[dropcap]P[/dropcap]rimo giorno: Si inizia giovedì 18 aprile, la prima chiama è fissata per le dieci ed il risultato dovrebbe aversi intorno alle 13-14. L’ordine del giorno reca: elezione del presidente della repubblica italiana. Il dodicesimo presidente, che succederà a Giorgio Napolitano.
Ci sono solo due candidati certi: Franco Marini e Stefano Rodotà. Il primo rappresenta il punto d’incontro tra Pd-Pdl-Scelta Civica, quella Costituente tanto evocata, da alcuni, fin dal giorno seguente alle elezioni. Il secondo invece è il candidato ufficiale del movimento cinque stelle, entrato in gioco dopo le rinunce di Milena Gabanelli e Gino Strada (seconda e terzo alle quirinarie) ma verrà appoggiato, come dichiarato, anche da SEL. Tutto suggerisce che Marini verrà eletto alla prima votazione perché gode sulla carta di una maggioranza larghissima, adatta a raggiungere i 2/3 necessari per eleggere il Capo di Stato nelle prime tre votazioni. Nelle ultime ore si accoda anche la lega: rimane solo una formalità, dunque, l’elezione di Marini.
Invece, colpo di scena, Marini non raggiunge i 672 voti necessari ma si ferma a 524, mentre Rodotà prende 240 voti, molti in più di quelli del M5S e SEL. Il Partito Democratico la sera prima, infatti, durante il voto interno di conferma per presentare Marini come candidato aveva mostrato una palese spaccatura, una crepa, che con le ore diventerà sempre più drammatica e profonda. Il Pdl attacca il Pd, il quale in grande confusione mostra il volto di un partito incerto, senza guida e con correnti molto simili a quelle che erano della Democrazia Cristiana. La base del pd, nel frattempo, è in fermento, tanti si schierano a favore di Rodotà. Grillo dichiara che se il Pd voterà Rodotà si potrebbero aprire le strade per una collaborazione su punti fondamentali e tali dichiarazioni agitano ancora di più gli animi, perché alla prospettiva di un Capo di Stato inconfutabilmente di sinistra si somma anche la speranza di una possibile maggioranza necessaria per la fiducia.
Il Pd, conscio di non poter raccogliere in 2/3 dei voti per nessun candidato, decide di votare scheda bianca alla seconda e terza chiama (questa la mattina del secondo giorno), in attesa di novità e soprattutto del momento in cui (quarto scrutinio) basteranno solo il cinquanta percento più uno, ovvero la maggioranza assoluta, perché il presidente venga eletto, avendo il centrosinistra, sulla carta, 495 voti, solo nove in meno di quelli necessari. Lo stesso fanno tutti gli altri partiti (tranne la lega che non partecipa al voto), ed eccetto SEL e m5s che continuano a votare Rodotà.
Cominciano a circolare i nomi di nuovi candidati che il pd potrebbe proporre, le possibilità sono tre: appoggiare Rodotà, scegliere un nuovo candidato che possa essere votato anche da gli altri partiti (come sarebbe dovuto essere Marini), scegliere un candidato proprio che serri le fila del Centrosinistra ma che potrebbe rompere eventuali ponti con altri partiti. Viene scelta la terza via, ad una riunione del pd, al termine del primo giorno di votazioni esce fuori il nome di Romano Prodi. Bersani mette ai voti: c’è l’unanimità! Ora bisogna attendere il quarto scrutinio e sperare che una decina di grandi elettori si convincano a votarlo, non sembra un’ipotesi impossibile, eppure nell’aria c’è preoccupazione perché ad ogni elezione del Presidente della Repubblica esce dal letargo una specie molto particolare: il franco tiratore.
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Secondo giorno: la quarta chiamata è fissata alle 15,30. Si comincia a votare e per il terrore di essere accusati di tradimento i partiti (e le correnti) si organizzano, utilizzano “la conta”, ovvero scrivono il nome in maniera riconoscibile: utilizzano il nome puntato ed il cognome completo, solo il cognome, nome e cognome completi. SEL dichiara che voterà dal quarto in poi Prodi, il quale dovrebbe quindi avere sulla carta 495 voti. Dovrebbe, perché raggiunge 395 voti. Mancano 100 voti. Si pensa immediatamente al tradimento di SEL, ma il segretario Gennaro Migliore smentisce: “Abbiamo scritto R. Prodi”. Mancano cento voti e SEL ne ha solo la metà; oramai è una certezza: sono tutti del Pd, uno su quattro non ha votato. Questa volta è più grave del voto per Marini, perché Prodi vuol dire tanto per il Centrosinistra italiano ed in particolare per il Pd.
