Allora, dove eravamo rimasti? Ai tentativi del Parlamento italiano e dei partiti in esso rappresentati, e soprattutto da quando Matteo Renzi è stato rieletto segretario del PD, di trovare la quadra per elaborare una nuova legge elettorale. Una legge elettorale che consentisse ai cittadini di votare con rinnovato “entusiasmo”, o almeno soltanto di votare dopo l’ultima tornata del 2013 e l’alternanza (dal 2011) di primi ministri avulsi da consultazione popolare (Mario Monti, Gianni Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni). Una legge che accontentasse i partiti più importanti.
Il capogruppo PD alla Camera, tale Rosato Ettore, insistendo nel filone “latinorum” ha proposto il “rosatellum”, che però, ad un’analisi più approfondita e dentro uno strano meccanismo di voti segreti diventati palesi (mentre trentatré trentini trotterellavano…), è risultato un vinello insipido e mediocre.
Matteo Renzi, finita la sua legislatura e considerandone impossibile ogni altra, spinge per le elezioni politiche in autunno, con ciò volendo prendersi la rivincita sulla batosta del referendum e ovviamente aspirando a sedersi di nuovo sulla poltrona di primo ministro, di cui proprio non deve riuscire a dimenticarne la grandigia. Sembra delinearsi un secondo accordo fra PD, Lega Nord e M5S, partiti che abitualmente non si rivolgono la parola, se non per scambiarsi accuse e contumelie. Elezioni ad ottobre con soglia di sbarramento al 5%, la proposta partorita dai tre partiti solitamente, vicendevolmente sputtanantisi; provocando però l’insorgenza del sempre ministro Alfano, che dichiarando la soglia troppo alta si becca la perfida frecciata di Renzi: “Ma come? Sei ministro da cinque anni e ti spaventa un 5%?”…
Silvio Berlusconi invoca il ritorno al proporzionale, così da riassumere un ruolo importante nella politicanza italiana, e per tal fine sta cercando con Matteo Renzi un nuovo inciucio, magari meno beffardo di quello cosiddetto del Nazareno.
Tutti, ma proprio tutti, sanno che la soglia del 40% imposta dalla Corte Costituzionale per garantirsi il premio di maggioranza non può essere raggiunta da nessun partito, ed è così che, abbandonata la sbornia maggioritaria, tornano in auge le coalizioni, i patteggiamenti e i compromessi sopra e sotto il banco, gli accordi tattici e le meline perditempo. I grillini capiscono che a loro converrebbe il proporzionale, sistema che davvero potrebbe sancire il (loro) trionfo elettorale. A ben pensarci, effettivamente il maggioritario può venire buono per un modello (autenticamente) bipolare, come forse non è mai stato quello italiano e men che meno adesso.
Molti commentatori ed analisti politici stanno apprezzando il garbo, la moderazione e il tatto di Paolo Gentiloni presidente del Consiglio, e perciò sostengono il prosieguo della legislatura fino alla sua naturale scadenza (febbraio 2018); chi scrive, tutto sommato conviene con tale idea.
Fatti due conti, molti partiti stanno tornando sui passi e stanno predisponendosi ad accettare il “nuovo consultellum”, ovvero le modifiche all’Italicum fatte dalla Corte Costituzionale, con premio di maggioranza alla lista che ottiene il 40% dei voti, capilista bloccati (possono presentarsi in dieci collegi ma al dunque sceglierne solo uno), soglia di sbarramento al 3%. Il segnale della pacificazione partitica può ben trovarsi nella fine delle proteste di Alfano…
Signore e signori, per il bene della Nazione si ritorna al proporzionale!
Una legge elettorale perfetta non esiste, e neanche quella tedesca, a cui per qualche settimana si è ispirata la ricerca italiana. In ogni Paese la legge elettorale nasce da condizioni storiche e politiche, nonché da tradizioni diverse e pure da diversi modi di applicare la democrazia.
In Inghilterra, vecchia patria della democrazia, un partito può governare anche senza avere la maggioranza assoluta. Nelle ultime elezioni americane la Clinton ha preso tre milioni e mezzo di voti in più rispetto a Trump, eppure grazie al sistema dei grandi elettori Trump è stato eletto presidente. In Francia Macron è diventato presidente della Repubblica grazie al deciso incremento dei voti nel ballottaggio, dopo un modesto 24% al primo turno; la sua avversaria al ballottaggio presidenziale, Marine Le Pen, alle elezioni legislative è riuscita a portare in Parlamento la miseria di cinque deputati, e adesso anche in Francia, timidamente, si comincia a parlare di una forma (francese) di proporzionale.
Nel frattempo, mentre in Europa si rinsaldava l’asse franco-tedesco e Renzi capiva che inutilmente aveva battuti i pugni sul tavolo e la capoccia sul patto di stabilità, in Italia l’unico non indagato nel “caso Consip”, l’amministratore delegato Luigi Marroni, si dimetteva…L’ex ministro e ora sottosegretario Maria Elena Boschi minacciava querele contro uno dei più seri e preparati fra i giornalisti italiani, Ferruccio De Bortoli, colpevole di interessarsi alle vicende della banca del babbo di Mariaele…I Grillini le buscavano alle elezioni amministrative e forse capivano di dover puntare solo alle politiche…La destra anti-immigrati andava bene alle elezioni amministrative parlando solo di anti-immigrazione ma tutti gli analisti si scervellavano nelle analisi…Il fallimento delle banche venete costava allo Stato almeno dieci miliardi di euro ma l’importante, si diceva, era la tutela dei risparmiatori…I sindaci delle due uniche metropoli italiche, Roma e Milano, stavano per essere rinviati a giudizio…
Il 23 giugno se n’è andato Stefano Rodotà, l’illustre giurista e teorico dei diritti, sempre in prima linea a difesa della Costituzione Repubblicana e così anche l’ultima volta, di fronte ai quattro maramaldi toscani. Il maestro dei principi di libertà e dignità umane se n’è andato con dignità e decoro, proprio come avrebbe voluto per chiunque. Molti lo hanno ringraziato quando non c’era più, pochi lo hanno seguito quando c’era. Funerali laici e niente cedimenti alla salvezza dell’anima. Vogliamo chiudere con le parole del professore.
“…In realtà esordii nell’Unione goliardica italiana, che era il movimento giovanile universitario. Lì è cominciata la mia storiella da cane sciolto. Lettore del Mondo ma insofferente alle chiusure anticomuniste di Pannunzio. Compagno di viaggio dei radicali, ma allergico all’autoritarismo di Pannnella. Poi molto vicino al PSI guidato da De Martino, ma pronto a litigare con un arrogantissimo Craxi divenuto vicesegretario. Infine nella Sinistra Indipendente, che però era irregolare di suo. Non sono mai stato intrinseco a nessun partito. L’unico mio punto fermo sono stati i diritti.”
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