
Il progetto innovativo “Soft” ha fatto parlare molto fin dalla sua nascita. Si tratta di un sex offenders full treatment, ovvero di un trattamento completo per gli autori di reati sessuali. Solitamente, vengono prese in considerazioni solo le vittime di tali abusi, lasciando a se stessi le persone che, invece, l’hanno compiuto. Soft vuole indagare a fondo dietro i comportamenti di queste persone, studiare le dinamiche e le conseguenze di un gesto così grave. L’obiettivo è quello di ridurre il numero degli autori di questi reati grazie all’intervento congiunto di un’equipe formata da psicologi, psichiatri e criminologi.
Tutto questo avviene durante la permanenza in carcere, ma anche dopo per fare in modo che non ricaschino in quello che hanno fatto già una volta. I carceri che utilizzano “Soft” sono sparsi per l’Italia: Rebibbia e Cassino nel Lazio, Bollate – San Vittore – Opera in Lombardia, Pesaro nelle Marche, Secondigliano e Poggioreale in Campania. Lo scopo è quello di combattere la recidiva, fare in modo che atti violenti come questi non accadano più. Il primo carcere italiano a sperimentarlo, otto anni fa, è stato quello di Bollate. Ma il carcere lombardo non potrà vedere il nono anno della sperimentazione.
Il motivo? La mancanza di fondi. Paolo Giulini, presidente del Cipm (il Centro Italiano per la Promozione della Mediazione) ha spiegato, così, la situazione: “Abbiamo chiesto a Regione, Provincia, Asl, enti privati. Ma niente: abbiamo i soldi fino a febbraio”. Si tratta davvero di un colpo negativo poiché il progetto “Soft” a Bollate aveva ottenuto davvero ottimi risultati. Su 218 colpevoli di atti sessuali solo sei, una volta scontata la loro pena, hanno commesso nuovamente tali violenze. Il progetto sui sex offenders è pronto a spostarsi a Roma. Ma le polemiche continuano e si cercano i fondi per poter dare la continuità necessaria a “Soft” anche a Milano, altrimenti il lavoro svolto fino a questo momento risulterebbe vano e la pena rimarrà fine a se stessa.