

Eccoci nuovamente con un appuntamento di eccezione con le “Interviste di Nick“ dopo lungo tempo, ad accompagnare i Collectin Sparks che hanno inaugurato il mese. Si tratta nuovamente un’occasione straordinario e abbiamo la fortuna di confrontarci con un’artista e professionista che vanta una grande esperienza e abilità: stiamo parlando del chitarrista Alessandro Florio.
Dopo essersi diplomato alla “Civica Scuola di Jazz” di Milano studiando tra gli altri con Franco Cerri ed Enrico Intra, Alessandro Florio ha presto intrapreso l’attività concertistica in Italia esibendosi per un breve periodo col Guitar Ensemble di Franco Cerri e per quattro anni con l’Urban Jazz Trio, formazioni basate su repertori di brani originali.
Partecipa a vari seminari come tra cui Siena Jazz (terzo livello) nel 2007 con Tomaso Lama, Achille Succi, Mauro Negri; We Love Jazz nel 2008 con Paul Bollenback, Joey De Francesco, Jerry Weldon, George Cables, Benny Golson, Jimmy Cobb e a varie masterclass tra cui quelle di: Mike Stern, Pat Martino, Ralph Alessi, Harold Mabern, Eric Alexander, Peter Bernstein, Ali Jackson, David Liebman, Barry Harris, James Moody, Garrison Fewell, John Clayton, Vincent Herring.
Trasferitosi in Olanda nel 2008 per studiare al Prince Claus Conservatorium (prestigioso conservatorio musicale jazz con corpo docente americano) dove ha ottenuto una laurea (Bachelor) in chitarra, arrangiamento e composizione, ha poi conseguito un Master in Jazz Performance studiando tra l’Olanda e New York sotto la guida di Freddie Bryant, Mark Whitfield, Peter Bernstein, Paul Bollenback, Ed Cherry, Frank Wingold. Nel 2013 gli viene conferita durante gli studi del Master, una Borsa di Studio in Jazz Performance dal Prince Claus Conservatorium, Groningen (Paesi Bassi).
Nella sua carriera ha avuto occasione di collaborare ed esibirsi in Europa, USA e in Asia con musicisti straordinari, tra questi Alex Sipiagin, Mark Gross, David Berkman, Freddie Bryant, Gene Jackson, Don Braden, Pat Bianchi, Carmen Intorre Jr, Bruce Williams, Fabrizio Bosso, Gege’ Telesforo, Max Ionata, Daniele Scannapieco, Dario Deidda, Tullio De Piscopo, James Senese, Tony Esposito, Franco Cerri, Marco Zurzolo, Giovanni Amato, Stjepko Gut, Ernesto Aurignac 4tet e molti altri. Si è esibito, sia in qualità di leader sia di sideman in Italia e sia all’estero: USA, Olanda, Belgio, Germania, Austria, Spagna, Grecia, Lettonia, Estonia, Lituania, Romania, Svizzera, Grecia, Indonesia e Thailandia. Ha inoltre tenuto masterclass sia In Lituania che in Olanda di Chitarra e di Musica d’Insieme.
Si esibito nel corso della sua carriera in numerosi e importanti Jazz Festivals come More Than Jazz Festival, Amalfi In Jazz, Festival del Mediterraneo, Festival Latino-Americando Milano, Jazz In Campo, Atina Jazz Festival, Sapri Jazz Waves, Spring Jazz Festival, Jazz in Galdo, Siena Jazz, Salotti Musicali, Italian Festival Thailand, Oratino MAC Festival, Musiche in Cortile, Jazz & Young Festival, Festival del Mediterraneo, Settembre Isernino e molti altri.
Dal 2017 al 2019 è stato docente di chitarra jazz presso il Conservatorio Statale “Jacopo Tomadini” di Udine.
Non possiamo inoltre non menzionare di come dal 2017 sia l’unico chitarrista solista di “Un’Orchestra per Pino Daniele”, assieme ai membri stessi dello storico gruppo del chitarrista Napoletano (James Senese, Tullio De Piscopo, Tony Esposito, Ernesto Vitolo).
Alessandro Florio ha pubblicato in qualità di leader tre album: “Taneda” (2014), ispirato alla musica di Thelonious Monk e “Roots Interchange”(2015) realizzato tra l’Italia e gli USA con due tra i più importanti e quotati musicisti della scena jazzistica internazionale quali gli americani Pat Bianchi all’hammond e Carmen Intorre Jr. alla batteria, già sezione ritmica del leggendario Pat Martino Trio.
