Negli ultimi anni, dal referendum del 2016 ad oggi, la prima parola alla quale si pensa riferendosi alla politica del Regno Unito è sicuramente “Brexit”. L’uscita dall’Unione Europea proposta dal Partito Conservatore, venne inizialmente molto sottovalutata ed era dilagante la convinzione che alla fine Inghilterra, Irlanda del Nord, Scozia e Galles avrebbero votato per il “remain”.
Contro ogni possibile previsione, invece, i favorevoli all’uscita vinsero con il 51,9% dei suffragi, guadagnati soprattutto tra le campagne inglesi e nelle fasce più anziane della società.
Da allora, la discussione sulla Brexit è diventata oggetto centrale di discussione, soprattutto all’interno del parlamento inglese, dove la principale promotrice dell’abbandono dell’Unione, la premier Theresa May, ha perso progressivamente tutti i consensi, con numerosi membri tra i conservatori che hanno deciso di voltarle le spalle per sostenere la politica del “no deal”, ovvero la separazione dall’Europa senza un accordo con il parlamento europeo, soluzione che porterebbe alla rottura di qualsiasi potenziale accordo politico ed economico.
Per quanto riguarda
l’opposizione, invece, il Partito Laburista di Jeremy Corbyn è cresciuto a
dismisura nei numeri, soprattutto sfruttando il forte dissenso nei confronti
della May e la confusione dei conservatori, al punto che si pensa sarà proprio
lui a guidare un eventuale governo post-Brexit. Anche tra i laburisti, però, le
contraddizioni non mancano: pochi giorni fa 8 deputati hanno abbandonato il
partito, formando un gruppo indipendente, richiedendo a gran voce un secondo
referendum che possa annullare quello del 2016.
Corbyn, probabilmente spaventato dalla possibilità di perdere la propria
leadership nel Labour, ha annunciato dunque che appoggerà l’eventualità di un
contro-referendum.
Non bisogna
sottovalutare, inoltre, la
pericolosissima situazione irlandese: la più grande paura del governo
britannico, infatti, è la possibilità che venga ricostruita la dogana tra
Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, riportando la situazione indietro di
vent’anni, quando le stragi e gli attentati la facevano da padrona.
Esiste, inoltre, la possibilità che gli indipendentisti estremisti sfruttino la
Brexit per muovere nuovamente guerra al governo centrale, come aveva tentato di
fare anche la Scozia dopo il referendum.
Guardando il quadro
complessivo, dunque, non sembrano esserci forze abbastanza stabili da guidare
il paese oltre il mare in tempesta delle lotte interne e della confusione, ma
allo stesso tempo nessuno sembra essere propenso a cercare un accordo, causando
la frattura dei partiti.
In queste ore, probabilmente, la May cercherà un accordo con l’UE per
posticipare la Brexit fino alla fine delle elezioni Europee, a testimoniare
quanto l’insicurezza sia dilagante anche negli organi di governo: non ci resta,
dunque, che aspettare e sperare.