
Alfine la montagna partorì il topolino. Ma forse scambiando il topolino per una topolona, il simpatico capo del governo che già scambiava poeti anonimi per grandi poeti durante visite ufficiali, proclamò che alfine aveva vinto l’amore. In realtà l’amore, in tutta quella faccenda, aveva sì vinto ma senza l’aiuto del capo del governo e di nessuno, aveva vinto così, come di solito vince l’amore quando vince, anarchico e indifferente al contesto. In tutta quella faccenda della montagna tuttalpiù aveva vinto “Alfine”, cioè Alfano, che di nome faceva Angelino e che nel governo faceva il ministro dell’ordine e pubblica sicurezza.
Ebbene Angelino Alfano, alfine, con i suoi ventisette senatori era riuscito a imporre la sua volontà a tutto il senato e a tutto il Paese. I ventisette senatori dell’Angelino, tutti insieme, si facevano chiamare “area popolare”, sebbene tutti insieme non avessero preso più di ventiquattro voti alle elezioni (tre infatti non si erano votati perché non sapevano di essere candidati). E comunque i ventisette senatori, eletti grazie a un magico meccanismo elettorale, pur di non darla vinta a chi voleva fare quella legge sulle unioni civili troppo uguale al vero matrimonio, si erano fatti dettare le modifiche da un importante cardinale il quale aveva preteso, nel tipico stile cardinalizio apostolico-cattolico-romano nei confronti dello Stato italiano, che quelle unioni civili non solo non prevedessero figli ma nemmeno alcun obbligo di fedeltà per i contraenti. I ventisette moderati senatori furono entusiasti della moderata richiesta cardinalizia, nonché di poter dare l’ennesima prova (che ormai più non si contavano) di serena sottomissione alla volontà di un Paese straniero. Il cardinale e i ventisette senatori non avevano pensato che l’obbligo di fedeltà sancito dal codice civile di quel Paese tanto timorato di dio era sicuramente necessario per tenere insieme gli sposati dopo il secondo giorno di matrimonio, ma non aveva alcuna importanza per quelle coppie di uomini e di donne che erano molto più unite delle coppie sposate, e che molto più unite sarebbero rimaste, con o senza fedeltà imposta per legge.
Oltre ai ventisette senatori di area popolare senza popolo, altri diciannove senatori avevano alfine deciso di appoggiare il capo del governo nella sua richiesta di fiducia, per quanto questi senatori appartenessero a un parte politica astrattamente avversa a quella del capo del governo. Questi senatori schieravano come capogruppo un corregionale del capo del governo, tale Verdini Denis, per i soliti maldicenti un capobanda più che un capogruppo, di professione dottore commercialista e poi banchiere, cantante per diletto quando si trattava di spiegare ai colleghi rappresentanti del popolo meno esperti i meccanismi di formazione di maggioranze parlamentari volatili. Ma il Verdini era soprattutto un indagato, un vero professionista nel ruolo, indagato per tutto, dalla corruzione all’abuso d’ufficio, dalla truffa alla bancarotta, dall’associazione segreta a quella per delinquere. Un tipo di cui fidarsi insomma, e infatti il capo del governo aveva cominciato a fidarsene da quando il Verdini aveva abbandonato il suo vecchio partito perché il capo un po’ in disgrazia di quel partito non lo faceva più entrare nel suo cerchio ristretto e perché lui, il Verdini, aveva già da tempo capito che il futuro sarebbe stato tutto del giovane avversario del capo, che in fin dei conti tanto somigliava al vecchio capo un po’ in disgrazia quando questi ancora era giovane, forte e senza cerone. I senatori del Verdini, che tutti insieme si facevano misteriosamente chiamare “Ala” (l’ala impazzita della massoneria, dicevano i sarcastici), avevano colto l’occasione della votazione sulle unioni civili per dimostrare una volta per tutte al capo del governo come loro ormai fossero con lui, dalla sua parte, pronti per entrare nel partito di maggioranza e magari cambiargli pure il nome. Il nuovo nome era già stato pensato dal capo del governo (e del partito), che per cambiarlo ufficialmente aspettava solo che dal partito uscissero gli ultimi due iscritti che ancora si dichiaravano vagamente di sinistra, tali Pierluigi Bersani di professione metaforista e Renzo Ulivieri di professione allenatore di pallone. D’altronde al giovane capo del governo non bastava più essere capo del governo, aspirava a diventare capo del Parlamento, non nel senso di presidente ma proprio nel senso di capo, capo del governo e di tutti i gruppi parlamentari nel frattempo confluiti nel suo nuovo partito. E infatti, per agevolarsi il compito, il giovane capo del governo aveva già pensato bene di abolire un pezzo del Parlamento…
