
Quando la storia incrocia la leggenda, quando le passioni dei popoli incrociano punte di irrazionalità collettività come solo pallone e Mondiale sanno arruffianare, quando un ventina di bravi ragazzi fragili e benestanti vengono (in)caricati di diventare la buona coscienza ripulita di un Paese ancora troppo povero e diseguale, quando eupalla dio beffardo dell’arte prestipedatoria decide di metterci la sua sadica cattiveria, e quando nella vicenda capitano di mezzo pure i tedeschi, escono fuori partite mitologiche come quella fra Brasile e Germania semifinale del Mundial 2014. Ce la ricorderemo a lungo questa non partita, per sempre.Una non partita giocata in un non luogo davanti a un non pubblico. Cerchiamo di spiegare la nostra tesi.
“Non partita” non ha bisogno di tante spi egazioni considerato il risultato finale (1 a 7) e il cappottone tedesco (5 a 0) già fatto alla mezz’ora del primo tempo. Non una partita ma un’esibizione, non una recita ma un esercizio di stile, il nuovo stile tedesco a mostrare al mondo la grandezza neowagneriana dell’opera rivisitata della Die Mannschaft, scevra dai vecchi ballerini nerboruti e pesanti e riconvertita proprio alla vecchia scuola di giga, danza leggera che i nuovi panzerini tedeschi comunque fanno sfociare in sarabanda. La nuova opera dei piedi germanica, senza controcanti umili e veloci come quelli opposti dagli algerini, finisce per schiantare l’avversario.
Il ”non luogo” è lo stadio “Mineirao” di Belo Horizonte che, come tutti gli altri stadi di questo Mondiale e quelli partoriti del delirio speculativo/pubblicitario/marchettaro del football globalizzato in preda alla finanza, non ha più un aspetto riconoscibile da sacrario endogeno né un’anima dura da arena popolare. Sono solo dei grandissimi poster scenografici, di scenografia futurista e pacchiana insieme, cementificazioni cosiddette sostenibili del lavaggio di cervello iperconsumistico alla cui prepotenza anche il Brasile è sottomesso. Solo in un Mineirao amorfizzato dal restauro disonesto, imbellettato di stupidi orpelli e cancellato di storia e geografia, solo in un non luogo del genere la nazionale di pallone brasiliana per scarsa che sia poteva prenderne sette in casa.
Il “non pubblico” è il pubblico della semifinale BRA-GER e tutto il pubblico di questo Mondiale odiosamente classista. La torcida della selecao non può essere torcida senza i neri, i negri per dirla alla Balotelli. Ebbene, noi non abbiamo visto (in tv) un solo spettatore “negro” alle partite del Brasile e nemmeno nelle altre in cui i paganti brasiliani c’erano sempre e spessissimo in maggioranza. Ma il Brasile non è formato per metà da popolazione scura o nera? La “brasilidade” teorizzata dal sociologo Gilberto Freyre non doveva generare un popolo felicemente diverso e integrato? Il presidente Lula e ora la sua delfina Rousseff non dovevano assolutamente riequilibrare le differenze sociali ed economiche fra bianchi e neri? Pelé non è nero e quindi nato poverissimo? E come lui Ronaldo, Rivaldo e Jairzinho? E come Pelé non erano neri Didì, Garrincha e Djalma Santos?…La negritudine ha fatto la favolosa grandezza pedatoria del Brasile, escludere i neri dalle tribune del Mondiale di casa mettendo prezzi assurdi e accessibili solo ai ricchi bianchi ci sembra un’ingiustizia sociale oltre che una scelta politica controproducente per le sorti pallonare (e limitiamoci al pallone) della nazione. Il pubblico bianco infatti si è mostrato buono soprattutto a esibire alle telecamere la propria ricercata vezzosità borghese e a piangere. Dove erano gli incantevoli culi neri che al naturale ballano, tifano e ridono?…”Siamo qui solo per le brasiliane” diceva uno striscione a Italia 90, e nel semplice maschilismo rimorchiatore delle parole in realtà si ricercava il segreto e la forza della selecao.
