domenica 4 Giugno 2023
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Rivivere oggi Dostoevskij: il male nei fratelli Karamazov

IMG_6796Reinterpretare Dostoevskij non è un’impresa facile. Non perché non sia stato un drammaturgo: i suoi romanzi, benché non scritti per il teatro, si prestano alla rappresentazione sulla scena. È un’impresa non facile perché si tratta di un autore difficile da racchiudere in uno spettacolo di due ore o ancora meno: si rischia, per voler dire troppe cose insieme, di non riuscire a dire nulla, o quantomeno nulla di rilevante. Si sono cimentati in quest’impresa, e non per la prima volta, Alberto Oliva e Mino Manni, dell’associazione culturale “I Demoni”. Fondata a  Milano nel 2011 in seguito alla scoperta dell’interesse comune per l’autore russo, la compagnia teatrale mette in scena il monologo “La confessione” (la parte censurata), tratto da “I Demoni”, romanzo dostoevskijano del 1873, che viene rappresentato per la prima volta a Napoli,  “Il giocatore”, che ora è alla trentesima replica, e “Ivan e il diavolo”, rappresentata per la prima volta a Milano nel 2013, e che è stata portata in scena nei giorni scorsi a Napoli, alla Galleria Toledo. Attualmente hanno un progetto teatrale relativo a “Delitto e castigo”, ancora in fase di elaborazione, e poi si dedicheranno alla rappresentazione di “Mozart e Salieri”, di Puškin, altro autore russo.

La scelta degli estratti da mettere in scena è sempre molto accurata: si tratta, per la maggior parte, di testi brevi, ma capaci di permettere al pubblico di estrapolare da lì il significato dell’intero romanzo. Per quanto riguarda “Ivan e il diavolo. Il mistero del doppio nei fratelli Karamazov”, Alberto e Mino scelgono il capitolo dell’ultima opera dostojevskijana in cui Ivan – interpretato da Alberto Oliva, anche regista dello spettacolo, che debutta in questa occasione come attore – è assalito da visioni spettrali e si confronta con il lato oscuro della sua anima – Mino Manni, nei panni del diavolo – in un dialogo estremo, grottesco e a tratti assurdo e divertente, di straordinaria potenza verbale. Il “doppio” di Ivan è Satana, in realtà una trasfigurazione della sua coscienza, una parte di sè, emblema del male insito nella natura umana. Come ci ha insegnato Dostoevskij, “psicanalista ante litteram”,  si deve conoscere il male per poterlo superare. L’autore russo era riuscito a sublimare ogni esperienza da lui vissuta mettendola su carta. Sotto questo aspetto, la rappresentazione teatrale va ancora oltre: il male viene rappresentato davanti al grande pubblico, viene messo in scena, e se ne parla con quella leggerezza che, come suggeriscono i due attori, non deve venire mai a mancare in uno spettacolo teatrale, anche se gli argomenti sono seri e complessi. Potrà sembrar strano a qualcuno, ma questa leggerezza caratterizza anche l’opera dostoevskijana: la compagnia teatrale, per scelta poetica, fa del testo il suo copione, nella prima parte della messa in scena riprende parola per parola il dialogo del romanzo. “I demoni” non prediligono un teatro d’avanguardia che stravolge il testo, bensì, riconoscendo in Dostoevskij un autore universale e incredibilmente attuale, vogliono mettere in scena la concretezza del testo, riportandola in versione teatrale.

La scena è un bagno in cui Ivan si ritrova a riflettere sulle malvagità, e si interroga sulla violenza nei confronti dei bambini, senza riuscire a trovare un senso a tutto ciò. Improvvisamente appare il diavolo, e lo mette in crisi. Ivan pensa che sia soltanto una sua proiezione, e si rifiuta di credervi. Intanto, però, il diavolo assume sembianze sempre più umane: si lamenta, ha paura di essere ucciso, parla della medicina omeopatica, e ha persino i reumatismi. “Satana sum, et nihil humanum a me alienum puto”, gli fa dire Dostoevskij, emulando il famoso verso di Terenzio (“Satana sum, et nihil humanum a me alienum puto”); il male è dentro di noi, e nonostante ciò, è una presenza reale e tangibile. Creato, infatti, a “immagine e somiglianza” dell’uomo, proprio come Dio. La rappresentazione scenica, da questo punto di vista, offre molte più occasioni della semplice scrittura: il diavolo va e viene, e ogni volta che ritorna assume sembianze diverse, persino quelle di un prete confessore, quasi a voler sottolineare che il male non è estraneo a nessuna categoria.  Il diavolo non sembra realmente così cattivo, dichiara di essere, egli stesso, vittima di decisioni altrui, si definisce “capro espiatorio”, avrebbe voluto unirsi al canto di Osanna, ma è stato scelto per “negare”, e senza la negazione, in fondo, non esisterebbe nulla, il mondo sarebbe noioso e nulla avrebbe ragione di esistere.

Inizialmente Mino Manni avrebbe dovuto interpretare Ivan, e la compagnia era alla ricerca di un diavolo, ma poi hanno voluto rappresentare “il doppio” anche nel binomio attore – regista. Dopo aver visto lo spettacolo, però, non si riuscirà ad immaginare un diavolo diverso da Mino Manni: poliedrico ed esuberante, ruba la scena e la simpatia del pubblico ad Ivan, un po’ sottotono rispetto al personaggio dostoevskijano.

L’innovazione rispetto all’autore russo è nella seconda parte dello spettacolo, in particolare nel finale. La riflessione sulla violenza si fa più profonda, e, anche se prende spunto da “I fratelli Karamazov”, affronta problematiche attuali. Non si trova, in effetti, una vera spiegazione del male, non c’è spiegazione che regga di fronte a tanta violenza. Non la trova Ivan, e non la trova il pubblico. Tutto ciò che resta da fare, forse, è “riderci su” almeno per la durata dello spettacolo, e tornare poi a casa con tutti i dubbi irrisolti, perché in fondo l’arte non risolve i problemi, semplicemente li rielabora. È bello, intanto, che una compagnia giovane renda onore a un autore classico, e ne dimostri l’attualità svelandone dei lati nascosti.

 

 

 

 

 

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