni di solidarietà in rete, è doveroso maturare delle riflessioni a posteriori sul concetto di libertà/censura. La Francia, paese laico e cosmopolita, si vede tradito dai suoi stessi intenti di emancipazione sociale. Un paese multiculturale e, a volte, come dimostrano anche le vignette di Wolinski e Charb, di un laicità sfrontata fino a tal punto da essere considerata come una sorta di maleducato conviviale da espellere dalla mensa. Fuor di metafora, l’Europa è stata ferita in casa di uno dei fondatori dei principi alla base della convivenza pacifica tra i membri, fautore di progetti, promotore di idee anticonvenzionali e dissacratorie. Negli anni addietro, è facile individuare casi di censura contro la libertà di giornalisti, conduttori, o chicchessia che si trovi a lavorare nel settore comunicazione. Una spinta, quella censoria, che coinvolge e trascina tutti con se’, anche l’invisibile lettore di quotidiani. Se si concede la possibilità di chiudere gli occhi e ricacciare le parole in gola, bhè, se si permette questo in un’emittente televisiva come la Rai, allora è proprio vero: la democrazia è un nuovo alibi. Vi mettiamo dentro ogni cosa, togliendole la sua caratteristica principale, il rispetto del libero arbitrio e il perdono di un’offesa dal carattere inoffensivo. Sì, perché usare una matita e tracciare la figura di un concetto del tutto personale e opinabile, anche questo è uno dei diritti che la democrazia difende strenuamente. Scrivere, disegnare caricature, comporre un pezzo che fa parlare di se’, che spaventa ed attrae insieme, questo fluire dell’attrazione dell’opinione pubblica, di tutti noi, verso un pensiero che si tramuti in musica piuttosto che in un saggio teatrale, ecco, tutto ciò va sotto le voci di democrazia, libertà, uguaglianza. Nessuna azione o forma di espressione disinteressata e liberatoria può essere punita e vendicata ricorrendo alla violenza. Questo però accade all’interno di quelle frange estremiste e, come in tal caso, nei paesi ancora dittatoriali, che non intendono affatto abbracciare l’ideale democratico, ma pretendono invece di imporre la propria arretratezza come presunta superiorità. Non ammettono alcun dialogo, confronto, o discussione razionale. Violano, puniscono, uccidono. Si parla però non dell’Islam, per intenderci, ma di coloro i quali sono spinti da interessi economici o dalla disperazione a mettersi al servizio di un Allah inferocito con l’intero Occidente. Allah deve essere protetto, tutelato e, se offeso, rivendicata la sacertà dei suoi insegnamenti. Non è di certo solo l’Isis, o Alqaeda, ad operare un percorso di “ammutolimento” forzato. Questi ultimi sono esempi di degenerazione misantropa dell’operazione censoria. Tuttavia, esistono forme di censura tacite o insabbiate. Anche l’Italia, per esempio, come ricorda il caso Santoro-Vauro nel 2009. Il conduttore di Annozero accusato di aver mandato in onda la famosa vignetta di Vauro riguardante le cubature del terremoto de l’Aquila. Secondo il direttore Rai Mauro Masi, indignato dalla scelta di trasmettere l’immagine durante il programma Annozero, era un insulto all’azione dei soccorritori. Per Santoro non era scattata la sospensione, che toccò invece a Vauro. Altro paese, musica non dissimile da questa. Siamo in Cina: cade sotto l’accusa di tradimento lo pseudonimo del vignettista Crazy Crab, celebre per i disegni in cui attacca il Partito comunista cinese. Ricercato in tutto il paese, Crab nasconde la propria identità grazie al suo nickname. Non sappiamo (e forse mai lo sapremo) se sia uomo o donna, o che età abbia. Una cosa, è certa. Non smette di stupire con i propri disegni. Ecco una sua dichiarazione tratta da un’intervista rilasciata a The post Internazionale, in cui spiega come, nonostante l’appoggio di molti, continui a vivere nella paura.