Del terzo disco ne parleremo nel prossimo appuntamento, ma per adesso diamo il via all’intervista!
Scopri link e contatti utili alla fine dell’intervista

1) Ciao Alessandro, come prima cosa vorrei chiederti qualcosa su come hai iniziato il tuo percorso da artista. Quando e come hai deciso di approcciarti per la prima volta alla musica, e come mai hai scelto proprio la chitarra?
Alessandro Florio: Tutto è iniziato un po’ per caso. Quando avevo tra i 10 e gli 11 anni trovai una vecchia chitarra classica (con solo tre corde) abbandonata in un angolo di casa e iniziai a esplorare lo strumento quasi come fosse un gioco come un altro. Nessuno è musicista in casa ma ho fatto tesoro delle poche risorse musicali che c’erano: i dischi delle mie sorelle più grandi. Tra quei dischi mi colpirono Prince, Eric Clapton, BB King… e cercavo a fatica di copiarne i soli. A 15 anni iniziai a studiare seriamente e in modo più accademico: venni ammesso alla Civica Scuola di Jazz di Milano, dove mi sono diplomato, per poi completare gli studi di Conservatorio in Olanda e a New York.
2) Quali sono i musicisti che ti hanno maggiormente ispirato e appassionato?
Alessandro Florio: La lista è davvero lunga. Il mio amore è il Jazz, senza alcun dubbio, e dovrei menzionare tutti i più grandi esponenti storici per ringraziare per quello che giorno dopo giorno continuo a imparare. Ci sono però alcuni nomi che esulano dal jazz vero e proprio e che hanno avuto un ruolo chiave nella fase embrionale della mia evoluzione di musicista: ad esempio dopo un concerto di BB King promisi a me stesso di fare di questa disciplina un mestiere e fu la musica di Pino Daniele ad accendere la mia curiosità per le armonie più jazzistiche, spalancandomi una porta che non si è più chiusa.
3) Sei ormai più che ricco di esperienze; oramai come definiresti la tua identità musicale e cosa ti rende l’artista che sei?
Alessandro Florio: Viaggiare è stato importante. Soprattutto perché spesso è quando ti allontani che scopri davvero cosa significhino le tue radici, che sono poi quelle che ti caratterizzano di più quando sei altrove. Mi sento in debito verso i grandi della musica jazz, che hanno creato tra mille difficoltà, discriminazioni (ancora attuali) e troppo spesso nell’ombra questo magnifico linguaggio. Mi sento anche in debito verso la mia terra, che mi ha donato tanta bellezza paesaggistica e culturale. Probabilmente la mia musica oggi è il tentativo di saldare questi due debiti: risultato di un viaggio che, volto verso le radici del jazz, vi ha riscoperto le proprie.
4) Se esiste, che differenza c’è tra l’Alessandro in quanto musicista e l’Alessandro in quanto uomo? Pensi che la componente artistica debba sempre andare a braccetto con quella umana o debba essere separata in certi casi?
Alessandro Florio: In linea di massima credo che vada a braccetto, anche se ci sono delle celebri eccezioni. Lo studio della musica, e più in generale di un’arte, richiede una dura disciplina, un’onestà e un’integrità tale che spesso va a rispecchiarsi anche nell’uomo. In una società dove le apparenze sembrano contare più della sostanza, ho sempre ritrovato la bussola grazie alla musica, che mi ha sempre posto davanti una scala di valori ben definita.
5) Torni in Italia da un lungo periodo all’estero. Cosa puoi dirci dei tuoi trascorsi e come mai hai deciso di tornare in patria?
Alessandro Florio: Come è ben risaputo ogni luogo ha i suoi pro e i suoi contro e non ho fatto altro che cercare di prendere il buono in tutte le situazioni in cui la vita mi ha portato: la routine milanese, le istituzioni olandesi che mi hanno dato l’opportunità di studiare con i migliori jazzisti in circolazione, poi New York, cuore del jazz, dove questa musica la impari sul campo con chi l’ha creata… e di nuovo l’incomparabile bellezza della Costiera Amalfitana. Sul piatto della bilancia ha avuto la meglio il posto da cui sono partito; nonostante i gravi problemi che siamo costretti ad affrontare quotidianamente (a maggior ragione di questi tempi) credo che valga ancora la pena vivere in Italia. Quando partii non avevo intenzione di ritornare ma, come dicevo prima, è proprio standone lontano che riesci ad avere un quadro generale più chiaro della situazione, imparando a conoscere anche i limiti degli altri luoghi.

