[dropcap]L[/dropcap]e elezioni regionali in Friuli Venezia Giulia, che hanno determinato la vittoria della candidata del Centrosinistra, Debora Serracchiani, sono state giudicate in maniera differente. Dato inconfutabile però, secondo la maggioranza degli osservatori, è il crollo del M5S, rispetto alle politiche di pochi mesi, ed inoltre una tenuta dei due partiti (e coalizioni) principali. Il partito democratico, insomma, non è uscito bene dall’elezione del capo di stato ma può riprendersi; il popolo delle libertà e la coalizione di centrodestra sono in nettissima crescita; il movimento cinque stelle paga il no ad oltranza: sul governo e sul capo di stato.
Ma sono vere queste considerazioni?
La coalizione di Centrodestra è innegabilmente in crescita, senza essersi inventati nessuna soluzione o propaganda particolare. La strategia principale, se non unica, è stata quella di restare compatti sulla linea del leader e dichiarare una insolita responsabilità per il bene del paese, alternata a qualche innata reazione aggressiva.
Il Movimento Cinque Stelle ha preso la metà dei voti (il partito, non il candidato). Sono numeri, niente da dire.
C’è da dire però che prendere il voto del Friuli come sintomo, come indicatore, non può semplificare, o addirittura suggerire, un’ analisi estesa sull’ intero territorio nazionale.
In primo luogo, c’è stato un fortissimo astensionismo, in un certo senso anche inspiegabile visti i fermenti politici e la partecipazione di questi giorni, ma giustificabile dalla situazione mediatica asfittica che da due mesi attanaglia gli italiani. In secondo luogo, il partito democratico ha candidato una figura molto lontana dalla nomenclatura, spesso in contrasto con la dirigenza e le scelte di compromesso, una personalità lontana dalle troppe ambiguità di un partito eterogeneo. La neo presidente Serracchiani ha mostrato una capacità di chiarezza e decisione nella sua carriera politica, atipica per la classe dirigente della sinistra italiana degli ultimi vent’anni. Da ultimo le dichiarazioni sul “perché non hanno votato Rodotà e facciamo le larghe intese?”. Praticamente dire che il Pd ha retto in Friuli non è realistico, lo si potrà dire quando, e semmai, il Partito Democratico rivoluzionerà la propria struttura, la propria dirigenza, la propria politica interna. Infatti la Serracchiani ha preso 50mila voti in più rispetto al partito, il tutto possibile grazie alla legge elettorale.
A conti fatti, quindi, buona parte dell’elettorato di Centrosinistra, comunque colpito dalla questione Quirinale e delusa dal mancato voto a Rodotà, ha deciso di votare la coalizione di Centrosinistra principalmente, o unicamente, per la presenza della Serracchiani.
È un errore quindi considerare il risultato del Friuli come indicatore? Non è obiettivo. Le condizioni sono diverse. La situazione nazionale è incerta, le prospettive sono aleatorie. Molto verrà determinato dal nuovo governo alle porte, dal ruolo delle opposizioni (in primis il M5S) e le loro reazioni ai provvedimenti governativi, dalle mutazioni profonde che il Centrosinistra eventualmente farà (e non è detto le faccia).
Inoltre, la reazione alla catastrofe del Capo di Stato non è registrabile immediatamente, quindi il Centrosinistra ha goduto di una fiducia per inerzia che si è tradotta in un voto, magari l’ultimo, da parte di un elettorato che è ora più che mai mobile.
In tutto questo il Centrodestra assume il ruolo di unica coalizione stabile, appena un anno e mezzo dopo l’orlo del precipizio che portò al Governo Monti, questo vorrebbe poter dire: o bipolarismo tra PDL-pd (rinnovato) o PDL-M5S (che diventa il partito di riferimento di sinistra) o PDL e frammentazione a sinistra con scissione del pd e nascita di due partiti.
Francesco Marangolo