
Diciannovesima puntata della rubrica ad oggetto sorti pallonare di Napoli e Avellino.
Ultima di andata in serie A, prima di ritorno in serie B, nel complesso fanno rispettivamente diciannovesima e ventiduesima giornata. Turno positivo per le nostre rappresentanti, col Napoli vincente in casa della Lazio e l’Avellino pareggiante (e per un po’ vincente anch’esso) sul campo della Pro Vercelli. Entrambe trascinate dai loro “centravantimezzasquadra”, Gigione Castaldo e Gonzalo Higuain. Adesso gli azzurri risultano terzi in classifica, avendo superato proprio i laziali e avanzando a braccetto con la Sampdoria, i verdi sono sesti a pari merito con il Lanciano, fedele compagno di viaggio da più di un anno. Si aprono scenari sempre più accattivanti per le nostre regionali, e i fedeli delle due parrocchie già avvampano.
Si comincia sabato pomeriggio con i lupi irpini di cimento a Vercelli, avversaria la mitica Pro Vercelli, uno dei club più antichi d’Italia e sette volte campione, in tempi remoti ma realmente esistiti. Lo stadio della partita è il vecchio “Leonida Robbiano”, che ancora consente agli abitanti della zona di guardare la partita dalle finestre; stadio ufficialmente intitolato a Silvio Piola, grande pioniere della pedata che nella “Pro” fece la prima cinquantina di gol della sua carriera d’altri tempi. Insomma, la Pro è un museo pallonaro e per quanto i bianchi piemontesi, col leone detto “Eusebio” per simbolo in omaggio ai maestri inglesi, siano retrocessi in terza serie nel 1948 e abbiano impiegato sessantaquattro anni di storia repubblicana per tornare in B, il blasone è blasone e va sì rispettato…
Mastro Massimo allenatore, temendo gli slanci casalinghi della Pro che sul proprio campo/catino ha fatto quasi tutti i punti di classifica, schiera i suoi con modulo accorto, soprattutto adatto ad aggredire le fonti di gioco avversarie. Il primo tempo è un bel primo tempo, con l’Avellino che tiene l’attrezzo fra i piedi più di quanto solitamente fa in trasferta e in cinque occasioni va vicino al gol del vantaggio. La Pro invece non trova modo di superare la cortina di centrocampo dei verdi e solo un tiro pericoloso riesce a fare verso il portiere nero, di capoccia sottomisura con palla che supera di poco la trasversale. Si va al riposo sullo zero a zero e la Pro può riposarsi ben contenta.
Alla ripresa, come prevedibile, i padroni di casa iniziano a usare i garretti per uscire dalla soggezione ma, pur cominciando a calciare più le caviglie dei nostri che il pallone, questo è ancora in gran parte gestito dai nostri. La Pro si butta in avanti, spara pure la palla in cielo per scavalcare i mezzocampisti dell’Avellino, epperò non producendo niente di rilevante oltre al fumo. Al minuto 61, invece, il contropiede dei lupi trova compiutezza, soprattutto perché l’azione cresce fra i migliori piedi del gruppo, quelli di Eros e di Gigione, con quest’ultimo che fa il tocco di classe per trovare il piattone destro dell’ala di corsa Regoli che fa finalmente il gol. A questo punto la partita sembra prendere la direzione dell’Avellino anche nel risultato, e i trecento fanatici irpini al seguito cantano a squarciagola gli inni di gloria infischiandosene dell’umido delle risaie. L’allenatore dei bianchi, Scazzola Cristiano, mette subito dentro un attaccante, Beretta, in luogo di uno di metà campo, ma la mossa si rivela un azzardo e finisce per sbilanciare lo schieramento. I lupi quindi affondano con piacere nella difesa dei leoni, soprattutto sulle fasce dove Regoli e Visconti corrono tanto e bene. Solo che il gol della sicurezza non arriva perché quelli che si trovano scoccare il colpo hanno il piede frettoloso o, nel caso di Gianmario (Comi), una stanchezza superiore alle forze necessarie per capocciare il pallone in porta. Gianmario, che per tutta la partita si è fatto un gran mazzo, dopo il gol fallito viene sostituito da Marcellino (Trotta), la nuova promessa. Si arriva così al minuto 85 e a un corner per i leoni. Lo ruggisce qualcuno dalla destra, si crea il mischione e Di Roberto Nunzio, leone napoletano piccolo e male cavato, in qualche modo fa carambolare il pallone sulla traversa e poi alle spalle di Gomis. Il portiere nero allontana la palla quando questa è già rimbalzata dietro di lui, probabilmente oltre la linea di porta; fatto sta che arbitro e segnalinee decidono subito per il gol, uno a uno e mastro Massimo in panchina comprensibilmente sacramenta. Gli ultimi sette minuti di gioco, contando i tre di recupero, servono alla Pro per far rianimare i propri tifosi, che sull’onda emotiva del pareggio insperato fanno il baccano che si deve fare al fin di spingere i leoni al sorpasso clamoroso. Ma i lupi non cedono oltre ai felini e nondimeno all’avversità di Eupalla, nella vicenda troppo benevolo verso la parte vercellese. In parità finisce il cimento. Il punto in trasferta è pure buono, però che rabbia…
Allo stadio Olimpico di Roma Lazio e Napoli hanno giocato, domenica alla mezza, la partita per il terzo posto. Terzo posto provvisorio ovviamente, comunque tre punti importanti in palio.
