[dropcap]E[/dropcap] pensare che la discussione sulla mancanza di lavoro in Italia ha sempre riguardato solo ed unicamente l’art. 18. Non c’è lavoro? “È colpa dell’articolo 18, perché le imprese non assumono terrorizzate dal non poter licenziare”, “la flessibilità in uscita agevola la flessibilità in entrata”. Sono solo alcune delle più comuni esclamazioni che si sentono nel momento in cui si affrontano gli argomenti lavoro e disoccupazione.
Gli ultimi dati ci dicono che nel 2012 si sono persi un milione di posti di lavoro, più di trecento mila solo nell’ultimo trimestre. Sono cifre spaventose. Cifre che, se associate al tasso di disoccupazione giovanile, diventano impietose e ci mostrano un Paese che, oltre ad una forte recessione, vive anche un momento di terrore diffuso, il terrore di non produrre più occupazione.
I dati sono inconfutabili: risultano 640 mila rapporti lavorativi interrotti nei primi nove mesi del 2012. Il 5% di precari è stato stabilizzato, un numero non elevatissimo se pensiamo che la riforma Fornero doveva essere la soluzione allo stallo del mercato del lavoro. Il 27 % ha perso il lavoro ed il 22% dei lavoratori si è visto costretto ad accettare un contratto con meno tutele. Non va meglio sulla sponda processuale dove si sono avute delle conseguenze molto negative, dovute al fatto che la nuova norma non è di così facile interpretazione ed ha provocato numerose nuove cause di lavoro, che non facilitano di certo la già non fluida situazione della giustizia italiana.
La situazione economico-sociale mondiale, e nello specifico europea, non facilita il compito, questo bisogna ammetterlo. E bisogna ammettere anche che in Italia si incontrano difficoltà enormi ogniqualvolta si tenta di affrontare il discorso “cambiamento”. Ma tra le cose che c’erano da fare (legge anti corruzione, liquidazione debiti della P.A., investimenti in tecnologia) una domanda possiamo porcela: Riformare, anche abbastanza male, lo statuto dei lavoratori, ed in particolare l’art. 18, era davvero necessario? Probabilmente no. Se poi si pensa che i due principali partiti che appoggiavano il Governo hanno posizioni molto distanti sulla questione, allora è ovvio che la “nuova” disposizione non sarebbe mai potuta essere qualcosa di realmente innovativo, ma un qualcosa di amorfo che non accontenta nessuno bensì crea ulteriori problemi e contrasti. La riforma del lavoro è necessaria, il Paese in generale è da riformare in moltissimi ambiti. Ma un’ economia in stato vegetativo non potrà mai essere smossa da una riforma dello statuto del lavoratore, men che meno da una riforma pessima.
Francesco Marangolo