
Riprendiamo la rubrica sul calcio campano inaugurata la scorsa stagione. Nell’anno (pallonaro) passato questa rubrica ha tentato di raccontare le vicende di Avellino e Juve Stabia, le due regionali impegnate nel campionato cadetto, lasciando ad altri il resoconto più seguito del Napoli capofila regionale. In questa stagione, stante la presenza in B del solo Avellino, abbiamo deciso di accorpare serie A e serie B e di raccontare insieme fatti, grandezze e miserie prestipedatorie di Napoli e Avellino; azzurri partenopei e verdi irpini, infatti, sono gli unici club nostrani impegnati in tornei geograficamente nazionali e, forse non a caso, sono i club più blasonati del nostro circondario. Nulla contro la serie C (o come cavolo la chiamano adesso), che rimane sempre la categoria del pallone più impervia e viscerale, ma A e B hanno altro richiamo. Cercando di mantenere un tenore non serioso, volutamente diverso dagli accenti esasperati ed esasperanti che ormai sembrano dominare il racconto del calcio in tv e sui giornali (cartacei o virtuali poco cambia), speriamo di appassionarvi all’argomento e magari pure di contribuire ad un ravvedimento (scriveremmo volentieri “rinsavimento”, se solo non volessimo urtare la suscettibilità di nessuno) dei toni e delle parole di tanti cronisti. Chi ci ha seguito fino a maggio già dovrebbe sapere che non ci piacciono le frasi fatte e le iperboli ripetitive della cronaca pallonar/contemporanea, non ci piacciono i radio/tele urlanti in gara per il premio “il più sguaiato”, non ci piacciono i calendari ridotti ad abbonamenti alla pay-tv, non ci piace l’ossessione per il calcio-mercato, non ci piacciono le scommesse, non ci piace il razzismo da stadio (e da tutto il resto), non ci piace la corsa ai nuovi stadi, non ci piace Moggi, non ci piacciono gli amici di Moggi, non ci piacciono i fustigatori di arbitri, non ci piacciono le recite dei calciatori/superman negli spot, men che meno ci piacciono le loro simulazioni e le manfrine in campo…Potremmo continuare con le cose che non ci piacciono per molte voci ancora, non lo facciamo perché tanto c’è una cosa che ci piace e che ci fa ancora appassionare a questo sport: la palla che rotola colpita di esterno collo.
Se poi, come dice qualcuno, siamo solo la stantia celebrazione del calcio che fu, allora rispondiamo che è sempre meglio quello che fu di quello che è. Fu fantasia e romanzo popolare, è televisione e marketing…Fate un po’ voi. In attesa della ripresa del campionato di A, fermo per gli impegni della nazionale del nuovo milionario ct Antonio Conte (altro personaggio che poco ci piace), concentriamo questa prima puntata sull’Avellino. Sul Napoli ci limitiamo ad osservare che, pur nell’inizio infausto di campagna europea con l’eliminazione dalla Champions League ai preliminari, l’atteggiamento ipercritico del tifo azzurro ci sembra eccessivo. In fin dei conti il preliminare ha messo di fronte a Benitez e discepoli l’Atletico di Bilbao, forse la candidata più forte di quelle non ancora ammesse agli atti di coppa vera e propria. Perdere ci poteva stare, così come ci poteva stare un mercato estivo di tipo razionale (o taccagno, questione di terminologia). Quello che non ci può stare è il numero insignificante di abbonati che finora hanno sottoscritto la loro fede: seimila e rotti abbonati, per il Napoli, sono nulla. E nulla questa squadra e questa società assolutamente non sono, a prescindere da tutte le smargiassate padronali. Passando quindi ai campani dei monti, al Piercesare Tombolato di Cittadella, ricco nord-est solcato dal Brenta, nella prima domenica “rubata” alla serie A l’Avellino del confermato allenatore Massimo Rastelli ne incassa tre dai locali. A nostro parere, il tris buscato e soprattutto il modo di buscarlo dovrebbero subito indurre i dirigenti a riflettere sulla qualità dei nuovi virgulti presi in questa estate, e magari pure sulla qualità dei virgulti persi (Zappacosta, Galabinov e Izzo), confrontando