Un polverone esponenziale, sollevatosi come un fungo atomico e propagatosi in lungo e in largo con un’onda d’urto paurosa. Un tema delicato – anzi, delicatissimo – preso e sbattuto forzosamente sul tavolo onnivoro dei social media, come una carcassa lasciata in pasto ad un branco di leoni nella savana.
Imane Khelif, una pugile algerina che qualche ora fa ha eliminato alle Olimpiadi – per abbandono – la nostra Angela Carini. Una pugile, Imane, dal fisico androgino raccontata qui e là al mondo, senza alcuna cautela, come una “transgender“, come una che gareggia con le donne ma che in realtà è un uomo, come una che gareggia ad armi impari, come un bug nel rigido/binario ‘apparato olimpico’ che scinde il mondo in due: da una parte gli uomini, dall’altra le donne.
Insomma, delle premesse che hanno compulsato la pronta risalita di reflussi e rigurgiti in chi – tanti – non ha esitato a bollare l’atleta algerina come “un uomo che dovrebbe gareggiare con gli uomini e non con le donne”, in ossequio alla convinzione che tutto ciò che non sia “uomo” o “donna” semplicemente non esiste o, per lo meno – peggio – non dovrebbe esistere.
Un gran tema. Un super tema, capace di spaccare il mondo in due. Un tema complesso e dalle mille implicazioni scatenato inconsapevolmente da Imane. L’esser (o non esser) una “trans” – cioé maschio alla nascita, divenuto e riconosciuto poi “femmina” in corso di vita – indurrebbe tanti a chiedersi, forse legittimamente: “è giusto che una fisicità androgina conclami, poi, la sua (ri)trovata femminilità anche a livello sportivo, ove la netta divisione “uomo/donna” non contempla fluidità di alcun genere?“.
Ma in realtà – e questo è l’aspetto più grottesco della vicenda – in queste ore si discute sostanzialmente del NULLA. Questo tema non esiste. Almeno non esiste in relazione alla pugile algerina.
Imane Khelif è DONNA. Nata DONNA. Almeno così dicono tutte le fonti, più o meno accreditate.
Contestare la sua “mascolinità”, al punto da dubitare finanche della legittimità delle competizioni, oltre ad esser una notevole ed esecrabile prestazione – tutt’altro che olimpica – di body shaming, è di fatto irrilevante, così come sarebbe dire di un pugile che la sua pelle grassa e scivolosa renda impossibile per gli avversari assestare un dritto al volto, oppure di una “altista” che il suo seno invisibile e, dunque, dal peso nullo le consenta un’elevazione maggiore.