
Ventottesima di rubrica regional/pallonara instabile, instabilmente ristretta per motivi che i lettori capiranno leggendo. Napoli e Avellino rimediano una vittoria e un pareggio nelle giornate numero trentuno di serie A e trentasei di serie B. Se il Napoli sembra aver ripreso una marcia spedita verso le primissime posizioni della generale, l’Avellino, al contrario, sembra attraversare una pericolosa crisi regressiva di gioco e di risultati. La ripresa porta la compagine partenopea a conquistare il quarto posto in classifica e a convincersi di tentare l’inseguimento alle due davanti, Roma e Lazio, per finire il campionato in posizione buona a qualificarsi per la prossima coppa europea con musichetta d’incoronazione di re e con bottino più ricco pure del re. Senza considerare la coppa UEFA (o come cavolo la chiamano adesso) in corso e la grande vittoria nel regno della Volksfagen che dovrebbe aver dato agli azzurri le semifinali e una spinta fortissima verso la gloria. La crisi invece porta la compagine irpina a occupare il sesto posto in classifica e a mortificarsi l’autostima, deprimendo i pensieri di impresa e volgendo l’attenzione alle spalle per non perdere pure il diritto minimo agli spareggi promozione.
Al solito ricalcando la cronologia degli avvenimenti, sabato pomeriggio l’Avellino avrebbe dovuto giocare in trasferta la partita contro il Varese senonché, poco prima dell’inizio, il solerte custode del campo della città prealpina, finito di consumare il suo leggero pranzo a base di sugo di corna d’alce, si è accorto che alcuni ultras varesotti di chiara impostazione concettualista nottetempo avevano creato il loro capolavoro immortale segando i pali delle porte, asportando alcuni pezzi del terreno di gioco, lasciando macchie vive di vernice nera sui muri delle gradinate e fluidi corporei nei pressi dei calci d’angolo…I critici più raffinati vedevano nell’opera il tema del coinvolgimento esistenziale dell’arte nonché la trasformazione del campo da gioco in arena in cui agire la protesta del moderno prototipo di ultras alienato e ignorante come un bue, l’arbitro della partita invece non vedeva niente ed era costretto a rinviare. Il presidente dell’Avellino, in un imprudente impeto di civiltà sportiva, non chiedeva la vittoria a tavolino e si accordava con federazione e avversari per giocare la partita il giorno successivo, a porte dello stadio aperte e porte del campo risaldate da due manovali cugini del portiere del Varese giovanile. Nell’allegro sabato pomeriggio i trecento fanatici dell’Avellino al seguito, che milleduecento chilometri si erano sciroppati a bordo di autobus trafugati in un noto stabilimento FIAT Iveco della provincia di Avellino chiuso da otto anni ma che Marchionne sosteneva essere ancora aperto, decidevano di non rimettersi in viaggio verso l’Italia (convinti che Varese fosse già Svizzera) ma di fanatizzare ancora di più la loro immagine restando al di fuori dello stadio a farsi fare la statua al merito dai colleghi di Varese nel frattempo intervenuti a scusarsi per il disagio loro creato. Pertanto, una simpatica adunata di matti bivaccava intingendo sopressate di suino dentro grandi piatti di polenta taragna cucinata dalle energiche donne dei capi varesini e cantando canzoni in improvvisato dialetto irpino/bosino fino alla domenica mattina quando, fiaccato dal vento delle Alpi e (soprattutto) dal vino del Vulture, il gruppo decideva di trasferirsi alla vicina sede della “lega lombarda per la secessione dalla Lombardia”, dove il noto cantautore (folk/concettualista) Davide della Valganna organizzava una raccolta firme per chiedere al governo italiano la vittoria a tavolino sia dell’Avellino che del Varese, oltre alla divisione del campionato di serie B in tre gironi: girone Nord, girone profondo Nord e girone Valganna. All’orario previsto, una delegazione di ultras ritornava allo stadio e, notandolo vuoto, inveiva contro l’ennesimo effetto della pay-tv srotolando il classico striscione portato in una sospetta bricolla, così tornava in sede per guardare la partita alla pay-tv facendo attenzione ad abbassare il volume delle televisione e mettere al massimo quello della radio. Un gruppo di vacche alpine in transumanza, uscite dalla scorta dei pastori con pantaloni di stamegna e cani bovari svizzeri nutriti con carne di emigrati rumeni, travolgeva e danneggiava alcuni autobus dei supporters irpini, i quali, rendendosi conto di non poter chiedere assistenza meccanica per mezzi trafugati e privi di carta di circolazione, dopo un breve conciliabolo con le forze dell’ordine decidevano di rimanere a Varese per metter su un allevamento di cani bovari da monta e un pub “forza lupi” dove ospitare gruppi musicali folk e gruppi ultras concettualisti.
Più o meno nelle stesse ore, a Cagliari, dove il Napoli doveva affrontare la locale squadra quasi retrocessa, un gruppo di ultras avanguardisti con tipica bandiera dei quattro mori e fare minaccioso irrompeva, capeggiato da una donna presentatasi come “ardita virago abile a destreggiarsi col cavallo e col moschetto”, durante l’allenamento della squadra di mister Zeman, il quale rispondeva “non c’è problema” muovendo impercettibilmente solo il labbro superiore ed affidando al capitano Daniele Conti, figlio del celebre Bruno, il compito di continuare le trattative. Conti, romano di nascita e cagliaritano di cittadinanza, prometteva all’ardita virago grinta e impegno ma quella, in realtà non capendo la lingua italiana, prendeva in ostaggio tre giovani riserve e faceva ritirare i suoi sulle note di canti indipendentisti sardi. Pur di non pagare il riscatto e di non darla vinta agli ultras, mister Zeman ordinava ai suoi giocatori di giocare contro il Napoli con la difesa ancora più aperta del solito e con tre attaccanti che non segnavano dagli anni del campionato esordienti. Il Napoli vinceva la partita senza correre, gli ultras del Cagliari, avviliti, abbandonavano la curva lasciando sugli spalti un anziano cavallo, un moschetto da brigante, la bandiera dei quattro mori con attaccato messaggio (stranamente in lingua italiana) “recapitare al concerto del primo maggio” e un grosso sacco di juta in cui si rinvenivano i tre giovani sequestrati in buono stato di salute. Mister Zeman annunciava le sue dimissioni con un comunicato in cui c’era scritto solo: “chiedere a Daniele Conti”.
Mitico boemo, tu per me vinci sempre!