sabato 3 Giugno 2023
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Catalogna vs Spagna: una storia di antica (e moderna) belligeranza

Perché la Catalogna (o Catalunya, come scrivono gli italo/catalani dell’ultima ora) vuol separarsi dalla Spagna?…Perché nell’Unione Europea vanno forte le rivendicazioni delle “piccole patrie”?…
Alla seconda domanda non è difficile dare risposta, visto come l’Unione Europea, finora, non ha prodotto i buoni risultati sperati, venendo percepita sempre di più come una macchina burocratica fatta di rigorismo economico determinante guai anziché risolvente, come nel tracollo della Grecia, fallita magari per colpe proprie ma poi costretta a vendere finanche i suoi porti per rispettare i ferrei vincoli di bilancio imposti dall’Unione.
L’Italia, pur di fare bella figura al cospetto dei burocrati banchieri, ha addirittura inserito il pareggio di bilancio nella sua Costituzione!…

Una risposta alla prima domanda comporta, invece, almeno un po’ di approfondimento storico/politico. Con tutte le cautele del caso, ci proviamo.
Il governo spagnolo per decenni ha combattuto contro l’Eta, l’organizzazione politico-militare dei Paesi Baschi che voleva l’indipendenza (le cifre ufficiali raccontano di circa mille morti, fra militari e civili). I baschi parlano una lingua propria, che poco ha da spartire con le lingue romanze, e arroccati sulle loro montagne hanno resistito a diverse invasioni, sempre sostenitori della propria autonomia. La guerriglia del separatismo basco contro il governo centrale è cessata, grazie alle concessioni di autonomia amministrativa ma anche e soprattutto perché il governo spagnolo ha militarmente disarmato l’Eta.
Pur vero che quando l’Eta metteva frequentemente le bombe, non era la sola organizzazione terroristica attiva in Europa: in Italia le BR, in Germania Ovest la RAF, in Nord Irlanda l’IRA.

Anche la Catalogna ha lo statuto di regione autonoma, con un proprio Parlamento (la cosiddetta “Generalitat”) e una propria polizia (“Mossos d’Esquadra”); il catalano è una lingua neo-latina che non differisce molto dallo spagnolo. Ma bisogna ancora andare indietro nella storia per trovare una risposta alla nostra domanda.
Nel Medioevo la Catalogna era parte del Regno di Aragona, e ne era il fulcro principale. Le navi catalane approdavano spesso in Sardegna, lasciandovi concreti retaggi culturali: ad Alghero, oggi, si parla pure il catalano, con tanto di riconoscimento ufficiale della Repubblica Italiana.
La Catalogna, detto chiaramente, non ha mai sopportato Madrid, già ai tempi della guerra dei trent’anni che i catalani combatterono al fianco della Francia. Pure nel corso della guerra di successione spagnola, la Catalogna ripudiò la Spagna e si schierò con Carlo III d’Asburgo, e Barcellona subì un assedio di tre anni dalle truppe franco-spagnole, fino all’espugnazione avvenuta l’undici settembre del 1714; oggi la festa nazionale di Catalogna cade proprio l’undici di settembre, proprio in memoria di quella sconfitta (quando si dice l’orgoglio di un popolo). A conferma di quella sconfitta, i catalani si videro sopprimere da Filippo V diverse prerogative, fra cui la Generalitat.
Durante l’occupazione francese della Spagna (1802-1813), la Catalogna, mantenendo sempre in odio il centralismo madrileno, fu l’unica regione spagnola ad appoggiare i francesi.
La stessa regione francese del Rossiglione era parte del principato di Catalogna, ceduta alla Francia con il trattato dei Pirenei del 1659; in Rossiglione si parla ancora il catalano.
Nel diciannovesimo secolo il contributo della Catalogna alla ripresa dell’economia spagnola è stato però determinante. Barcellona, con il suo grande porto, era pure terreno fertile per le idee di sinistra radicale, e infatti l’anarcosindacalismo ha tentato diverse sommosse, tutte represse dallo Stato centrale. Ovvio che la Catalogna svolgesse un ruolo determinante nella costituzione della “Seconda Repubblica” (1931) e che facesse rinascere le sue antiche istituzioni rappresentative. Quando nel 1936 l’esercito del generale Francisco Franco mosse contro il legittimo governo, Barcellona assunse posizione decisamente contraria e altresì di sinistra, appoggiando senza remore il governo repubblicano. Tuttavia, come avveniva e ancora avviene nella sinistra, correnti e divisioni interne ruppero l’unità del movimento. I sindacalisti anarchici di Barcellona furono sopraffatti dai comunisti del governo centrale di Madrid, tale scontro non facendo altro che favorire la vittoria di Franco nella guerra civile.
La regione castigliana, senza differenze di colore politico, non tollera il separatismo catalano ma i catalani, dal canto loro, sono irriducibili. Sotto Franco la Catalogna era tenuta a bada con la forza e rigidamente controllata, anche proibendo la lingua catalana, ufficialmente ripristinata solo con la fine del franchismo e la nascita della monarchia parlamentare (1978).
L’inno spagnolo, la militare “marcha real”, non prevede parole, anche perché sarebbe stato ben difficile far cantare in gloria il nome “Spagna” ai navarri e ai baschi, nemmeno per idea ai catalani…

Oggi Barcellona è meta turistica e lavorativa per giovani di tutta Europa; il suo porto, al pari di quello di Marsiglia, è il più importante del Meditteraneo. La regione catalana, con le sue molteplici attività economiche (molto antiche le imprese manifatturiere), contribuisce al prodotto interno spagnolo più o meno per il 15%.
Alla secolare richiesta di indipendenza si è aggiunto il “nuovo” principio di autodeterminazione dei popoli (quello di cui blateravano i leghisti lombardi), di cui ad esempio ha beneficiato il Kosovo, che però era sostenuto dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti.
L’Europa invece si sta mostrando molto fredda nei confronti dell’indipendentismo catalano, condannando molto formalmente il governo spagnolo che ha fatto arrestare alcuni membri del Parlamento di Barcellona (ingabbiati ma subito rilasciati) e ordinato la chiusura di scuole e seggi elettorali. Come e comunque prevedibile, la mano dura del primo ministro Mariano Rajoy contro il nazionalismo catalano non sta facendo altro che indispettire (e innervosire) tutti i catalani, anche quelli che non avevano intenzione di votare al referendum del primo di ottobre. Domenica si capirà quanti di più Mariano ne avrà portati alle urne per votare contro di lui.

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