
Undicesima puntata della nostra rubrica sulle vicende pallonare di Napoli e Avellino. Il Napoli, come saprete, nel fine settimana passato non ha giocato, fermo per la sosta della serie A a consentire gli impegni dell’Italietta di Conte e Tavecchio; nazionale(tta) domenica sera dominata in casa milanese dalla buona ma non oltre Croazia e costretta (altresì disposta) ad accontentarsi del pareggino in casa come rappresentativa di seconda fascia si sarebbe accontentata. Ieri sera invece vittoria di misura in formazione sperimentale contro l’Albania al quartiere Marassi di Genova, affollato più di nostri cugini albanesi che di nostri fratelli italiani. Partita piacevole e tirata, con gol alla fine del debuttante Okaka e tre incursioni in campo da parte di altrettanti militanti della “grande Albania”. Almeno, a differenza dei nazionalisti croati, quelli albanesi si sono limitati al gesto dimostrativo… Un pareggio sofferto e una vittoria sofferta, entrambe in casa e contro avversari poco più che mediocri; questo è il nostro migliore prodotto nazionale in materia di pedata e tocca tenerselo, in attesa di nuovi eroi e soprattutto in attesa di nuovi regolamenti e di nuove impostazioni dei club di vertice e dei settori giovanili. Nuovi regolamenti che tanto non verranno, parimenti alle nuove impostazioni. L’unica salvezza potrebbe venire da nuovi eroi nazional/pedatori, per forza nascenti nel fango come i fiori di De Andrè.
Il Napoli calcio è ufficialmente in lutto per la morte dell’anziana madre del presidente Aurelio. Condoglianze al presidente. La squadra, con i suoi tanti nazionali in giro con le rappresentative di patria, si è allenata fino ad oggi con pochi dipendenti in vista della prossima partita in casa, domenica pomeriggio contro il Cagliari. Il nazionale belga Mertens nella partita contro il Galles ha preso una botta in testa che lo ha tramortito e mandato all’ospedale. Ultime notizie dicono che è niente di grave, leggero trauma cranico e presto l’ala di cazzeggio sarà di nuovo a Napoli a fare il sostituto di Lorenzino intaccato nel ginocchio. Napoli contro Cagliari, oggi, è soprattutto Benitèz contro Zemàn. I due allenatori più offensivi del campionato, nei gusti di chi scrive anche i più seducenti. Rafelone vincente di successo con squadre molto buone, Sdengo perdente di successo con squadre buone e vincente con quelle scarse. Entrambi personaggi ironici e interessanti, più Sdengo però, in un ambiente lercio di banalità e di paure di perdere. Per domenica prossima al San Paolo prevediamo gol ed emozioni, tagli e sovrapposizioni, tapine coppie difensive in forte inferiorità numerica rispetto alle quaterne e mezze dozzine e decine attaccanti (l’obiettivo dichiarato di gioco di Zeman il folle è ancora quello di creare azioni portando gli attacchi con dieci uomini); mediani senza licenza di passaggio banale e fuorigioco sistematico per la gioia dei segnalinee fortunati. Staremo molto volentieri a vedere. Poi va a finire che viene lo zero a zero e allora potrete sbertucciarci di pernacchie, ma è un’eventualità remota.
