
Laura “Pex” Pezzoli, 36enne che vive in provincia di Brescia, ha sempre avuto la passione per gli acquerelli e per i fumetti nel sangue. Ha frequentato l’accademia delle belle arti di Torino e poi di Brescia, specializzandosi in pittura, e si è diplomata anche in restauro di tessuti “per arrotondare le povere entrate mensili, ma l’arte è la mia passione” così come afferma con serenità lei stessa.
Conosciuta per “Gli Omicidi del Mulino” , la cui pagina facebook conta più di diecimila followers, è la protagonista di questa intervista che verterà sul suo lavoro e sul mondo del fumetto.
-Come nasce l’idea degli “Omicidi del Mulino”?
“Gli Omicidi del Mulino nascono dal mio fastidio perenne per le pubblicità e dal mio personale modo di esorcizzarlo, e la prima tavola è stata fatta quasi due anni fa in occasione dell’Inktober 2015, evento artistico a cui molti partecipano e che consiste nel fare un disegno a china al giorno; il 4 ottobre la postai e alcune amiche ne furono entusiaste, incoraggiandomi a farne altre. Da allora non ho più smesso, e continua a essere un personale modo per togliermi il fastidio quando guardo una pubblicità demente.
-Nelle vignette degli “Omicidi del Mulino” si può notare un elemento macabro, per così dire, e allo stesso tempo sarcastico, fino a che punto pensi ci si possa spingere con l’uno e l’altro?
“Penso che sia doveroso non spingersi troppo oltre in modo da non urtare sensibilità o argomenti troppo delicati, perché innanzitutto il mio compito è fare ridere, non ferire o far arrabbiare. Tuttavia ho fiducia che molti miei lettori siano consapevoli proprio del fatto che scherzo, che il mio non è un attacco a nessuno, e che eventuali licenze che mi prendo scadendo un po’ nel macabro o nel triviale sono solo stupidaggini mie, per concludere una scena, per strappare un sorriso.”
-Qual è l’obiettivo che ti prefiggi di raggiungere con questo fumetto?
“Il mio obiettivo sarebbe riuscire a guadagnarmi da vivere con gli Omicidi, per dedicarci tutto il giorno e smettere di perdere tempo con altri lavori. Vediamo e incrociamo tutte le dita delle mani e dei piedi per quando finisco di preparare il primo albo cartaceo e lo porto alle fiere!”
Per quanto riguarda il panorama italiano, credi venga dato abbastanza spazio agli artisti emergenti?
“Credo sia un mondo in espansione, già molto diverso da quello che c’era 17 anni fa quando sono uscita dalle superiori io (sì, nel Giurassico, è passato del tempo, è vero… sono una vecchiaccia!). Col tempo sono apparse e si sono espanse le zone “self” nelle fiere del fumetto, si è espanso il fumetto indie e il manga creato in Italia. Le nuove generazioni abbattono con una naturalezza disarmante barriere che per noi “giovani vecchi” erano grandi fatiche. Ciò è confortante e ho molta fiducia in questo processo. Di certo però, uscendo dalla zona indie, non ci sono molte possibilità per gli artisti emergenti, nel senso che noi fumettisti soffriamo di una grande “ingenuità” quando impariamo ad amare questo mondo (di solito in giovane età): amiamo il Giappone, leggiamo i manga come una droga e in qualche modo ci illudiamo, o diamo per scontato, che un fumettista giapponese abbia le stesse possibilità di uno italiano. Non è così. In Italia bisogna essere molto più bravi, perché le possibilità sono molte di meno, le case editrice molte di meno e molto più selettive. Bisogna essere dei fenomeni per farcela in Italia! Le scuole di fumetto e le accademie creano una marea di gente brava che meriterebbe uno spazio. Però, come dicevo prima, ho grande fiducia nella trasformazione del panorama editoriale e nel cambio di mentalità dei lettori.”
-Infine un pensiero per coloro che desiderano intraprendere questo percorso, questo sogno.
“ Io penso che seguire le proprie potenzialità sia un istinto fondamentale, e va senz’altro perseguito, anche se questo non porta necessariamente soldi. Credo che tutti gli artisti abbiano almeno un parente che li trita con la storia del “devi pensare al futuro!”, ma pensare al proprio tempo e a ciò che si vuole solo in termini di soldi è limitante, triste, grigio. Quando studiavo restauro non ho potuto disegnare per anni e mi ci sono anche ammalata. Non puoi fare a meno dell’arte se è la tua droga. Io gli direi di combattere, di fare un lavoretto anche part-time che non c’entra nulla e il resto cercare di guadagnarselo con i propri talenti. E soprattutto di foderarsi le orecchie di cemento armato per non ascoltare i commenti non richiesti! Forza!”