vecchia e nuova rosa e invitando tutto l’ambiente ad un sereno esame di realtà. Già alla prima, in casa contro la neopromossa Pro Vercelli sabato ultimo di agosto, l’Avellino aveva vinto ma con tante difficoltà di gioco, eppure favorito dall’espulsione affrettatissima di un vercellese nel primo tempo. Gigione Castaldo aveva segnato al novantesimo, ma prima della zuccata del centravanti poco o niente di buono la truppa di Rastelli era riuscita a fare dentro l’assembramento difensivo ospite. Anche a Cittadella le stesse difficoltà si sono manifestate, anche a Cittadella il gioco offensivo dei lupi è stato solo lanci lunghi verso Gigione, centravanti generoso ma non Gigi Riva. I mediani e la mezzala di Rastelli stentano a fare il fraseggio, sulle fasce si corre solo all’indietro, le punte non collaborano e non si intendono fra loro, e pure la difesa prende sbandate e infilate con troppa frequenza. E meno male che i verdi, in realtà vestiti di bianco da trasferta, a Cittadella vanno pure in vantaggio, su rigore al minuto 28, un minuto dopo un altro rigore a utilità cittadellese (s)calciato all’aria calda, molto sopra la porta del nuovo portiere Gomis, da tale Coralli. Per fallo di mano il primo e per fallo di mano il secondo, giustificate entrambe le massime punizioni. Il nostro Gigione da Giugliano invece spiazza l’estremo Valentini e illude il buon numero di fanatici al seguito. Fanatici forse per sempre, ma illusi evidentemente per poco visto che il vantaggio dell’Avellino dura il soffio di un minuto. Pareggia lo stopper quasi autoctono Pellizzer, di testa, con sponda di Gerardi e con osservazione attenta della difesa avellinese. Rincitrullito per motivi ignoti, accusato del fallo da rigore e forse pure del gol avversario, il terzino poco fluidificante Bittante viene sostituito da mastro Rastelli alla mezzora del tempo.
Entra al suo posto il randellatore Fabbro, epperò la musica non cambia granché e tre minuti dopo il Cittadella infila il gol del vantaggio con un destro a giro dal vertice d’area di Sgrigna, il più dotato dei suoi, col pallone (finalmente bianco e nero, non più giallo) che supera Gomis proteso in terra a due mani (ma in casi del genere la mano “cercante” la palla dovrebbe essere solo una, quella più vicina all’erba: motivi di allungamento del corpo). Nel resto del tempo il Cittadella va ancora vicino al gol, sempre giocando sul suo “10”, il romano Sgrigna, che fa un po’ la punta e un po’ l’ala nel modulo tattico di mister Claudio Foscarini, decennale guida tecnica dei veneti e record di durata per le usanze italiane in fatto di chiappe sedute in panchina. L’intervallo arriva a interrompere il tentativo di fuga dei padroni di casa e a dare un po’ di ossigeno ai fuoricasa, forse soffrenti pure la tardiva canicola del nord-est. Nella ripresa, eccetto i primi cinque minuti, l’Avellino sembra andare incontro alla sua sorte senza reagire, anche i subentranti attaccanti Comi (per il centrocampista Kone) e Soumarè (per l’altro attaccante Arrighini) non riescono a svoltare la gara. L’Avellino si rassegna a perdere senza neanche fare a cazzotti, avrebbe detto coach Simone Pianigiani in trans agonistica, e sinceramente nel campionato scorso tale arrendevolezza non si era quasi mai vista (il quasi riguarda l’ultima e decisiva giornata a Padova…). Così i corridori del Cittadella trovano spesso il modo di interpellare il portiere nero Gomis, che le prime due volte risponde bene alle conclusioni di Sgrigna e di Cappelletti, alla terza invece si fa superare dal tiraccio sicuramente non imparabile del centrattacco Gerardi, col pallone che rimbalza davanti al portiere italo/senegalese già disteso sull’erba e così scavalcandone il petto. Gittata mancina e infida quella di Gerardi, ma Gomis non ne anticipa bene la traiettoria. Nella circostanza il tuffo di Gomis ricorda quelli del placido (ex) Terracciano, e non è un dolce ricordo. Tre a uno al 73’, il resto è attesa del triplice fischio.