
Tocca un punto indefinito tra il cuore e lo stomaco, “A hunger artist – Un digiunatore” di Eimuntans Nekrosius in scena dal 19 al 21 aprile al Teatro Bellini. Una lacrima si cristallizza in quel vago punto, senza venire fuori.
Al suo posto un sorriso incerto affiora sulle labbra degli spettatori, cavato fuori dall’interpretazione di Viktorija Kuodyté, nelle inusuali vesti di un “artista del digiuno” al femminile.
La riscrittura fatta dal regista lituano del digiunatore kafkiano mostra che, invertendo gli addendi, il risultato non cambia. L’uomo che ha fondato la sua fama e fortuna sul digiuno diventa, nell’allestimento di Nekrosius, una donna. Non c’è nessuna gabbia a trattenere quello che apparentemente sembra un prigioniero di se stesso o di una malattia, forse, anoressia la chiameremo oggi.
Anzi, a differenza dei “mangiatori”, è proprio sulla privazione della materialità che si fonda non solo la sua libertà, ma la sua stessa identità.
È in un perenne oscillare tra sogno e incubo che, si muovono gli interpreti Vygandas Vadeiša, Vaidas Vilius e Genadij Virkovskij, capaci di risolvere nel grottesco quella spiacevole sensazione di dissonanza che attanaglia l’osservatore del digiunatore. Esattamente come i crudeli voyeur di una volta, che facevano dello squallore e della miseria altrui un intrattenimento, lo spettatore di oggi si trova ad assistere alla rappresentazione di un digiuno. L’abilità di Viktorija Kuodyté è tale che, si finisce per credere a quell’assenza di fame, a quell’orgoglio nell’indossare soltanto la propria pelle e le proprie ossa.