[dropcap]S[/dropcap]e dovessimo individuare un aspetto, almeno uno, positivo di un periodo di crisi economica come quello che i paesi europei stanno vivendo potremmo dire: ricchezza lessicale. Alcune parole: spread, subprime, derivati, futures, sono la dimostrazione che l’essere umano spesso analizza le cose solo quando sia strettamente necessario, magari vitale.
C’è un’altra parola che in quest’anno è stata reiteratamente, fino alla nausea, ribadita: austerità. Alcuni paesi europei, durante questi ultimi anni, hanno dovuto intraprendere politiche di austerity. Si tratta dei c.d. P.I.G.S., ovvero Portogallo, Italia, Grecia, Spagna. Pessima espressione, effettivamente, ma che bene riesce a definire una situazione drammatica dei paesi citati. Chiariamo: altri paesi si trovano in una situazione complessa, la Francia ad esempio è in periodo di stagnazione, ovvero non è in recessione ma non cresce (0,2%;0,3% crescita P.I.L.).
Politiche di austerità, dicevamo, quelle intraprese dai paesi europei, in particolare da parte delle economie che presentano un elevatissimo debito pubblico, Italia in testa. Ma perché scelte di politica economica volta al contenimento della spesa pubblica? Con tagli al welfare che in alcuni casi hanno portato a tragiche conseguenze: vedi la Grecia.
Esiste uno studio molto importante, effettuato da due professori dell’Università del Maryland e di Harvard, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, due economisti tra i più stimati del mondo. Rogoff ha lavorato presso il Fondo Monetario Internazionale nonché per la Federal Reserve ed assieme alla sua collega Reinhart ha pubblicato una ricerca “Growth in a Time of Debt”. I due economisti prendono in considerazione gli andamenti economici di 44 paesi nel corso di 200 anni, giungendo ad una conclusione che ha rappresentato la base di moltissime scelte di politica economica, in Europa come negli Stati Uniti: se il debito pubblico di una nazione raggiunge la soglia del 90% del Pil, diventa un ostacolo insuperabile alla crescita. In quel testo, quindi, vi era la “prova scientifica”, secondo gli autori, che una nazione con un debito pubblico superiore ad una soglia ben precisa (90% in rapporto al P.I.L.) non potesse in nessun modo crescere, almeno non in maniera rilevante; qualsiasi politica economica intrapresa non avrebbe potuto raggiungere l’obiettivo “crescita”. Una tesi fondata sui calcoli, prove tangibili, ed in quanto tali difficili da confutare. Quella tesi venne fissata come un punto fermo da parte di organizzazioni internazionali e governi: da Angela Merkel alla Commissione europea. Il premio Nobel Paul Krugman ci dice che
ebbe un ruolo cruciale nella svolta delle politiche economiche, con l’abbandono delle manovre anti- recessive sostituite prontamente con politiche di austerity”.
Krugman sostiene che correnti ideologiche, negli U.S.A. come in altri paesi, spingevano per interrompere le manovre anti-recessive sulla base delle tesi dei neo-keynesiani. Una ricerca fondamentale, quindi, divenuta già dogma assoluto.
Se non fosse stato per un ragazzo: Thomas Herndon, studente della University of Massachussetts di Amherst.
Alle prese con un compito che egli stesso ha definito: “molto comune: prendi una ricerca fatta da altri economisti, e prova a dimostrare che sei capace di replicarne il risultato” il giovane si è trovato a dover confutare senza volerlo, come egli stesso ha ammesso, le tesi di Rogoff e Reinhart. Esercitandosi a rifare lo stesso percorso il 28enne è stato bloccato da quello che, apparentemente, si presentava come un proprio errore “Provavo e riprovavo a fare i loro stessi calcoli, ma i risultati non erano quelli. I conti non tornavano”, ci dice Herndon, il quale, perplesso, chiese prima aiuto alla sua fidanzata, specializzata in sociologia, che gli confermò la bontà del suo procedimento, questo portava ad una sola conclusione: il calcolo di Rogoff e Reinhart era errato.
Il giovane quindi, dando prova di coraggio e modestia, ha deciso di parlare con i diretti interessati, i due professori, R&R come ironicamente da anni li chiama Krugman, i quali con altrettanta modestia (o ignari di ciò che ne sarebbe conseguito) hanno messo a disposizione l’intero materiale utilizzato nonché i procedimenti di calcolo originali posti in essere dai due autori. A questo punto Herndon ha sciolto la propria riserva: i risultati della ricerca erano sbagliati. I due illustri professori avevano, nello specifico, commesso tre errori, uno molto tecnico e comunque riferibile ad una scelta discrezionale; gli altri due invece erano tanto clamorosi quanto grossolani: nel procedimento di calcolo, utilizzando il programma Excel, i due avevano commesso un errore nell’incolonnamento dei dati, ovvero avevano clamorosamente inserito i dati nella colonna non corretta, un abbaglio al confine del surreale, tanto da far nascere l’hashtag su twitter “Excelgate”. La seconda pecca, meno sciatta ma più grave per il risultato, era quella di aver arbitrariamente omesso dalla loro ricerca i dati di alcuni paesi, precisamente Australia, Nuova Zelanda e Canada, che in determinati periodi hanno mostrato un’economia in crescita costante sebbene presentassero un debito pubblico molto elevato. Rogoff e Reinhart, preso atto del clamore conseguente alla scoperta del giovane studente, hanno ammesso le lacune e gli errori, nonostante abbiano voluto sottolineare come molte delle politiche poste in essere dai paesi in forte crisi economica, non siano state spinte e sostenute dalla loro ricerca, almeno non totalmente.
Si tratta di una storia che ha dell’incredibile, nessuno può negarlo, ma le conseguenze non si limitano a questo. Oggi, infatti, questo risultato si affianca alle numerose tesi anti austerità di illustri economisti, tra cui due premi Nobel come Stiglitz e Krugman, ed i generale la corrente dei neo-keynesiani. L’importanza di un’economia tendente al pareggio di bilancio è incontestabile, e questo passa attraverso scelte di politica economica razionale, senza una espansione incontrollata del debito pubblico. Ma è altrettanto indiscutibile come le teorie keynesiane riguardo l’utilizzo del debito pubblico e della leva fiscale per combattere periodi di vuoto deflazionistico, e per giungere ad una situazione prossima al pieno impiego, rappresentino un patrimonio teorico prezioso, che potrebbe rivelarsi fondamentale. Purtroppo per usare le parole di Stefano Rodotà, sulla scelta di introdurre il pareggio di bilancio con legge costituzionale: “In questo modo si è reso Keynes incostituzionale”.
Francesco Marangolo