Matteo Renzi, prima di chiunque altro, dichiara poche ore dopo, che la candidatura di Prodi non c’è più. Il Pd sprofonda nel caos totale. Si dimette il presidente del partito Rosy Bindi e poche ore dopo circola voce che le prossime dimissioni saranno quelle di Bersani. La voce viene confermata, il segretario dichiara la gravità del fatto e si dimette, ma le dimissioni saranno effettive solo dopo l’elezione del Capo di Stato. In seguito l’intera segreteria si dimetterà. È una situazione drammatica per il Pd che oltre a non avere una linea, e delle correnti sempre più in guerra, deve anche fare i conti con una base in crescente agitazione che spinge verso l’appoggio a Rodotà; anche se molti esponenti (ad esempio Civati, il più vicino alla candidatura di Rodotà) dichiarano che la faida tra correnti non permetterebbe nemmeno di far eleggere l’ex Garante della Privacy. Passa qualche ora e Romano Prodi ritira la propria candidatura dichiarando: “Chi mi ha portato fin qui si assuma le proprio responsabilità”.
Il problema è: ora cosa fare? Un altro candidato ci sarebbe, Anna Maria Cancellieri, attuale Ministro dell’ Interno, proposta da Mario Monti, apprezzata da Pd e Pdl; il partito di Berlusconi fa sapere che valuterà la candidatura, mentre il Partito Democratico dichiara solo che alla quinta votazione, il mattino seguente, voterà scheda bianca.
Terzo giorno: come prevedibile, la mattinata non porta novità. Rodotà viene votato da 213 grandi elettori, la maggior parte o annulla o vota scheda bianca ma ovviamente si lavora dietro le quinte. La notizia più importante che circola è che Monti, Bersani, e Berlusconi vedono Napolitano e chiedono di accettare un secondo mandato. È la notizia che irrompe su tutti i canali di informazione in quanto l’attuale presidente, per la prima volta, non esclude tale possibilità ma chiede del tempo.
“Napolitano rieletto, Governo di larghe intese e Amato a palazzo Chigi” questa è la notizia che circola. Nelle strade di Roma la folla, che dal primo giorno si era riunita fuori Montecitorio, comincia ad agitarsi appena la notizia si diffonde; sono principalmente elettori del Pd, nonché elettori Cinque Stelle che chiedono a gran voce “Ro-do-tà! Ro-do-tà!”. Ci sono manifestanti di destra, si vedono bandiere di Giovane Italia e quelle di Fratelli d’ Italia che seguono alcuni parlamentari del partito circondati da giornalisti e poliziotti che aprono una strada tra la ressa non entusiasta di quella comparsata: “fascisti venduti!” si sente chiaramente, “quanto v’hanno dato?” urlano i sostenitori di Rodotà, mimando il gesto dei soldi.
Alla fine Napolitano accetta un secondo mandato ma solo a determinate condizioni che spiegherà in seguito al momento del giuramento – oggi pomeriggio. Dovrà prima dimettersi da Capo di Stato per poi accettare il nuovo mandato, e potrà solo in seguito parlare all’ Italia come nuovo Presidente della Repubblica. Si va in parlamento per la sesta votazione, ma questa volta il clima è più disteso. All’interno del palazzo, invece all’esterno l’aria diventa più greve, i manifestanti aumentano, Grillo riceve la notizia e prepara il post da far uscire sul blog.
Sono 738 voti, superata la soglia dei 504, Napolitano è il primo Capo di Stato della storia ad essere rieletto per una seconda volta. Un undicesimo presidente bis più che un dodicesimo. Il parlamento applaude sia Napolitano che Rodotà che prende comunque 213 voti.
Le reazioni sono diametralmente opposte: le gerarchie dei partiti mostrano il loro ottimismo ai microfoni dei giornalisti ma fuori la folla continua ad acclamare la voce di Rodotà e protesta contro questo accordo per la rielezione di Napolitano. Grillo pubblica il suo post: “E’ un colpo di stato, con formalismi istituzionali” dice (poi si tranquillizzerà) e chiede agli italiani di andare a Roma in milioni perchè lui arriverà in serata dal Friuli Venezia Giulia. Alla fine i capigruppo del Movimento Cinque Stelle scenderanno a piazza Montecitorio per chiedere alla folla di mantenere questo comportamento disciplinato, lo stesso Grillo chiede di non ricorrere assolutamente a nessun comportamento aggressivo e di isolare i violenti. Dopo qualche ora il leader dei Cinque Stelle dichiara, sempre via blog, che arriverà in nottata e che il giorno seguente terrà una conferenza stampa con parlamentari e simpatizzanti. E così Il giorno dopo Grillo arriva a Roma, tiene una piccola conferenza stampa, risponde ai giornalisti, si mostra tranquillo, modifica il tiro “è stato un golpetto (…) andremo all’opposizione (…) prendono tempo, vogliono risolvere i loro problemi MPS e processi di B.”. L’ atmosfera è più distesa, Grillo capisce che il consenso per il movimento può solo crescere e quindi decide di intraprendere un’altra strada: quella ragionata.
Oggi pomeriggio Napolitano parlerà all’Italia per spiegare motivi e condizioni della sua scelta. E’ il primo presidente a ricevere un secondo mandato e si tratta di uno dei momenti più importanti e delicati della storia d’Italia.
Francesco Marangolo