
Volitiva, esigente, ambiziosa, passionale, libertaria. Si è spenta a 93 anni nella sua casa di Ramatuelle la Calliope dell’esistenzialismo francese, la cantante e cabarettista Juliette Greco. Nata a Montpellier nel 1927, sin da giovane tento’ di diventare un astro dell’Operá di Parigi, e sarebbe stata destinata ad una promettente carriera di ballerina se solo i nazisti non avessero fatto irruzione nella sua vita: sua madre venne difatti deportata mentre Juliette torturata dalla Gestapo; quando finalmente l’incubo ebbe fine, con il cuore pieno di sogni e di speranze ed un biglietto per il metro’ in tasca, corse a chiedere aiuto alla sua ex professoressa di francese; quest’ultima non esito’ un istante ad ospitarla presso la sua dimora sita a Saint-Germain-des-Prés. Fu la svolta per Juliette. La fervida temperie culturale dell’epoca non tardo’ ad affascinarla, al punto da entrare a far parte della Jeunesse Communiste. I cafès bohemiens divennero punto nevralgico d’incontro con svariati intellettuali, primo tra tutti Boris Vian.
Un giorno, come se quel biglietto del metro’ speso per raggiungere la rive gauche non fosse stato abbastanza fortunato, la sua strada incrocio’ quella di uno dei massimi esponenti dell’esistenzialismo, il filosofo Jean Paul Sartre; egli le propose di cantare, ed a poco valse la riluttanza di Juliette: Sartre le offri’ una camera (la numero 10) presso l’Hotel la Louisiane, l’unica munita di acqua calda.
Galeotta divenne, dopo quel soggiorno, la passione con Miles Davis, trombettista americano di fama internazionale: si amarono alla follia per due settimane, finché Miles fu costretto a tornare negli Stati Uniti. Il distacco repentino ed indesiderato precipito’ Juliette in un abisso di tristezza e solitudine, cui fece capolino il tunnel dell’eroina, come ella stessa avrebbe poi raccontato in una celebre autobiografia.
Esordi’ al cabaret con “Le boeuf sur le toit“, divenne una habituée dell’Olympia e comincio’ a dar voce a “Rue des Blancs-Manteaux“, nata dal calibro di Sartre e “Les feuilles mortes” di Prévert. Furono tanti gli chansonniers che decisero di scrivere per lei, emblematici Brassens, Aznavour, Gainsbourg con la sua “Javanaise“.
“Toutoune“, ossia cagnolino buono: questo l’epiteto con cui venne connotata dagli amici più stretti, derivante anche dal suo sfarzoso trucco sotto gli occhi, dai suoi maglioni neri abbinati ai pantaloni, dal suo stile così lontano dagli schematismi di una Nazione o di un Paese.
E fu proprio fuori dagli schemi che Juliette trascorse il suo tempo, oltre i cliché ed i luoghi comuni. “Ho scelto di amare chi volevo quando volevo“, disse una volta, indifferente e risoluta dinanzi alle critiche dei benpensanti legate ai suoi tre matrimoni.
Regina dei teatri, dei cinema e soprattutto dei simposi con gli intellettuali parigini, il suo talento emerse dapprima sul palcoscenico della Comédie Française, dopo aver studiato per anni arte drammatica; venne inoltre insignita di una Légion d’Honneur.
Il sodalizio artistico con poeti e registi la rese protagonista delle notti del circolo privato in cui si riunivano gli esistenzialisti.
E, se è vero come scrisse Jean Paul Sartre che “Si è sempre responsabili di quello che non si è saputo evitare“, non può dirsi altrettanto della morte, che ci accoglie con la perfidia delle Erinni ma che tentiamo a nostro modo di rimandare quanto più a lungo possibile. Juliette lo ha fatto mediante l’arte e l’intelletto.
Ci mancherai, voce di velluto.