Sul versante regionale interno l’Avellino sorpresa, con lo slancio (teorico…) venente dalla vittoria in trasferta sul campo del Modena nel turno precedente, ha affrontato in casa il Vicenza. La vittoria avrebbe portato i lupi secondi in classifica da soli all’inseguimento della capolista Carpi, con in più la gola di un’altra partita casalinga nel turno successivo. Le altre del campionato avevano già giocato nell’orario in cui era fissata la partita dei lupi, domenica alle sei del pomeriggio, tutto allora sembrava già pronto e pianificato: vittoria, secondo posto in classifica, prospettiva di primo posto per il sabato venturo. I tifosi, presenti in buon numero nonostante l’acquazzone incombente dalla mattina e dato per sicuro dalle previsioni, erano sicuri del loro programma. Il Vicenza non era avversario temibile bensì deboluccio, quest’anno doveva perfino fare la serie C, non poteva rovinare i piani e le fantasie che si toccavano del popolo del Partenio-Lombardi. In verità il Vicenza, un tempo mitico Lanerossi, qualche settimana aveva cambiato la guida tecnica e ingaggiato il siculo Pasquale Marino, allenatore con esperienza di serie A, non sempre positiva ma pur sempre serie A. Era gruppo pedatorio in ripresa, il Vicenza, nel turno ultimo aveva battuto in casa di rimonta la Pro Vercelli e aveva voluto dire di non rassegnarsi alla retrocessione già natalizia. Era gruppo pedatorio vivo insomma. E sapeva che l’Avellino in casa sua, quando deve giocare di iniziativa propria e non riflessa, può incontrare difficoltà. Così il Vicenza, fra lo stupore di tutti financo dei propri fanatici al seguito, ha vinto una partita brutta per mezzo di un gol molto bello; lo ha segnato un centravanti sardo che di cognome fa Cocco, con botta al volo in mezza girata di piedone destro che sembrava Batistuta…Il fatto è accaduto al minuto 27 e prima le due squadre si erano solo stuzzicate. L’Avellino, schierato da mastro Rastelli con un modulo diverso dal solito e che voleva essere più adatto all’esigenza mal sopportata di comandare la partita, non ha giocato bene, proprio perché i ragazzi del mastro poco conoscevano il modulo e soprattutto poco sapevano sfruttarne i vantaggi sulle fasce. Ci provavano pure, quelli di fascia, a valorizzare il cambiamento e a proporsi spesso per la scavallata, ma non c’erano i movimenti degli altri a far libera la strada. Così succedeva che Bittante e Visconti, i due terzini di fascia, arrivavano fino a un certo punto ma poi buttavano la palla in mezzo senza poter arrivare sul fondo, zona del campo in cui i cross perdono in convenzionalità e acquistano in pericolosità. Nel centrocampo dei lupi, inoltre, il mediano di scontro D’Angelo veniva richiesto di fare la mezzala di supporto alle punte, ma mostrava di non averne proprio le competenze. La variazione tattica di Rastelli ha portato la sua squadra a bloccarsi nei fili del reticolato vicentino di metà campo e a non riuscire a scoccare nessun tiro verso la guardiola del guardiaporta ispano/uruguagio/slavo Bremec per tutto il primo tempo. Si andava al riposo sullo zero a uno e con i nuvoloni scuri che cominciavano a concretizzare la loro lunga minaccia.
Nel secondo tempo i rappresentanti d’Irpinia uscivano dagli spogliatoi con la tattica ancora in confusione ma con l’animo e i garretti meglio armati di sacro furore agonistico. Pertanto la brigata in verde, consapevole delle difficoltà di improvvisare un avanzamento avvolgente come il modulo imposto avrebbe consentito ove addestrati ad applicarlo, cominciava, non sappiamo quanto di sua autonoma iniziativa e quanto su decisione del comandante, a fare quello che meglio gli riesce, cioè lanciare palloni in avanti dalla difesa, in tal modo superando il problema del centrocampo in mano agli avversari e chiedendo alle punte Gigione e Gianmario di “sporcare” le palle alte e lunghe facendone qualcosa di buono al limite d’area vicentina. E in effetti i nostri pedatori, alleggeriti dal peso della manovra moderna, arrangiavano di riffa o di raffa tre/quattro ottime situazioni. La terza punta di ruolo, Arrighini, entrava a venti minuti dalla fine per aumentare il casino davanti alla porta di Bremec, il quale però se la cavava benone, soprattutto su un suo (di Arrighini) tiro di capoccia. A dire il vero un gol l’Avellino lo ha segnato, a nove dalla fine con Gianmario (Comi), che a porta vuota accompagnava dentro i pali un tiro/cross partito dal limite d’area. L’azione era regolare, il subentrato vicentino Lores stava nei pressi del corner a fare da “liberatutti” ma la guardalinee (donna), pur tenendo il Lores proprio davanti agli occhi belli, sventolava il fuorigioco e induceva in errore l’arbitro Manganiello di Pinerolo, che santamente annullava. Il Manganiello da Pinerolo, impettito, non snellito nel giallo fluo, sapeva che, dando conto alla sacerdotessa, avrebbe rinfocolato il proprio culto già diffuso fra i fedeli del lupo. E i fedeli del lupo, sotto la pioggia del cielo, subito iniziavano la cerimonia di beatificazione…