“E più continuo a disegnare e più ho paura. Alcuni artisti hanno ricevuto avvertimenti o sono stati arrestati dalla polizia di sicurezza, le loro vite e le loro famiglie sono state minacciate. La polizia mi troverà, presto o tardi, ma non voglio rinunciare a disegnare. Hexie Farm è un pezzo di memoria della logica politica del Partito che non può venire cancellata dalle intimidazioni delle autorità”.

Nelle vignette di Crab, dal titolo Hexie Farm si racconta la storia di un popolo (la Farm, ispirazione tratta dall’opera del celebre George Orwell) al cui vertice pone come suo capo un maiale: un popolo quindi formato da animali di vario genere, è parte integrante del Party-Party, ovvero del Partito esistente, e vive in una totale, apparente armonia. A turbare la quiete di una società giusta e democratica si verificano eventi isolati, presto debellati dall’intervento della polizia. In realtà, come si può ben intuire, il popolo è un magma indistinto che non ha potere d’azione, né di scelta. E’ sottomesso a due mali: la mafia cinese ed il partito (ovvero il Governo). Per fermare la forza della satira di Crab, il regime ha deciso di definire Hexie farm (蟹 农场) come “parola sensibile”, facendola scomparire del tutto da ogni motore di ricerca (eccetto Bing e Google). Se si vuol sapere cosa sia, è necessario perciò effettuare la ricerca in una lingua diversa dal cinese. Come si può ben vedere, il problema della libertà di opinione e di espressione è annoso, cronico quasi, e colpisce ogni essere umano, che appartenga al vecchio, al nuovo continente per spingersi oltre. La Francia è la nazione della laicità, dell’uguaglianza, la culla del pluralismo. Per capire quando nasce il “culto” della satira basteranno poche righe. L’avvio della grandezza di Charlie e della sua satira corrosiva ha inizio nel 1960, con la fondazione del giornale Hara-Kiri, considerato peraltro una testata di scarso livello ma comunque capace di smuovere gli animi, di infastidire tanto da subire le accuse delle autorità giudiziarie. Nel ’70 nasce invece il vero Charlie Hebdo, il cui nome è tratto dalla figura del personaggio di Charlie Brown di Peanuts. Charlie diventa presto il simbolo della libertà di espressione assoluta e indiscriminata. Tra le vittime dell’attentato terroristico avvenuto lo scorso 7 gennaio ci sono i quattro celebri vignettisti del team di Charlie Hebdo -come il famoso Wolinski- nonché altri giornalisti tra cui lo stesso direttore Charb. Una dei bersagli satirici dei vignettisti è l’Islam. Si ricordano sicuramente le vignette del 2006 che raffiguranti Maometto. E’ grazie a queste immagini che Charlie Hebdo sbarca il lunario, arrivando in tutta Europa. Le conseguenze sono notevoli, e la prima accusa rivolta dall’opinione pubblica, e non solo, è palesemente quella di razzismo. Nel 2011 esce il numero speciale dedicato alla vittoria dell’Islam in Turchia, che porta il titolo di Charia Hebdo. Nell’edizione speciale in prima linea la sagoma di un Maometto che minaccia con la frusta i terroristi se “non moriranno dal ridere”. L’ultima vignetta pubblicata sul settimanale francese è prova dell’estrema libertà dei disegnatori dalla paura di rimanere uccisi, essere vessati o minacciati. No, non è abitudine al rischio. Si chiama idealismo e spirito di autodeterminazione. Desiderio di essere, sfidando un “nemico” che non è semplicemente identificabile nel terrorismo islamico, o peggio ancora nelle religioni stesse, ma che si specchia nell’ignoranza di ogni fanatismo disperato e solipsistico. Il fanatico, infatti, agisce in gruppo ma vive sempre sole in un’unica frigida certezza: l’ossessione di agire per un ideale. Non un problema di religione, paese, o etnia: solo la democrazia può redimere la censura ed illuminare le menti ancora ottuse di chi confonde Islam con Isis, musulmani con terroristi, cattolici con nuovi crociati. Alla censura, preferiamo una cesura definitiva all’ignoranza.