6) Quale pensi sia stata per te la tua esperienza artistica più importante o speciale?
Alessandro Florio: Sono molte e tutte importanti, soprattutto perché frutto di un percorso di vita e artistico legato ad un determinato momento. Quelle indimenticabili sono quelle in cui ho davvero imparato tanto. Ricordo ad esempio la prima jam session importante in un celebre club di Manhattan, dove ero l’unico chitarrista ad accompagnare tutta la notte una sfilza di musicisti che fino al giorno prima ascoltavo solo sui dischi. Poi l’incisione e la lunga collaborazione con Pat Bianchi e Carmen Intorre Jr, sezione ritmica del leggendario Pat Martino. Al di fuori del mondo del jazz, sicuramente spicca la collaborazione tuttora attiva con “Un’Orchestra per Pino Daniele” a fianco dei membri stessi della sua band (James Senese, Tullio De Piscopo, Tony Esposito, Ernesto Vitolo) dove mi cimento con tutte le parti chitarristiche di Pino. Ma mi sento di citare anche l’unità di intenti del primo concerto con il mio trio/quartetto attuale che portò poi a vari tour e la relativa incisione del disco appena uscito, come anche i tour in America e in Asia oltre alle collaborazioni con i grandi maestri di questa musica.
7) Hai collaborato con innumerevoli grandi artisti, ma ce n’è qualcuno con cui vorresti poter far musica, ma non ne hai ancora avuto o non puoi più averne la possibilità?
Alessandro Florio: Sicuramente sì. Purtroppo, non è rimasto quasi più nessuno dei capiscuola del jazz: il sogno più grande sarebbe stato anche solo conoscere e vedere dal vivo (suonare sarebbe troppo!), nomi leggendari quali Charlie Parker, Thelonious Monk, Duke Ellington, Charlie Christian e via dicendo… Per il resto mi do da fare e rimango aperto alle nuove sorprese e ai nuovi incontri che ha in serbo il caso e la vita.
8) Cosa provi quando fai musica? E che cosa ti spinge ad impegnarti così tanto nel tuo mestiere?
Alessandro Florio: Parlando di sogni… qualche notte fa ho fatto un sogno stranissimo. Facevo il commesso in un negozio di giocattoli in Olanda, ero assorto nella mia routine quando all’improvviso sento della musica provenire dalla radio del negozio e ne vengo rapito totalmente in una sensazione tra gioia ed estasi che mi ha riportato a quello che provavo quando ero bambino all’ascolto di Prince, ai dischi di mia sorella… È ancora l’inspiegabile forza di quella passione che mi porta avanti inconsapevolmente, ora che sono assorto nel mestiere di musicista professionista alle prese con i tanti problemi quotidiani che questo lavoro comporta, spesso dimenticandomi di quanto ami e a abbia scelto con testarda insistenza questa vita. Se inconsciamente è quell’amore che mi spinge a impegnarmi al massimo, consciamente è invece il dovere di offrire il bello che ho appreso in questi anni a tutti quelli che vorranno accoglierlo.
9) Che consiglio daresti ai tuoi ascoltatori e che consiglio daresti invece a chi vuole entrare nel mondo della musica?
Alessandro Florio: Prima di tutto vorrei ringraziarli. Il regalo più grande è che ascoltino la mia musica. Ancora più bello sarebbe andare alle radici che hanno permesso alla mia musica di nascere e ascoltare quindi anche chi questa musica l’ha ispirata. Per chi vuole entrare nel mondo della musica l’unico consiglio che mi sento di dare è amare davvero ciò che si fa. È un mestiere splendido ma assai complicato e voglio riportare in merito le parole del grande Roy Hargrove, che ci ha lasciato poco meno di due anni fa: “If you take care of the music, the music will take care of you”.
10) Nel prossimo appuntamento parleremo approfonditamente del tuo nuovo album “Back to the Blue Coast”. Che anticipazioni puoi darci per la prossima volta e per chi non l’ha ancora ascoltato?
Alessandro Florio: È un sequel perfetto di questo primo appuntamento, dal momento che è un po’ lo specchio di quello che abbiamo detto oggi. Nel disco ci sono sia il viaggio di andata che quello di ritorno: da una parte le rocce, il mare della Costiera, i vicoli di Napoli e dall’altra Thelonious Monk, i jazz clubs e le luci di New York. I due mondi senza i quali questo disco e la mia musica non avrebbero mai avuto ragione di esistere.

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