
Silvia Bertelà, unica e sola sulla scena, ad interpretare polifonicamente le quattro protagoniste de Le Troiane di Euripide.
In questa tragedia, rappresentata per la prima volta nel 415 a.C., il punto di vista che viene proposto al pubblico è quello dei vinti e non dei vincitori. Le Troiane consiste infatti nel lamento delle donne che, alla fine della guerra di Troia, vengono assegnate come schiave ai greci: Cassandra ad Agamennone, Andromaca a Neottolemo e Ecuba a Odisseo; Elena invece ritornerà, come se non fosse successo nulla, con Menelao. Per porre fine alla stirpe troiana i greci decidono di far precipitare dalle mura di Troia Astianatte, il figlio di Andromaca, Ecuba ed Elena si sfidano in una sorta di agone giudiziario per stabilire le responsabilità dello scoppio della guerra. Elena si difende ricordando il giudizio di Paride e l’intervento di Afrodite, ma Ecuba svela infine la colpevole responsabilità della donna, fuggita con Paride perché attratta dal lusso e dall’adulterio. Alla fine il corpicino di Astianatte viene riconsegnato ad Ecuba per il rito funebre, Troia viene data alle fiamme, e le prigioniere vengono portate via mentre salutano per l’ultima volta la loro città. La stirpe troiana è estinta, le donne hanno perso mariti e figli.
Per capire lo spettacolo Troiane. Istruzioni per l’uso. Dalla tragedia di Euripide al laboratorio di Henri Laborit di Roberto Tarasco con Sara Bertelà bisogna partire dalla tragedia euripidea, e pensare che è stata scritta all’indomani della Guerra del Peloponneso, e della strage di Melo, l’isola attaccata dagli ateniesi perché rifiutatasi di aderire alla lega delio-attica. Atene invase l’isola, gli uomini furono uccisi e le donne e i bambini venduti come schiavi. La strage di Melo pose non pochi interrogativi alla coscienza civica ateniese, ed Euripide non perse l’occasione di mettere in scena questa problematicizzazione. Non esistono più “i greci” da una parte e “tutti gli altri” dall’altra. Le donne di Troia sono disperate, hanno perso tutto, anche la memoria del loro popolo – il piccolo Astianatte, che viene brutalmente ucciso. Il pubblico contemporaneo si schiererà di certo dalla parte dei vinti, e non dei vincitori, il pubblico greco del 415 a.C. probabilmente continua a schierarsi dalla parte dei greci, ma con una coscienza diversa rispetto a quello di Eschilo o Sofocle, e cioè problematicizzando gli eventi che vede sulla scena. La struttura della tragedia viene sconvolta: non c’è una trama, non c’è una conclusione, non c’è, in effetti, catarsi. Le Troiane è una tragedia “aperta”, si parte dal lamento delle donne e si finisce con il lamento delle donne. Non si risolve nulla, l’unica cosa che forse cambia è l’animo dello spettatore, che non può fare a meno di essere turbato dall’accusa che Ecuba fa ai greci, e cioè quella di aver avuto paura di un povero bambino e di averlo fatto fuori senza pietà.
Euripide è stato sicuramente un precursore del suo tempo, un genio all’epoca “incompreso” rispetto ai suoi predecessori, un drammaturgo che oggi riceverebbe molti più applausi. Perché nelle sue opere i conflitti non vengono risolti, al contrario, la sua maestria consiste proprio nell’insinuarli nella mente umana. Proprio in quanto irrisolta, Le Troiane ben si presta a successive interpretazioni e riflessioni, nel teatro e nella letteratura moderni, così come in quelli contemporanei.
Henri Laborit, etologo degli anni ’70, riconosce nelle quattro protagoniste i quattro modelli comportamentali femminili nella reazione all’aggressione: l’accettazione in Ecuba, la lotta in Cassandra, l’inibizione in Andromaca e la fuga in Elena. Sara Bertelà interpreta magistralmente tutti e quattro i personaggi, caratterizzandoli, pur nella staticità scenica, con l’espressività che meritano. Per quanto diverse tra loro, queste donne hanno qualcosa in comune: nessuna di loro perde la dignità, e ognuna trova un modo per reagire. Le luci e gli effetti sonori sul palco contribuiscono a catturare l’attenzione dello spettatore, che si ritrova immerso in uno spettacolo poliedrico: oltre alla tragedia euripidea vengono messe in scena riflessioni, elementi di metateatro, discussioni e pensieri sul mito e sul suo significato, attraversando una serie di stili differenti, dal tragico al saggistico. Al di là della confutabilità delle varie interpretazioni, uno spettacolo come Troiane. Istruzioni per l’uso. dimostra quanto Euripide possa essere considerato, per molti versi, uno scrittore moderno, e quanto nel mito greco siano presenti in effetti le radici di tutta la cultura occidentale. Il mito è senza tempo, il suo tempo è nella reiterazione del racconto, che arriva fino a noi. La differenza con il passato sta nello sguardo dello spettatore.
Uno spettacolo difficile, una dura prova che Sara Bertelà ha superato senza sbavature. Un ottimo spunto di riflessione anche il parallelismo che l’attrice propone alla conclusione della sua esibilizione: “se pensate che Le Troiane siano un’opera lontana da noi – dice – pensate per un attimo a tutti i CIE (centri di identificazione ed espulsione) diffusi in Italia”, dove gli immigrati che sono scappati dalla loro terra per trovare rifugio politico vivono in condizioni pietose, in una sorta di limbo, privati della propria dignità umana.
24 |29 marzo 2014
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