
Angelo Duro, un nome una peculiarità. Un ragazzo dalla faccia pulita, angelica che però appare duro come il peggiore dei putti che il paradiso potesse ospitare. Oggi che, lavorativamente parlando, fa coppia con il regista Gennaro Nunziante, il risultato non può non essere politicamente e “scorrettamente” divertente.
Io sono la fine del mondo è un revenge-rape movie, emotivamente crudo, racconta la storia di Angelo, che per vivere accompagna persone ubriache cacciate dai locali della capitale.
Tema che parrebbe aver ispirato il vicepresidente del Municipio IX Eur Augusto Gregori, che in via sperimentale avvierà un progetto, “Divertimento sicuro e sostenibile”, in cui mette a disposizione una navetta che riporta a casa i fruitori della movida romana.
In sintesi la trama vede protagonista che si troverà a dover tornare a Palermo per occuparsi dei suoi genitori, ormai anziani e con qualche acciacco. Quello a cui lo spettatore assisterà è la lenta e quasi incredibile trasformazione di Angelo da figlio accogliente e misericordioso a vendicativo.
Il protagonista baserà la sua forzata convivenza col padre (Giorgio Colangeli) e con la madre (Matilde Piana) sulla vendetta per la severa educazione impartitagli quando era un bambino.
Non manca la parentesi romantica con la presunta nascita di un amore con il medico Marta (Marilù Pipitone la reale fidanzata).

Ci si chiede: quale palese metafora ci si aspetta? Tra l’altro, se ci si soffermasse a pensare, invece che a criticare a prescindere, la metafora la si trova. Quali pretese il pubblico radical chic si sarebbe aspettato?La genialità del regista e dell’attore, fondendosi, hanno finalmente regalato al pubblico stanco, stressato e vittima del “logorio della vita moderna” 96 minuti di leggerezza. Quell’innocente crudeltà cinematografica che la si trova solo nei vecchi film in cui il politically correct ancora non aveva invaso la debole morale di quegli ipocriti che gettano fango su ciò che fa realmente ridere.
“Io sono la fine del mondo” può apparire cinematograficamente monocorde e a tratti approssimativo, ma centra il suo obbiettivo: fa ridere. Oggi salvo le pellicole di Pio e Amedeo e Checco Zalone, firmati da Gennaro Nunziante, rarissimi sono i film che fanno sì che il pubblico veramente rida.
Il cinema è ormai incatramato in una comicità buonista che annoia come “La corazzata Potëmkin” per il Ragionier Fantozzi e risulta pesante come una de “Le fatiche di Ercole” di Pietro Francisi. Riportando una citazione: “fa ridere il diavolo e non San Francesco.”