Terminate le passeggiate e le nuotate estive c’è il rischio di ritornare sedentari, sprofondati in poltrona o peggio ancora spiaggiati (per restare in tema) sul divano.
Malissimo !
Camminare, mantiene attivo e allenato il nostro fisico e fa produrre endorfine, con una ricaduta positiva per tutto l’organismo e per il benessere generale.
Inoltre il ritmo dei passi pare favorisca il pensiero, rendendolo più fluido e armonico, ovviamente per chi un pensiero già ce l’ha di suo, altrimenti hai voglia a camminare…
Uno studio realizzato a Standford ha evidenziato che camminare aumenta l’ispirazione creativa del 60% e che bastano 30 minuti di camminata per provocare un aumento di disponibilità verso gli altri migliorare l’attenzione, l’umore e la fiducia in se stessi.
Questo perché il nostro organismo è programmato per muoversi: quando non lo fa, cade in uno stato di prostrazione psicologica, comprovato anche da effetti fisiologici e patologici con un aumento del rischio di depressione del 25 per cento.
Se passeggiare fa bene, la camminata veloce fa ancora meglio.
La camminata veloce infatti parrebbe regalare fino a 16 anni di vita, secondo uno studio della Diabetes Research Center dell’Università di Leicester (Inghilterra), che ha studiato il ritmo del cammino di un soggetto in relazione alla lunghezza dei suoi telomeri, piccole porzioni di DNA che “proteggono” la vita delle cellule, e che sono indicatori dell’invecchiamento: la scienza, infatti, ha dimostrato che una persona con telomeri lunghi ha un età biologica più giovane, indipendentemente dall’ età anagrafica e quando i telomeri scompaiono, il processo di frammentazione cellulare si interrompe, le cellule muoiono e il tessuto invecchia.
Per i ricercatori inglesi quindi nelle persone dalla camminata veloce i telomeri sono più lunghi di quelli che, semplicemente, passeggiano e quindi sono biologicamente più giovani.
Ad aver fatto prima questa scoperta, chissà se il grande Edoardo avrebbe riscritto la celeberrima battuta in: “Sei vecchia, ti si sono accorciati i telomeri, Cuncè…”