Non entriamo in disquisizioni tecnicotattiche sulla (non) partita perché non ne abbiamo voglia e perché la realtà è già oltremodo leggenda per ridurla a schemi e numeri. Limitiamoci a dire che il nazionalista ct Filippone Scolari ha sbagliato tutte le scelte che poteva sbagliare, che senza Thiago Silva e Neymar il Brasile diventa il Verona (per associazione cromatica), che i pedatori brasiliani si sono mostrati sconfitti, strizzati di palle e di cervello già durante l’inno con l’agghiacciante esibizione della maglia di Neymar. Al posto del fringuello dalla cresta unta avremmo fatto tutti gli scongiuri del caso.
La Germania del serioso ct Low è una riuscita orchestra pallonara senza prime donne, una macchina di palleggio e di corsa, un felice intruglio di fantasia immigrata e di equilibrio teutonico. E ovviamente il frutto della scelte politiche illuminate dei dirigenti di quella federazione. Citiamo, per ossessione estetizzante e forse facendoci sopraffare dai luoghi comuni solitamente affibbiati ai tedeschi, due calciatori: il portiere Neuer e il centravanti Klose. Il primo fa il portiere di calcio come portiere di hockey su ghiaccio coprendo la porta con il corpo mastodontico umanizzato dal volto adolescente, chiude i buchi difensivi giocando con i piedi come un vecchio libero, minimizza i pericoli disprezzando la platealità del tuffo: prototipo del futuro. Il secondo con il gol al povero Julio Cesar (a proposito Julio, visto che facevi meglio ad aspettare ancora prima di parlare di rivincita?) raggiunge la gloria di primo goleador dei Mondiali; è numero 11 (purtroppo non 9) da romanzo, senza fronzoli anche lui, di fisico polacco e di applicazione tedesca, pronto di piede e intrepido di capoccia. L’ultimo grande centravanti d’area rimasto in circolazione: prototipo del passato.
Secondo giudizio di prestazioni e logica statistica la Germania dovrebbe vincere questo Mondiale, finora ha segnato diciassette gol (notevolissimi anche i quattro dati al Portogallo) subendone quattro (due sorprendenti dal Ghana, uno dall’Algeria e uno, “regalato”, dal Brasile). E’ la più forte, ma in finale troverà un’avversaria diversa dal Brasile, molto più leggera di spirito ma molto meno leggera in difesa: l’Argentina del ct Sabella, da noi ribattezzato Cirino Pomicino per la somiglianza fisica e gestuale col nostro democristo. La squadra di Pomicino/Sabella nelle partite a eliminazione diretta ha fatto solo due golletti ma nessuno ne ha subito, insomma si sa difendere. Poi ha Messi e altri ottimi attaccanti. A Messico 86 la stessa finale (più o meno, era la Germania Ovest) la vinse l’Argentina con un gol di Burruchaga su regalo di Maradona. A Italia 90 la stessa finale la vinse la Germania, Ovest ancora per poco, con gol di Brehme su regalo dell’arbitro messicano.
Quindi nell’altra semifinale, a San Paolo, l’Argentina vince contro l’Olanda al termine di una partita ipertattica, incagliata a centrocampo, consegnata alle difese rimpinzate di addetti, studiata a tavolino per spegnere sul nascere gli spunti in velocità dei due migliori della compagnia, tulipano Robben e pulce Messi. Le strategie accortissime hanno successo e la sfida a colpi di raddoppi di marcatura e di divieti di sovrapposizione in fascia giunge ai rigori senza gol, con un solo autentico quasi gol verso la fine dei centoventi minuti di barba. Peccato perché non solo la qualità degli atleti ma anche la temperatura climatica avrebbero consentito una partita aperta e degna di una semifinale del Mondiale, ma chi comanda le due truppe ha deciso così e allora vai con l’importanza del risultato e con la castrazione tattica.
Ai tiri di rigore vincono gli argentini che segnano sempre mentre gli olandesi ne sbagliano due con Vlaar e Sneijder. 4 a 2 per l’Albiceleste. L’imprevedibile Van Gaal non ripete la mossa del cambio portiere prima dei rigori adottata contro la Costa Rica epperò il Cillessen rispettato nel lavoro non ne para uno. Il portiere argentino Sergio Romero con peluria sottomento para due tiri ed è la nuova effige patriottica nel giorno dell’indipendenza del suo Paese.
Finalina Brasile Olanda sabato al Mané Garrincha di Brasilia. Finalissima Germania Argentina domenica al Maracanà di Rio.
A lunedì…