
È iniziato ieri nell’aula magna del Liceo statale Antonio Genovesi di Napoli un ciclo di seminari dal titolo “Le mille forme del raccontare contemporaneo” di Maurizio De Giovanni. (vedi anche il sito di F2cultura) Una serie di incontri con l’autore sulla scrittura e sul bisogno di raccontare delle storie. Per l’occasione lo hanno introdotto Maria Filippone, dirigente scolastica del Liceo statale Antonio Genovesi, il prof. Arturo De Vivo, prorettore dell’Università Federico II di Napoli e il prof. Pasquale Sabbatino dell’ateneo federiciano.
L’aula è gremita di studenti già alcuni minuti prima dell’inizio. Quando lo scrittore prende la parola con due battute rompe il ghiaccio. I vecchi metodi funzionano se hanno inchiodato gli alunni a scuola per l’occasione e poi confessa, da verace sostenitore del Napoli calcio, che l’argomento di cui vorrebbe parlare o che è sulla bocca di tutti al momento è “Come fa il Napoli a giocare senza una punta centrale?” E come dargli torto? Ma l’argomento dura poco e si passa con leggerezza al cuore del seminario.
Il bisogno di raccontare una storia per lo scrittore napoletano, reduce dal successo editoriale delle saghe del Commissario Ricciardi e i Bastardi di Pizzofalcone, ha una sua alfa e un suo omega, ha un principio e ha una fine. Questo punto d’inizio e la fine, nel silenzio dell’aula magna, riempita perlopiù da liceali e da universitari, uniti e assorti nell’ascolto delle parole dello scrittore napoletano, questi punti sono la paura e il mare. La paura e il mare.
Perché la paura? Perché l’essere umano è il più debole degli animali, perché l’istinto dell’uomo non può difenderlo con artigli e zanne con i quali gli animali afferrano e addentano le prede nell’atto di procacciarsi il cibo. L’uomo da sempre deve costruirsi da sè gli strumenti che gli garantiscono la sopravvivenza. L’uomo da sempre deve pensare e immaginare cose che non ci sono nella realtà per sopravvivere.
Questo è il processo dell’invenzione che ci garantisce la vita ma è anche il processo creativo alla base della scrittura. Così come guardiamo alle stelle, pensiamo anche al modo in cui arrivarci. Gli animali non hanno paura della notte e ci passano attraverso come noi non sappiamo fare. Invece a noi la notte fa paura, come la guerra. Ha da passà a nuttata recitava Edoardo in Napoli Milionaria. E come facciamo a passare la notte? Con il racconto. Ecco perché il racconto non è solo divertimento, un modo per passare due ore. Il racconto è necessario perché è la nostra stessa salvezza e sopravvivenza.
Perchè l’immaginazione è l’essenza stessa del racconto, come l’evasione, la capacità di essere altro da sè e la capacità di inventare un mondo che non c’è. Ecco cosa fa lo scrittore. Inventa, immagina, usa la testa, non rispetta in questo delle regole prefissate, non segue una ricetta segreta.
Se la paura è il principio, il mare è il fine, invece, perchè secondo l’autore portare il mare a chi ascolta è il fine di chi racconta una storia. De Giovanni è consapevole di parlare a una platea giovane e affamata. Il raccontare deve portare il mare a chi ascolta. E poi ricorda un aneddoto riguardante l’autore uruguaiano che lo ha ispirato che è Eduardo Galeano che ha visitato anche Napoli e che De Giovanni ha conosciuto personalmente. Nel mare c’è tutta la nostra essenza, ritorni, partenze, relitti, naufragi, approdi, viaggi infiniti.
Ai giovani che lo ascoltano riconosce che hanno un destino difficile davanti a sè. I giovani si possono esprimere oggi in 140 caratteri ed è impossibile raccontare una storia in uno spazio così breve e in un tempo così ristretto. Ci vogliono i libri per portare il mare, ci vuole tempo ed immaginazione.