
È la notte del 26 aprile 1986, nella centrale atomica di Chernobyl, in Ucraina, esplode un reattore: inizia il più grande disastro nucleare della Storia civile. Dopo poco le prime navi imbottite di frumento radioattivo giunsero in un baleno nel belpaese spacciandolo per grano della Grecia, a fronte di controlli scarsi o inesistenti. Imprenditori senza scrupoli lo hanno utilizzato e pastifici di fama nazionale lo hanno utilizzato. Ma nessuno ancora oggi sa quel grano in quale confezione di pasta è andato a finire, sicuramente nel piatto di buona parte degli italiani, visto che gli imprenditori coinvolti erano considerati i “re del grano”.
Peccato che all’epoca non ci fosse una trasmissione stile REPORT, che del giornalismo investigativo ha fatto il suo credo, senza guardare in faccia a nessuno, facendo nomi e pure cognomi.
Ed oggi proprio grazie a REPORT che conosciamo i nomi delle Aziende che producono formaggi italiani, ma utilizzano latte straniero, una specie di “ius soli” dei formaggi.
Nel servizio “Latte versato” la testata di mamma Rai ha messo sotto la sua lente di ingrandimento Aziende che producono mozzarella, mozzarella di bufala, grattugiati, formaggi a pasta morbida e altri tipi di formaggi. Alimenti che, se non si è intolleranti oppure a dieta, sono quotidianamente presenti sulla tavola di tutti gli italiani.
Come scrivono varie testate giornalistiche tra cui Dissapore, Fanpage etc tra le aziende implicate troviamo GALBANI che acquisterebbe latte da Lituania, Spagna e Francia, GIGLIO del gruppo Newlat, con latte proveniente dall’Ungheria, PREALPI dalla Germania, Finlandia e Danimarca, GRANAROLO da Francia, Slovacchia, Slovenia e Ungheria, POLENGHI – gruppo Newlat, con latte proveniente dall’Ungheria, PARMALAT da Slovenia, Belgio, Croazia, Ungheria, Repubblica Slovacca e Polonia (provenienza in questo caso indicata in etichetta), GRANA PADANO da Germania, Polonia, Ungheria e PARMIGIANO REGGIANO da Lituania e Lettonia, CUOMO e FRANCIA MOZZARELLE, con latte proveniente dalla Germania.
La problematica non risiede nel motto “Italia first”, ma nel fatto che la legislazione di altri Paesi in materia di agenti patogeni non è cosi attenta come quella italiana, mettendo a rischio la salute pubblica.
Ora non c’è niente di male ad utilizzare latte ungherese, ma per coerenza – oltre che per trasparenza – tu Azienda DEVI SCRIVERE che utilizzi latte ungherese, poi si lascia al libero arbitrio del consumatore (oltre che al potere della pubblicità) decidere se bere latte ungherese oppure sardo, e così risolveremmo anche il problema dei pastori sardi che sono e resteranno alla fame se costretti a vendere il latte a 70/74 centesimi , quando all’estero costa ancora meno.