Sulla legge per le unioni civili il capo del governo, non potendo più tirarla al 2030 e non potendo più contar frottole al piccolo Ernesto figlio di Letizia e di Teresa, aveva ben capito che proprio a causa dell’Ernesto se la sarebbe vista politicamente brutta. Allora aveva fatto mettere nel disegno di legge la “stepchild adoption”, una cosa intraducibile che nessun parlamentare sapeva pronunciare e che voleva significare “adozione del figliastro” (del configlio, dicevano gli uomini di legge), così, giusto per vedere l’effetto che faceva. E l’effetto era stato notevolmente casinaro, di un casino piuttosto preoccupante per giunta: levate di scudi di nuovi crociati, inneggi continui e tromboneschi ad un metafisico “diritto naturale”, manifestazioni di piazza di famiglie tollerantissime “purché non siano riconosciute famiglie anche quelle”; e ancora: esponenti del medesimo partito di maggioranza che si mandavano cordialmente al paese nei talk tv della mattina e letteralmente a cagare in quelli della sera, insegnanti di scuola materna iscritte in massa a corsi di aggiornamento sulla “psicologia del bambino con due mammi”, uomini di chiesa confusi che temevano di dover riconoscere i figli segreti, donne di chiesa confuse che temevano di ritrovarsi con due mariti, raccolte di firme per sottoporre la legge a referendum, referendum indetti senza firme sui siti della destra e sulla pagina facebook di Matteo Salvini, normanni che ostinatamente continuavano a bere calvados…E poi minacce diffuse di non votare a favore del referendum autunnale sulle riforme costituzionali e di non votare proprio più per il capo del governo, ove mai si fossero indette nel Paese altre elezioni per il rinnovo del Parlamento. Ecco, il capo del governo era scosso soprattutto da quest’ultima eventualità, ché ne andava del suo onore. Perciò si mise a pensare ad un modo per eliminare dal disegno di legge quelle novità troppo innovative che in fin dei conti lui stesso non voleva, che tanti nel suo partito non volevano, e che pochi altri del suo partito volevano ma non volevano perché i tempi non erano maturi. Dopo una notte trascorsa coi suoi collaboratori più fidati a ragionare giocando ai videogiochi, il giovane capo del governo il modo lo trovò nel cosiddetto “canguro”, una prassi parlamentare che consentiva di ignorare gli emendamenti cretini e di andare avanti a grandi salti nell’approvazione di una legge. Il fatto bello, l’ideona, stava che quella prassi era sdegnosamente rifiutata dagli unici o quasi che nel Parlamento volevano la legge sulle unioni civili così com’era stata disegnata, compresa la stepciaild o come cavolo si diceva.
Fu così che in senato i grilli, immobili come al solito nel loro canto, decisero di non partecipare al canguro, e astenendosi fecero il gioco delle volpi che non volevano la legge così com’era. E le volpi, diventando i loro voti decisivi, poterono prendere possesso del pollaio.
Al momento dell’approvazione della legge, che era un’altra legge rispetto a quella originaria, la prima firmataria, tale Monica Cirinnà che per due mesi aveva urlato in aula “Angelino non avrai il mio stralcio!”, diceva di avere un buco nel cuore. Eppure la senatrice Cirinnà, mentre si allontanava verso i castelli romani accompagnata dai suoi assistenti cane pazzo e gatto biforcuto, sembrava contenta, col capo del governo che stava facendo passare il fatto come una vittoria.
Angelino poté tornare soddisfatto al suo lavoro di ministro dell’ordine e sicurezza pubblica, giusto in tempo per scontarsi con la giustizia che lo accusava di rimozione forzosa di un prefetto.
Il Verdini poté tornare soddisfatto nella sua Ala giusto in tempo per accogliere l’ultimo “fratello”.
Il cardinale poté tornare soddisfatto nel suo Stato giusto in tempo per brindare coi suoi pari.
Fuori dal “palazzo” gruppi di cittadini innamorati protestarono contro il palazzo, ma presto anche loro sembrarono acquietarsi. Alfine si dissero, baciandosi appassionatamente, che era meglio quel poco che niente.