
Quattordicesima puntata della rubrica. Napoli e Avellino in campo amico di cimento contro avversari teoricamente abbordabili, e che però lasciano abbordare poco o niente. Il Napoli non va oltre il pareggio, e pure con buona sorte, contro l’Empoli; l’Avellino perde contro il Crotone. Brutto periodo per entrambe le compagini campane, che mantengono una classifica accettabile nonostante la vittoria mancante da un po’ (troppo). Si spera in una riscossa pre-natalizia. L’Avellino di mastro Rastelli, di ritorno dalla insulsa trasferta bergamasca di coppa Italia con sconfitta all’inglese, ha l’occasione buona che meglio non potrebbe di ritrovare la vittoria, stante al suo cospetto il Crotone ultimo in classifica e dato in crisi. Succede invece che i “pitagorici” riescono ad alleggerire la loro crisi e a spingere nella crisi gli allievi di ma(e)stro Massimo. Alla vigilia delle ultime quattro partite, tre in casa contro squadre alla men peggio, i fedeli del lupo ipotizzavano una razzia di dieci/dodici punti. Di punti ne son venuti due, e i commenti vengono da soli. Il più antipatico e scontato dice che trattasi di ridimensionamento in atto di gruppo pedatorio che è stato sopravvalutato per meriti propri, cioè per ottenimento di risultati positivamente sorprendenti ma forse dovuti a quelle circostanze non di rado intervenenti negli inizi di campionato cadetto. Pur cercando di allontanare da noi l’antipatico ragionamento, non possiamo mentire a noi medesimi al punto da non razionalizzare che i migliori virgulti dell’anno passato sono andati altrove, e che i loro sostituti non sono imputabili di particolari demeriti ma comunque ce li fanno rimpiangere. Izzo, Zappacosta e Galabinov erano quelli troppo buoni per sostituirli così, per ventura di prestito e per fregola di procuratore. Gli altri sono gli stessi dell’anno passato, scarpone più scarpone meno, e pure l’allenatore. Il campionato non era impossibile l’anno passato e non è impossibile quest’anno. Nella partita contro l’Agonistica Pitagorica dei molti giovinetti, l’Avellino va sotto di un gol, lo recupera, tenta di andare sopra, va di nuovo sotto, ha un rigore finale e lo stecca. Il primo gol della contesa lo segna il dotato Camillo Ciano, l’ex nostro, che beffa su punizione mancina Alfred Gomis, l’ex loro. Pure Ciano potrebbe essere inserito nella lista di quelli buoni dell’anno passato e che adesso ci mancano. Il secondo gol del pomeriggio lo segna Gianmario, con acrobatico calcio volante a colpire un pallone impazzito nella traiettoria per effetto di deviazione di difensore crotonese su tiro avellinese. Uno a uno all’intervallo, alla ripresa i verdi si buttano in avanti per superare il debole avversario; entrano pure due mezzi offensivi dalla panchina in luogo di due mezzi più difensivi, e i lupi arrivano sul punto di segnare in tre/quattro azioni. Poi, proprio quando sembrerebbe che il vantaggio dei verdi stia per raffazzonarsi, tale Aniello Salzano, le cui origini sono evidenti, imbrocca dai venticinque metri un controbalzo di impatto, mancino e fulmineo, che supera il portiere nero inducendo a porconare i fedeli del lupo e di Mamma Schiavona e facendo gioire la quarantina di fedeli di Hera Lacinia. Uno a due e inevitabile assalto finale dell’Avellino. Dentro la terza punta Arrighini e gioco di gran casotto: pietre a mare dalla difesa, mischie in area, rinvii al mittente, calci, calcioni e manfrine panelleniche. Alla fine l’arbitro venuto dalla Daunia zufola un rigore per un fallo del guardiano di porta del Paranà Caio Gobbo Secco in uscita a valanga su Gigione nostro. Il fallo c’è pure, sebbene inutile e ininfluente. Non c’è Gigione però, che calcia il penalty senza convinzione e offre al Gobbo Secco la corona di migliore in campo. Eupalla, poco favorevole in questa stagione, aveva deciso per una volta di aiutare i figli di Milone…
