
“Oggi è un buon giorno per morire“, dicevano gli Indiani d’America, andando incontro all’inesorabile fluire dell’esistenza umana con disarmante orgoglio e spregiudicata consapevolezza.
E non hai avuto paura di lasciarci neanche tu, che hai sfidato così tanto la sorte da trovare il coraggio di uscire di scena il giorno del tuo compleanno. Morto nel giorno in cui sei nato. Nato nel giorno dei morti. Una sorta di palindromo linguistico, un “Coup de théâtre” che lascia gli spettatori increduli; ma stavolta hai colto di sorpresa l’Italia intera.
Colosso dell’Arte, mezzo secolo di carriera, classico e moderno, comico e tragico. Una storia infinita, che non basterebbero intere pagine per descriverla. Talento innato, autoironico, Gigi Proietti raccontava lo scetticismo dei genitori dinanzi alla sua decisione di diventare un attore: “Volevano che facessi l’avvocato . E meno male che ho rinunciato, sarei stato pessimo“, queste le sue parole, accompagnate dalla risata possente e comunicativa che incorniciava ogni intervista.
Mattatore poliedrico, chansonnier parodico di Louis Armstrong e di Ettore Petrolini (indimenticabile la sua “Ho detto al sole“), showman e direttore di palcoscenici importanti come il Brancaccio di Roma, ed unito alla “Caput mundi” da un legame indissolubile, al punto di scegliere di non vivere altrove.
Sconfinata la lista delle sue interpretazioni: dalla comica “Febbre da Cavallo“, passando per “Il Maresciallo Rocca“, finendo con il più recente “Cavalli di battaglia“, portato in scena nel 2017 al Teatro Verdi di Montecatini Terme, capitanato da lui e sua figlia Carlotta, degna erede del padre e presenza costante dei suoi spettacoli.
Gigi debuttò a teatro negli anni Sessanta, ancora studente di giurisprudenza (per mantenersi economicamente faceva il cantante night), dopo aver creato il gruppo dei 101, con Piera degli Esposti (altro nome celebre dell’arte italiana) ed Antonio Calenda: le esibizioni avvenivano in un ex ripostiglio di scope, adibito a magazzino:” Ed a fine spettacolo c’era spesso il “dibbbbattito”, quello co’ trecento b“, raccontava Proietti. E cantava nelle piscine del Foro Italico, dove avrebbe poi incontrato la sua compagna di vita, Sagitta Alter. “Era la classica svedese innamorata dell’Italia, accompagnatrice di turisti in giro per i monumenti. Tra noi scattò il colpo di fulmine ballando l’alligalli”.
Un punto di svolta per la sua carriera arrivò con il “Dio Kurt” di Alberto Moravia, con cui, oltre all’inaspettato successo del pubblico, Gigi cominciò ad intravedere nella recitazione un mestiere sicuro, malgrado l’inesistenza di uno stipendio fisso. Il cambiamento radicale giunse con “Alleluja brava gente“, accanto a Mariangela Melato e Renato Rascel. Un vero e proprio “Colpo di fortuna” lo definì Gigi, il quale prese il posto di Domenico Modugno a seguito di un litigio dello stesso con Rascel. Lì egli comprese la possibilità di veder trionfare il cosiddetto “Teatro popolare“.
Alla domanda:” Esiste un erede di Gigi Proietti?“, con l’indimenticabile flessione romanesca, rispose:” Speriamo de no!“. Opinione unanime ed inconfutabile.
Oggi alle 13, alla Chiesa degli Artisti in piazza del Popolo, la sua amata Roma gli renderà l’ultimo saluto, con un corteo partito dal Campidoglio e giunto fino al Globe Theatre, il teatro shakesperiano che verrà dedicato all’attore. Un applauso durato cinque minuti, con la partecipazione di innumerevoli maestranze, tra cui i suoi ex alunni Flavio Insinna ed Enrico Brignano. Presenti, tra gli altri, Lina Wertmüller e Walter Veltroni.
Al fine di evitare assembramenti ingressi chiusi e spazi interdetti ai cittadini e alla circolazione. Gli sarà purtroppo negato il bagno di folla di un popolo che lo ha amato e seguito a teatro, in televisione, al cinema. Come era accaduto per Alberto Sordi e Fabrizio Frizzi.
Conte Duval, stavolta avremmo voluto davvero prendere “Fischi per fiaschi”, un “whisky maschio senza rischio“, ed accorgerci che la fine triste della partita ti avrebbe lasciato ancora un pò in lista d’attesa.
Insomma Gigi, ti sembra questo il modo? Ti sembra questo il modo?
Hai scelto il giorno del tuo ottantesimo compleanno per lasciarci ancora a bocca aperta. Un’altra delle tue “Mandrakate?”. Ma che davvero si muore così? Non va mica bene, che l’applauso più grande l’hai preso tu anche stavolta.
E forse stai sorridendo soddisfatto, da dietro il colletto alzato come quel maledetto chansonnier, mentre ti allontani di spalle oltre il sipario. E magari ce lo sussurri pure un ultimo, affettuoso “Nun me rompe er…”. Devi sussurrarcelo. A noi che piangiamo, da qui, e piange l’arte zoppa in un momento di quarantene emotive, dove tutto appare sospeso, che da oggi avrà una colonna in meno.
“Ora è finito, eh?“.
No, Maestro. Ci hai lasciato ma non ti abbiamo perso, perché mai ti perderemo.
E grazie per questo regalo immortale.