
Forse per recuperare un po’ di credibilità, forse per distrarre un po’ l’attenzione da fatti (e promesse) più spinosi, forse per buscarsi un po’ d’applausi facili, forse perché quel giorno non aveva ancora lanciato il solito petulante comunicato via twitter, Matteo Renzi capo del governo nel pomeriggio del primo ottobre scriveva sul più individualista dei social: “Gli straordinari delle forze dell’ordine impegnate negli stadi devono essere pagati dalle società di calcio, non dai cittadini”. “Giustissimo! – Bravo! – Era ora!” le recensioni più numerose e sbrigative regalate dai followers. Una volta tanto Matteo coglieva nel segno, non nel mucchio, e si prendeva l’approvazione degli internauti twittanti sincopatici commenti. Ora, la questione è datata, vecchia quanto è vecchio il fenomeno degli “ultras alla guerra” in trincea dentro gli stadi italiani. Ultras in vena di casini (però non tutti gli ultras hanno questa vena) che, da trent’anni ormai, costringono le forze dell’ordine a lavorare in gran numero negli stadi e nello loro adiacenze, nelle scorte ai pascoli di loro medesimi (gli ultras) organizzati e nella caccia ai cani sciolti. Costi elevati e distrazione di uomini e mezzi dalla già difficoltosa attività di pubblica sicurezza, questi i principali argomenti a sostegno della privatizzazione degli straordinari causa pallone a diritto di carabinieri, poliziotti, guardie di finanza e simili avversari dei curvaioli più intrattabili e truculenti. Il provvedimento, probabilmente, potrà piacere anche a loro, agli ultras, che, in astio storico contro i “celerini” e spesso pure in astio più recente contro le società di calcio, potranno approfittare della nuova norma per tirare alle lunghe le urbane battaglie contro i giurati nemici e così costringere i loro presidenti a pagare allo Stato le servitù fuori orario. Insomma, altra buona possibilità di ricatto per i vari “gastone”, “carogna” e altri “drughi” stagionati, di formazione criminogena e di professione speculatori di curva nonché, i più qualificati, pure intruppatori di fascisticherie in cervelli vergini.
Per la cronaca politica, l’idea della direttiva twittata da Matteo è stata rivendicata dal movimento grillista, mentre l’emendamento approvato in Commissione Affari Costituzionali porta la firma del deputato “dem” Emanuele Fiano. Fiano, in origine, ha proposto un contributo sugli incassi da stadio fra l’uno e il tre per cento, i grillisti invece volevano andare a toccare soldi più pesanti chiedendo la stessa percentuale sui ben più pingui incassi da diritti televisivi. Visti gli ormai marginali guadagni da biglietti e abbonamenti per i club professionistici, l’emendamento Fiano poteva far ricavare non più di quattro/cinque milioni di euro, mentre la proposta Tancredi Turco (veneto parlamentare grillista) poteva portare nelle casse dello Stato almeno venticinque milioni secondo un primo calcolo. Come straprevedibile, le reazioni dal mondo – fuori dal mondo – della pedata non hanno tardato a manifestarsi, quasi tutte lamentose e grottesche (minacce di serrata con portavoce il padrone della serie C Mario Macalli, recentemente rinviato a giudizio per abusetto d’ufficio pallonar/patrimoniale), qualcuna perfino ragionevole (il pover’uomo Tavecchio, che sul punto male non se l’è cavata). Fatto sta che nelle ore immediatamente successive al Matteo annuncio generatore di “ammuina” (e magari lanciato al popolo proprio per crearla volutamente, l’ammuina), devono essere partiti contatti e trattative ai massimi livelli fra politica e pallone; infatti, in un primo momento (di generale entusiasmo?) diversi deputati piddini si sono dichiarati favorevoli alla versione grillista della misura mentre, il giorno dopo in aula parlamentare, per il dibattito era pronto un nuovo emendamento (sempre onorevole Fiano primo firmatario) di sintesi fra la prima proposta Fiano e quella rilanciante di Tancredi Turco. E ancora, nel corso del dibattito contingenze non sempre chiare, fra cui la (chiara) necessità governativa di mettere la fiducia al cosiddetto “decreto stadi” contenente la misura al fine di convertirlo in legge entro la decadenza fissata al 21 ottobre, hanno portato all’ulteriore ribasso e alla presentazione (e il giorno dopo all’approvazione) di una proposta che, basandosi sui soldi incassati dai club con la vendita dei biglietti nei campionati nazionali e nelle coppe europee, potrebbe portare a recuperare dai due e mezzo ai sette e mezzo milioni di euro, a seconda dell’andamento delle vendite. Tutto qua. Le holding del pallone se la sono cavata, l’annuncio governativo della norma ha creato consenso, la norma è niente rispetto all’annuncio ma Matteo spaccerà la cosa come una vittoria…E gli straordinari continuerà a pagarli lo Stato, cioè noi.