Il Napoli di Rafelone, allenatore ossessionato dai bilanci finanziari delle società di pedata, gioca la stupida partita del ragù (alla “mezza” di domenica, ma per piacere!) contro l’Empoli del napoletano di nascita Maurizio Sarri, oggi bravo allenatore dopo un periodo da bancario. Rafelone si mostra più fiducioso verso quelli meno titolari e, obbligato o no, ne schiera quattro: Henrique, Jorginho, Mertens e Zapata. Modulo uguale con interpreti diversi, per usare una formula dell’allenatore floridamente pasciuto. L’Empoli, squadra da anni avvezza a far crescere ragazzini di belle speranze e quindi maggiore nutrice della nostra nazionale under 21, si oppone in modo quasi speculare, solo con un uomo in più nel mezzo che ogni tanto diventano due. Ebbene, proprio quell’uomo in più nel mezzo risulta subito decisivo nello svolgimento dei fatti, che sono condotti dagli ospiti fra lo stupore generale. Si difendono benissimo quelli in maglia biancazzurra, pressano i mediani in maglia indefinibile (diciamo in camicia di jeans) e non li fanno giocare sereni, poi partono ben sapendo come dividersi verso la porta avversaria e tirano non appena la vedono ingrandirsi. Al minuto 19 il gol del talento pavese Simone Verdi arriva giusto e calzante a sancire il merito dei valdarnesi di sotto. Il gol preso non aiuta il Napoli a scuotersi, anzi lo intimorisce, e gli sbarbatelli di Sarri prendono a dominare il campo sfiorando almeno due volte il raddoppio. Il primo tempo di cottura del ragù finisce senza ulteriori bruciature e si può ben dire che sia andata bene così al padrone di casa. Il secondo tempo comincia e non sembra diverso dal primo. Dopo otto minuti corner per l’Empoli, schema che prevede la toccata di nuca verso il secondo palo dove lo stopper Rugani, fra le anime titubanti di Ghoulam e Rafael, in due tempi mette dentro il due a zero. Rafael è portiere in stato di disagio, soprattutto nelle porte del San Paolo. Urgerebbe aiuto. Gli ospiti hanno il colpo dello zero a tre, lo sbagliano. Quando Rafelone decide di cambiare qualcosa, cioè togliere Hamsìk, lo stadio ha un sussulto di rabbia verso il suo idolo più anziano, e lo fischia senza pietà. Altro problema Hamsìk, troppo brutto per essere vero e troppo sensibile per non subire lo sfogo dei tifosi. Entra Gonzalo e la vicenda comincia, ma non di molto, a cambiare. Per svoltare ci vorrebbe un gol, che arriva al minuto 68 con capocciata in salto di Zapata su corner dalla sua destra. “Quando la squadra notevolmente più debole nei singoli, in vantaggio pur indiscutibile nel gioco per due a zero, subisce un gol a venti/quindici minuti dalla fine, spesso finisce per perdere la partita”. È una consuetudine del gioco del pallone, rispettata in tutte le categorie e pure in serie A. All’Empoli in fin dei conti non va malissimo, visto che la partita non la perde bensì la pareggia. Il gol del due a due lo fa De Guzman, da poco entrato per Mertens, cinque minuti dopo quello di Zapata mentre l’Empoli è in dieci per l’infortunio del terzino sinistro Rui, della cui latitanza si avvantaggia Maggio che su quella fascia affonda e crossa per De Guzman. Mancano alla fine quindici minuti abbondanti e la consuetudine avrebbe tutto il tempo per applicarsi interamente. Si applica invece la parziale eccezione, e la responsabilità è ascrivibile soprattutto al torrese Luigi Sepe, giovanotto portiere maturante ad Empoli come tanti suoi compaesani. Due belle parate contro Callejon e ancora De Guzman, quest’ultima alla fine del tempo di recupero, risparmiano l’Empoli dalla crudele consuetudine e mister Sarri da una bella incazzatura. Il ciuccio non vince, ma neanche può incazzarsi più di tanto.