Si va in campo in orario assurdo, i tifosi del Napoli non residenti nel Lazio non possono recarsi allo stadio per provvedimento del Viminale, la curva nord dello stadio (quella dove si radunano i camerati laziali) è chiusa per squalifica. Inevitabile una presenza ridotta di spettatori allo stadio, non più di ventimila e rotti, che poi di questi tempi tanto pochi non sono. Tifosi del Napoli in verità se ne vedono, sparsi un po’ in tutti i settori, mancano i blocchi ultras di entrambe le fazioni ma neanche è detto che sia un male visto che, a quanto pare, i casini succedono solo quando ci sono loro.
Rafelone, non indifferente alla sconfitta casalinga contro la Juventus, ripropone il modulo fatto di quattro difensori, due mediani di rottura, tre mezze punte e una punta, impostandolo però in maniera più difensiva che offensiva. Esordio per l’acquisto invernale Strinic, terzino sinistro croato, mentre in mediana il duo di grugno Gargano-David Lopez sembra essere diventato quello titolare. Fuori Hamsìk, che troppe opportunità ha avuto e troppe ne ha sprecate, al suo posto l’onesto incursore De Guzman. Alla Lazio manca mezza squadra, almeno cinque titolari e un paio di prime riserve, così mister Stefano Pioli mette in campo quelli che passa il convento che comunque è convento florido. Pioli, forse per speculare su Benitèz, organizza il gioco dei suoi su due registi, gli argentini duri Ledesma e Biglia, che fanno girare il pallone pur senza intendersi a meraviglia. La partita è ancora in fase di assestamento quando, al minuto 18, Mertens aggira Biglia a centrocampo e lancia in profondità Gonzalo che, dribblato il terzino, si allarga a destra e tira forte da dentro l’area sul primo palo della porta laziale. Il guardiaporta albanese di riserva della Lazio, il lungagnone Berisha, dovrebbe coprire solo quell’angolo di porta e potrebbe farlo solo col posizionamento, eppure non lo copre a dovere. Una volta in vantaggio, il Napoli decide subito di ritirarsi in coperta e di lasciare agli avversari l’onere di attaccare. Il contropiede organizzato è la tattica su cui punta Rafelone, solo che per tutto il primo tempo il Napoli non riesce a distendersi e la Lazio la chiude nella propria metà campo; Lazio che sfiora il gol almeno tre volte, di cui una è traversa di Parolo e un’altra è sbaglio grave dell’angolano Cavanda. Per il Napoli, dopo il gol solo un affondo di Strinic in percussione offensiva conclusa con tiro centrale nello stomaco di Berisha.
Il secondo tempo comincia con un cambiamento nella parte laziale, di giocatore e di tattica. Il bomber tedesco Klose entra in luogo del mediano Ledesma, e così i padroni di casa pedatano con una punta in più e un centrocampista in meno. La mossa, nelle intenzioni di mister Pioli, dovrebbe consentire ai suoi di spingere ancora di più il Napoli dentro il suo guscio a protezione del guardiaporta brasiliano. Invece finisce che, col solo Biglia a far di contrasto nel mezzo, la Lazio offre la nevralgia del gioco a David Lopez e al mota Gargano, ben supportati dalle tre mezze punte che italianamente giocano più come mezze ali che come mezze punte. Per questo motivo fondamentale, perché fondamentale nel gioco della pedata è il comando del centrocampo, nel secondo tempo è più il Napoli a sfiorare il raddoppio che la Lazio il pareggio. In particolare, la Lazio tira alcuni dardi da fuori area e reclama un rigore per doppio fallo di mano nella zona d’area napoletana, tuttavia sembrando fortuita la carambola fra Albiol e Maggio. Il Napoli, prima di dover subire l’assalto finale dei biancocelesti, sbaglia, fra gli altri, un gol facile facile con Callejon che col petto gracilino vorrebbe spingere dentro un cross ben calibrato di Hamsìk, nel frattempo subentrato a Mertens. A proposito di Hamsìk, nella mezzora che gioca il falso punk slovacco fa un paio di cose niente male e ci mette apprezzabile grinta. A proposito di Higuain, l’argentino lunatico a quattro minuti dalla fine viene sostituito da Zapata e, mentre esce, chissà perché manda ripetutamente al diavolo l’arbitro Rizzoli (quello della finale mondiale, mica un fesso), che elegantemente fa finta di non vedere e non lo caccia via lui al posto di Rafelone. Zero a uno finisce la partita.